Migrazioni: “L’emergenza è il numero di italiani e immigrati che se ne vanno”
"Il malessere della generazione neo-mobile – sottolinea il cardinale Bassetti - si tramuta in varie, e diverse per gravità, forme depressive: malinconie, perdite senza rimpianti, amori non corrisposti, separazioni, delusioni o fallimenti, ma anche insuccessi inaspettati e le scelte difficili possono tramutarsi alcune volte in disperazione. Quando lo spaesamento metropolitano e la sofferenza urbana non vengono riconosciuti e ‘accolti’, si passa a patologie ben più gravi come lo stato di povertà, la perdita dell’autonomia e dell’equilibrio nella propria vita fino alla vita in strada"

«Se c’è oggi una emergenza in Italia relativa al mondo della mobilità, questa non riguarda il numero dei migranti che arrivano nel nostro Paese – un numero di persone sempre più limitato e che per lo più intendono proseguire il viaggio verso altri Paesi –, ma il numero crescente di italiani e persino di immigrati, che in questi ultimi anni sta uscendo». Lo ha affermato ieri don Giovanni De Robertis, direttore generale della Fondazione Migrantes, aprendo a Roma la presentazione della XIII edizione del “Rapporto Italiani nel mondo”: «L’unico strumento in Italia – ricorda – che ci dà una fotografia il più possibile completa e attendibile di quella che è oggi l’emigrazione italiana. Un esodo che non può non far riflettere, che dice come sempre meno l’Italia sia un Paese per giovani e che rischia di avere conseguenze gravi per il nostro futuro».
Basti pensare, come ha ricordato Delfina Licata, curatrice del Rapporto “Italiani nel mondo”, che dal 2006 al 2018 la mobilità italiana è aumentata del 64,7% e che dall’Italia se ne vanno anche circa 25 mila migranti, che tornano nei loro Paesi: Bangladesh, Pakistan, India, Brasile. Ma il dato più eclatante è la crescita, negli ultimi anni, degli over 50: «Più 20% nella fascia tra i 50 e i 64 anni – ricorda la Licata -, molti sono disoccupati che si ricollocano all’estero, ma anche genitori e nonni che si ricongiungono ai figli e nipoti espatriati».
Le crescite più importanti tra i nuovi expat (espatriati) si notano dai 50 anni in su (+20,7% nella classe di età 50-64 anni; +35,3% nella classe 65-74 anni; +49,8% nella classe 75-84 anni e +78,6% dagli 85 anni in su). Chi parte oggi dall’Italia è principalmente celibe/nubile (60,8%) oppure sposato/a (33,2%). Anche se il 37,4% di chi parte (quasi 48mila persone) ha tra i 18 e i 34 anni e i giovani adulti, ovvero la classe tra i 35 e i 49 anni, sono un quarto del totale, l’incidenza delle fasce di età più mature nel 2018 è dell’11,3% per chi ha tra i 50 e i 64 anni è il 7,1% dai 65 anni e oltre.
Il Rapporto definisce la categoria dei “migranti maturi disoccupati”, ossia persone lontane dalla pensione o che hanno bisogno di lavorare per mantenere la famiglia. Ci sono poi i genitori-nonni che trascorrono periodi sempre più lunghi all’estero, con figli e nipoti già in mobilità fino al completo trasferimento (il “migrante genitore-nonno ricongiunto”). C’è poi il “migrante di rimbalzo” ovvero chi, dopo anni di emigrazione all’estero soprattutto in Paesi europei (Germania, Svizzera e Francia) oppure oltreoceano (Argentina, Cile, Brasile, Stati Uniti), è rientrato in Italia per trascorrere la propria vecchiaia “in paese”, ma rimasto vedovo/a, e magari con i figli nati, cresciuti e lasciati all’estero, decide di tornare nella nazione che gli assicura un futuro migliore rispetto all’Italia.
Non mancano i famosi “migranti previdenziali”, pensionati di lusso o colpiti da precarietà o sull’orlo della povertà. Vanno in Paesi con politiche di defiscalizzazione, dove la vita costa poco. Sono attirati anche dal clima, dalla cultura, dalla possibilità di essere accompagnati durante il trasferimento e la permanenza. Vanno soprattutto in Marocco, Thailandia, Spagna, Portogallo, Tunisia, Santo Domingo, Cuba, Romania. Anche il “silver co-housing” favorisce la scelta della destinazione. Nato in Olanda e Danimarca negli anni ’70, oggi le co-abitazioni si stanno moltiplicando in diversi Stati. Gli anziani vivono sereni, integrati, necessari e attivi.
