“In Italia 3 milioni e 185 mila giovani non studiano e non lavorano”
«Un errore che è stato fatto negli ultimi anni – conclude il ricercatore – è quello di mettere etichette finendo per dare al termine neet un’accezione negativa quasi tutti i giovani così definiti fossero fannulloni. Questo è pericoloso perché la realtà è molto variegata così come le risorse a disposizione dei giovani. Per questo servono politiche in grado di intercettarle altrimenti il problema continuerà a crescere».
In Italia 3 milioni e 185 mila giovani non studiano e non lavorano. A dirlo sono i dati presentati martedì pomeriggio a Milano da Alessandro Rosina, coordinatore scientifico dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo, all’interno del convegno ‘Neeting3’ appuntamento annuale, giunto alla terza edizione, promosso da Fondazione Cariplo e dall’Istituto Toniolo con il patrocinio dell’Agenzia nazionale giovani.
«Negli ultimi anni – afferma – il numero di giovani italiani che non studiano e non lavorano è continuato ad aumentare allargando il divario tra Italia e resto d’Europa».
«In Italia – continua – i giovani tra i 15 e i 29 anni definiti ‘neet’, termine anglosassone che indica i giovani che né studiano né lavorano – sono 3 milioni e185 mila pari al 24,1% della popolazione (dato Eurostat 2017) a fronte di una media europea del 13,4%. Peggio dell’Italia solo la Romania».
«Le regioni del Nord Italia – prosegue Rosina – si trovavano prima della crisi sotto la media europea, mentre oggi si trovano sopra (ad eccezione della provincia autonoma di Bolzano)».
«Una condizione – precisa il sociologo – che non riguarda solo i più giovani ma sempre più la generazione tra i 25 e i 29 anni dove l’incidenza è del 28,8%. Numeri che non vanno di certo generalizzati».
«Un errore che è stato fatto negli ultimi anni – conclude il ricercatore – è quello di mettere etichette finendo per dare al termine neet un’accezione negativa quasi tutti i giovani così definiti fossero fannulloni. Questo è pericoloso perché la realtà è molto variegata così come le risorse a disposizione dei giovani. Per questo servono politiche in grado di intercettarle altrimenti il problema continuerà a crescere».