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40 anni dal sequestro Moro: “Non c’erano speranze che finisse bene”

Giovanni Ricci, figlio di Domenico - agente di scorta ucciso in via Fani, perdona il carnefice di suo padre: "Perché ho compreso, guardando gli occhi degli assassini - spiega - che le loro ferite non spariranno mai. Non solo. È un dolore che continua. La moglie e i figli dei terroristi, pagano le colpe dei padri e questo è inaccettabile. Dobbiamo ascoltarci e riconoscerci come persone. Questo permette il superamento della rabbia, dell’odio e della vendetta"

Lo ha affermato Nicola Rana, segretario particolare di Aldo Moro, ricordando i drammatici 55 giorni del rapimento di Aldo Moro

Aldo Moro

Con la giornata di oggi sono trascorsi esattamente quarant’anni dalla mattina del 16 marzo 1978, quando l’allora presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro venne rapito, in via Fani a Roma, da un commando terroristico delle Brigate rosse che uccisero gli uomini della sua scorta: l’appuntato dei carabinieri Domenico Ricci (42 anni), sono stati uccisi il responsabile della sicurezza maresciallo dei carabinieri Oreste Leonardi (52 anni), le guardia di Pubblica sicurezza Giulio Rivera e Raffaele Iozzino (24 anni) e il vicebrigadiere di Pubblica sicurezza Francesco Zizzi (30 anni).

Da qui iniziarono i 55 lunghi giorni del sequestro della statista, prima del suo omicidio e del ritrovamento del suo cadavere – il 9 maggio 1978 –  in via Caetani: a metà strada tra la sede della Democrazia cristiana e quella del Partito comunista, quasi a rappresentare quel compromesso storico – tanto agognato da Moro – tra questi due grandi partiti all’epoca agli antipodi.

Così, in questi ultimi giorni che hanno preceduto l’anniversario, dall’ultimo numero di Famiglia cristiana, è emerso il ricordo dell’allora segretario particolare di Aldo Moro: «Fui il destinatario della prima e dell’ultima lettera del presidente – narra Nicola Rana -. Nella prima busta, oltre al biglietto per me, c’erano anche una missiva per la moglie e una per Francesco Cossiga. Ricordo che da subito pensai che non c’erano molte speranze perché la cosa finisse bene. Per la verità lo avevo già pensato guardando come era stata assassinata la scorta di Moro».

Un ricordo, quest’ultimo, indelebile: «Non dimenticherò mai – sottolinea – il corpo a terra di Iozzino, colpito in testa, con il sangue che ancora fluiva sull’asfalto -. Mi sono detto che chi era stato capace di un gesto simile difficilmente avrebbe restituito vivo Aldo Moro».

Comunque, al di là di tutto ciò, il segretario personale di Moro non ama ipotizzare misteri e complotti: «Se non ho parlato per tutti questi anni – spiega – è anche perché penso che quello che si doveva e poteva fare andava fatto in quei giorni. Il resto è inutile. Di Moro bisogna ricordare tutto quello che è stato, il suo pensiero, il suo modo di agire, anche la sua ironia».

Via Fani, gli agenti di scorta uccisi nel rapimento di Aldo Moro

E tra le testimonianze più sentite, c’è quella di Giovanni Ricci, figlio di Domenico Ricci – uno degli uomini della scorta di Aldo Moro – raccolta in un’intervista pubblicata da Romasette.it, testata on line della diocesi di Roma: «Ho incontrato Valerio Morucci – racconta -, che ha ucciso mio padre. E poi Franco Bonisoli e Adriana Faranda. È successo nel 2012. Ho voluto confrontarmi con loro».

Lo ha raccontato alla vigilia dell’odierno 40° anniversario della strage di via Fani: «La giustizia penale – aggiunge – ti dà sicurezza della pena. Ma non cessa il tormento interno. Ho voluto fare un passo in avanti. Nei terroristi non ho più visto il mostro, ma delle persone. Ho guardato i loro occhi, le bocche, le voci. Questo mi ha permesso di riconciliarmi col passato».

Giovanni Ricci aveva 12 anni quando le Brigate Rosse uccisero suo padre: «La cosa che non dimenticherò mai – ricorda il figlio dell’agente di scorta di Aldo Moro – è l’edizione di “Repubblica” che mostrava la foto di mio padre senza lenzuolo. Mi ha distrutto. Avevo la coscienza di aver perso un padre ucciso da uomini di cui non sapevo niente. E mi sentivo diverso dagli altri compagni che avevano perso un familiare. A me non l’aveva portato via una malattia o un incidente, ma degli uomini. Questo innescò odio e rabbia verso chi mi aveva tolto quel dolce papà, il complice della mia infanzia. Avevano sparato 90 colpi».

Tra i tanti ricordi, anche quello della madre che: «Mi ha insegnato – riconosce Domenico Ricci – a non volere la vendetta, ma a comprendere. Mi diceva di andare oltre e di non farmi vincere dall’odio. La molla è scattata nel 1996, quando è nato mio figlio. In quel momento mi sono fatto una domanda: “Ma lui se dovesse conoscere i figli dei terroristi, la vendetta sarebbe la cosa giusta?”. Lì ho avuto la scintilla. Dovevo cambiare. Non potevo continuare a distruggermi. Dovevo vincere l’odio e la rabbia, il mostro dentro l’armadio».

Da qui l’incontro con il carnefice di suo padre: «L’ho visto piangere – racconta – per il male fatto. Mi ha chiesto: “Tu sai chi sono io?”. Gli ho risposto: “La tua croce è più grande della mia”. Nonostante il dolore per la perdita di mio padre ho ripreso a vivere. Non sono più una vittima, sono rinato come una persona».

Ricci ha così confermato conferma di aver perdonato: «Perché ho compreso, guardando gli occhi degli assassini – spiega – che le loro ferite non spariranno mai. Non solo. È un dolore che continua. La moglie e i figli dei terroristi, pagano le colpe dei padri e questo è inaccettabile. Dobbiamo ascoltarci e riconoscerci come persone. Questo permette il superamento della rabbia, dell’odio e della vendetta».

Paolo Gentiloni, presidente del Consiglio dei ministri

E in questa giornata di ricordo è giunto anche il pensiero del presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni, espresso attraverso  un tweet: «Una mattina di 40 anni fa – afferma – il più grave attacco alla Repubblica. L’Italia rende omaggio a un grande leader politico, ai carabinieri Leonardi e Ricci e agli agenti di Polizia Iozzino, Rivera e Zizzi».

Pietro Grasso, presidente uscente del Senato

Così come, attraverso un post pubblicato su Facebook, anche il presidente uscente del Senato Pietro Grasso ha ricordato la strage di via Fani e il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro, sollecitando a fare luce sui punti oscuri della vicenda: «Non dobbiamo smettere di cercare la verità – scrive Grasso -, anche se scomoda. Non dobbiamo dimenticare la lezione di statisti come Aldo Moro. Tante, troppe volte, le forze dell’ordine e le forze armate hanno pagato col sangue il loro servizio al Paese. Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi e Raffaele Iozzino furono uccisi dalle Brigate Rosse 40 anni fa, a Via Fani. Quel giorno iniziò il sequestro di Aldo Moro, un vero shock per l’Italia intera. Furono 55 giorni di apprensione, di paura, di tensione: giorni che hanno cambiato per sempre la storia del nostro Paese, segnandola in maniera profonda».

About Davide De Amicis (4360 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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