Due modi di pregare Dio
Nell’udienza generale del 15 gennaio 2011, Benedetto XVI propose una riflessione sul problema dell’idolatria mettendo a confronto due modi completamente diversi dell’uomo di rivolgersi a Dio e pregare. Chi preghiamo, noi, il vero Dio o un idolo?
«Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze» (Dt 6, 4-5).
All’Assoluto di Dio, il credente deve rispondere con un amore assoluto, totale, che impegni tutta la sua vita, le sue forze e il suo cuore. Nel Nuovo Testamento c’è la priorità del primo comandamento: adorare solo Dio Onnipotente, e resistere alla seduzione dell’idolatria, senza cedere all’illusione di poter facilitare i cammini impervi della vita riponendo la propria fiducia anche negli idoli costruiti dagli uomini. Sia Dio sia l’idolo: “et-et” è la continua tentazione per il credente, l’illusione demoniaca di poter «servire a due padroni» (cfr. Mt 6,24; Lc 16,13).
Nell’udienza generale del 15 gennaio 2011, Benedetto XVI propose una riflessione sul problema dell’idolatria mettendo a confronto due modi completamente diversi dell’uomo di rivolgersi a Dio e pregare. Chi preghiamo, noi, il vero Dio o un idolo?
La riflessione di Benedetto XVI parte dall’episodio narrato nel capitolo 18 del Primo Libro dei Re. Ci troviamo nel IX secolo a.C., al tempo del re Acab, in un momento in cui Israele stava cedendo alla seduzione dell’idolatria. Accanto al Signore, Dio invisibile e misterioso, il popolo adorava anche Baal, l’idolo da cui si credeva venisse la pioggia e da cui Israele pensava di poter ottenere fecondità e prosperità in cambio di sacrifici. L’idolo si presenta sempre così: è visibile, vicino, rassicurante, apparentemente utile a far prosperare qualche “campo” vitale della nostra esistenza. Proprio per smascherare l’inganno dell’idolatria, il profeta Elia fece radunare il popolo di Israele sul monte Carmelo e lo pose davanti alla necessità di scegliere: «Se il Signore è Dio, seguiteLo. Se invece lo è Baal, seguite lui» (1, Re 18, 21). Elia, il cui nome significa appunto «il Signore è il mio Dio», è dunque chiamato da Dio per portare il popolo alla conversione: provocare nel popolo il riconoscimento del Signore come unico Dio. “Aut-aut”: o Dio o l’idolo.
Elia viene anche in aiuto al popolo, indicando il segno che guiderà la scelta: sia lui che i profeti di Baal prepareranno un sacrificio e pregheranno, e solo il vero Dio si manifesterà rispondendo con il fuoco che consuma l’offerta. Benedetto XVI sottolinea, in questo passaggio, il momento centrale della sua riflessione: confrontare il modo di pregare di Elia con quello completamente diverso dei seguaci di Baal. Cosa distingue la preghiera del credente in Dio da quella dell’idolatra?
La preghiera dell’idolatra – dice Benedetto XVI – è autoreferenziale: invece di aprire il cuore umano all’Alterità, all’incontro con un Tu che apre a dimensioni di amore e dono reciproco, chiude la persona nello spazio angusto della propria soggettività. I profeti di Baal, infatti, pregando, gridano, si agitano, danzano saltando, entrano in uno stato di esaltazione arrivando a farsi incisioni sul corpo, «con spade e lance, fino a bagnarsi di sangue» (1Re 18, 28). L’idolatra non riesce a uscire da sé: pensa di poter disporre dell’idolo, di poterlo gestire con le proprie umane forze e sottometterlo alla propria volontà. Perciò i profeti di Baal arrivano a farsi del male: per provocare la risposta di Dio fanno affidamento solo sulle proprie capacità, fino ad arrivare ad azioni estreme. Eppure l’idolo, essendo costruzione fittizia, non può rispondere all’uomo. Il dio dell’idolatra è muto perché è senza consistenza: nulla può fare, né in bene né in male.
Ben altro atteggiamento di preghiera è invece quello di Elia. Benedetto XVI richiama l’attenzione sulle parole dell’invocazione del profeta: «Signore Dio, di Abramo, di Isacco e di Israele, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che io sono tuo servo […]. Rispondimi, Signore, rispondimi, e questo popolo sappia che tu, o Signore, sei Dio che converti il loro cuore» (1Re 18, 36-37). La preghiera del vero profeta è aperta all’Alterità: Dio è riconosciuto per ciò che è, Assoluto e Trascendente, senza la possibilità di mettergli accanto altri dei che Lo negherebbero come Assoluto, relativizzandoLo. La preghiera è l’incontro tra due “identità”. Invece di utilizzare la formula «Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe», Elia utilizza un appellativo meno comune: «Dio di Abramo, di Isacco e di Israele». Da una parte il popolo di Israele, che cedendo alla seduzione dell’idolatria sembra aver dimenticato la propria origine e il proprio rapporto privilegiato con Dio, si sente chiamare per nome perché ritrovi la propria identità e la propria fedeltà a Dio. Dall’altra parte, Elia invoca Dio stesso perché si manifesti nella sua misericordia che perdona, converte, trasforma: «Rispondimi Signore, rispondimi, e questo popolo sappia che tu, o Signore, sei Dio che converti il loro cuore». Ed è ciò che avviene: «Cadde il fuoco del Signore e consumò l’olocausto, la legna, le pietre e la cenere, prosciugando l’acqua del canaletto. A tal vista tutto il popolo cadde a terra e disse: “Il Signore è Dio, il Signore è Dio”» (1Re 18, 38-39). Israele non può più dubitare: la misericordia di Dio ha risposto ai suoi dubbi, alla sua mancanza di fede e l’idolo è vinto.
L’idolo, Baal, è muto e impotente: non risponde alle invocazioni del popolo. Il Signore Onnipotente è l’unico che risponde. Nella preghiera, il credente si relaziona con l’Alterità da cui attende risposta; l’idolatra, invece, pensa di suscitare con le proprie forze la risposta che attende dall’idolo. E noi, oggi, siamo credenti o idolatri?
Per comprendere se le nostre preghiere sono proiezioni alienanti della nostra soggettività, o apertura al Dio Assoluto e Trascendente, in un rapporto di reciproco amore, bisogna guardare ai frutti di conversione della nostra preghiera. In quella Udienza generale del lontano 2011 Benedetto XVI offrì un criterio per valutare l’efficacia della nostra preghiera, che riportiamo a conclusione di questa nostra riflessione: «La vera adorazione di Dio, allora, è dare sé stesso a Dio e agli uomini, la vera adorazione è l’amore. E la vera adorazione di Dio non distrugge, ma rinnova, trasforma. Certo, il fuoco di Dio, il fuoco dell’amore brucia, trasforma, purifica, ma proprio così non distrugge, bensì crea la verità del nostro essere, ricrea il nostro cuore».