Nel 2017 dall’Italia sono partite 128.193 persone (+4.117), con un aumento del 3,2% rispetto all’anno precedente. Il 37,4% di chi parte (quasi 48 mila persone) ha tra i 18 e i 34 anni. La Germania è la destinazione preferita, seguita da Regno Unito e Francia. Al 1° gennaio 2018 gli iscritti totali all’Aire, l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero, risultano 5.114.469, l’8,5% dei quasi 60,5 milioni di residenti totali in Italia. Le realtà nazionali più numerose sono l’Argentina (819.899), la Germania (743.799), (614.545). Nell’ultimo anno il Brasile (415.933) ha superato la Francia (412.263).
A livello continentale l’Europa accoglie il numero più alto di cittadini italiani (54,1%), mentre in America si registra una presenza del 40,3%. Dal 2006 al 2018 la mobilità italiana è aumentata del 64,7%, passando da poco più di 3,1 milioni di iscritti all’Aire a più di 5,1 milioni. Il 49,5% è di origine meridionale (Sud: 1.659.421 e Isole: 873.615); del Settentrione (Nord-Ovest: 901.552 e Nord-Est: 881.940); del Centro il 15,6% (797.941). Da gennaio a dicembre 2017 si sono iscritti all’Aire quasi 243 mila italiani di cui il 52,8% per espatrio, il 36,2% per nascita, il 6,3% per reiscrizione da irreperibilità, il 3,7% per acquisizione di cittadinanza e l’1% circa per trasferimento dall’Aire di altro comune. La prima regione di partenza è la Lombardia (21.980) seguita, a distanza, dall’Emilia-Romagna (12.912), dal Veneto (11.132), dalla Sicilia (10.649) e dalla Puglia (8.816). Gli italiani partiti da gennaio a dicembre 2017 sono andati in 193 località del mondo, ma soprattutto in Europa (70%) e in America (22,2%) e, più nel dettaglio, nel Sudamerica (14,7%): «Oggi la mobilità in uscita dalla Penisola si lega a immagini positive – commenta il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Perugia-Città della pieve -, mentre i caratteri negativi li si associano a chi arriva sulle nostre coste. Eppure non si deve dimenticare che la migrazione porta con sé delle difficoltà e queste ultime, nel caso specifico degli italiani nel mondo, sono molteplici e di diversa natura».
Ricordando la proposta dell’insegnamento dell’emigrazione italiana come materia di studio, il porporato ha affermato che «vi sono state in questi anni diverse proposte di legge a tale riguardo. Un tale insegnamento, al pari dei corsi di lingua italiana all’estero, completano quel processo virtuoso di valorizzazione e mantenimento delle radici linguistiche e culturali e dei legami con l’Italia da parte di chi risiede fuori dei confini nazionali e, allo stesso tempo, di attrazione di flussi migratori, da parte del Belpaese e perfezionano la formazione delle nuove generazioni proiettandole verso l’interculturalità e la contemporaneità».
Sottolineando la necessità del migrante di costruire una relazione con l’altro, il cardinale Bassetti ha poi ribadito «il bisogno di essere riconosciuto e di poter avere la possibilità di contribuire allo sviluppo di quel territorio e di quella comunità che con carità e responsabilità lo accoglie. Il riconoscimento porta all’ammissione della differenza, all’individuazione degli specifici caratteri identificativi che, nel caso dei migranti, significano un tale mondo di sfaccettature che è difficile partire da categorizzazioni a priori. Questo rapporto sottolinea l’importanza di un riconoscimento della cittadinanza che non sia finalizzato all’uso e al consumo personale del possesso di un passaporto che apra le porte dell’Europa, ma all’esaltazione di una identità fortemente legata a un territorio in cui non solo ci si riconosce, nonostante non ci si è nati, ma lo si conosce attraverso i racconti dei propri genitori o nonni e in cui si vorrebbe dare il proprio contributo concreto».
Il porporato ha anche analizzato alcune delle conseguenze delle migrazioni: «Il malessere della generazione neo-mobile – sottolinea Bassetti – si tramuta in varie, e diverse per gravità, forme depressive: malinconie, perdite senza rimpianti, amori non corrisposti, separazioni, delusioni o fallimenti, ma anche insuccessi inaspettati e le scelte difficili possono tramutarsi alcune volte in disperazione. Quando lo spaesamento metropolitano e la sofferenza urbana non vengono riconosciuti e ‘accolti’, si passa a patologie ben più gravi come lo stato di povertà, la perdita dell’autonomia e dell’equilibrio nella propria vita fino alla vita in strada».