“Nel mondo 300 milioni di cristiani perseguitati, i più sottoposti a violenze”
"Presumere di risolvere le tensioni a tema religioso con l’eliminazione del fattore religioso dall’orizzonte culturale e sociale è un vicolo cieco - sottolinea il cardinale Piacenza -, perché il senso religioso degli uomini emerge con rinnovata forza. Uno Stato realmente progredito, non è quello nel quale viene limitata la libertà religiosa dei cittadini o marginalizzato il fattore religioso, bensì quello in cui il religioso trova adeguati spazi di sviluppo"
«Nel mondo quasi 300 milioni di cristiani – uno su sette – vivono in un Paese di persecuzione e continuano ad essere il gruppo religioso più sottoposto a violenze, detenzioni, violazioni di diritti umani». È quanto emerge dalla XIV edizione del Rapporto sulla libertà religiosa di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), presentato oggi a Roma, all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, e contestualmente nelle 23 sedi di Acs in tutto il mondo.
Nel periodo analizzato dal report – giugno 2016/giugno 2018 – si riscontra un aumento delle violazioni della libertà religiosa in molti Stati. In totale sono 38 i Paesi identificati come teatro di “gravi o estreme violazioni”. Tra questi, 21 vengono classificati come Paesi di persecuzione: Afghanistan, Arabia Saudita, Bangladesh, Birmania, Cina, Corea del Nord, Eritrea, India, Indonesia, Iraq, Libia, Niger, Nigeria, Pakistan, Palestina, Siria, Somalia, Sudan, Turkmenistan, Uzbekistan e Yemen. Sono invece luoghi di discriminazione gli altri 17: Algeria, Azerbaigian, Bhutan, Brunei, Egitto, Federazione Russa, Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Laos, Maldive, Mauritania, Qatar, Tagikistan, Turchia, Ucraina e Vietnam.
Situazione peggiorata in 17 dei suddetti 38 Paesi: «Invariata – perché già gravissima – in Corea del nord, Arabia saudita, Nigeria, Afghanistan ed Eritrea dove la persecuzione “manifesta il suo volto più crudele – scrivono nell’introduzione del Rapporto Alfredo Mantovano e Alessandro Monteduro, rispettivamente presidente e direttore di Acs-Italia».
Al contrario, un brusco calo delle violenze commesse dal gruppo islamista al-Shabaab ha fatto sì che Tanzania e Kenya – classificati come “Paesi di persecuzione” nel 2016 – nel 2018 appartengano invece alla categoria dei “non classificati”. Dal nazionalismo aggressivo e ostile all’ultra-nazionalismo che ritiene le minoranze confessionali una minaccia per lo Stato. Fenomeni presente soprattutto in India, Cina, Corea del nord, Pakistan, Myanmar. In India, riferisce lo studio, tra il 2016 e il 2017 gli attacchi anticristiani, principalmente da parte di gruppi estremisti indù, sono quasi raddoppiati, raggiungendo quota 736: «Le minoranze – ha di recente dichiarato un membro del Parlamento nazionale – sono una minaccia per l’unità del Paese».
In Cina l’ultra-nazionalismo si manifesta invece come “generale ostilità dello Stato nei confronti di tutte le fedi”. Di qui le misure restrittive assunte dal regime del presidente Xi Jinping, tra cui la proibizione della vendita on line della Bibbia. Tra il 2014 e il 2016 distrutte o danneggiate tra le 1.500 e le 1.700 chiese. Grave minaccia al “culto personale” della dinastia Kim e del regime. Sono percepiti così i gruppi di fede nella Corea del nord, Paese che nega la libertà religiosa e nel quale si stima migliaia di cristiani siano detenuti in campi di prigionia. In Pakistan gli estremisti determinati a trasformare il Paese in uno Stato islamico si oppongono fermamente alle modifiche alla controversa legge sulla blasfemia, che minaccia in particolar modo le minoranze.
Grave la situazione delle minoranze religiose anche in Eritrea, Iran, Tagikistan e Turkmenistan. In Myanmar, dal settembre 2017 quasi 700 mila musulmani rohingya sono fuggiti in Bangladesh; una crisi definita dall’Alto Commissariato Onu per i diritti umani come “pulizia etnica da manuale”. In Turchia l’agenda nazionalista del presidente Recep Tayyip Erdogan mira ad affermare l’Islam sunnita. I musulmani aleviti hanno subito minacce di violenze e le loro moschee sono state “riadattate” a templi sunniti: «Mentre in alcuni Paesi – scrivono Alfredo Mantovano e Alessandro Monteduro, rispettivamente presidente e direttore di Acs-Italia, nell’introduzione del Rapporto 2018 sulla libertà religiosa nel mondo – sono diminuite le violazioni della libertà religiosa da parte di gruppi islamisti, questo tipo di violenze si è inasprito altrove. La disarticolazione sul piano militare dell’Isis in Iraq e in gran parte della Siria è una grande opportunità, ma c’è il rischio di sottovalutare la minaccia che tuttora rappresenta. La sua sconfitta militare, non implica necessariamente la sua scomparsa come movimento jihadista». Intanto si sono affermati altri movimenti militanti islamici in Africa, Medio Oriente e Asia.
In Nigeria Boko Haram sembra perdere terreno, sono però aumentate le violenze dei pastori islamisti fulani contro i cristiani raccolti in preghiera; il Niger è accerchiato da diversi gruppi islamisti: proprio in quest’area è avvenuto il recente rapimento del missionario padre Pierluigi Maccalli. Il fondamentalismo islamista agisce anche in Indonesia, dove il 13 maggio 2018, attacchi a tre chiese a Surabaya hanno causato 13 vittime, ma a soffrire sono anche buddisti e musulmani sciiti. In Bangladesh sono stati uccise in un attacco 22 persone.
Drammatica, prosegue il report, la situazione della comunità cristiana in Palestina. Negli ultimi sei anni i cristiani a Gaza sono diminuiti del 75%: da circa 4.500 a 1.000. Tra il 2016 e il 2018 in Egitto si sono registrati cinque gravi attentati; l’ultimo, lo scorso 2 novembre, al bus di pellegrini copti a Minya. Un’altra piaga che affligge la comunità cristiana egiziana è il rapimento e la conversione forzata all’Islam di adolescenti, ragazze e donne cristiane. Almeno sette le ragazze rapite nell’aprile 2018. Stessa sorte spetta ogni anno a circa 1000 ragazze cristiane e indù in Pakistan. Stupro come arma di guerra e di conversione forzata all’islam impiegato in passato anche in Iraq e Siria.
E in Europa avanza l’antisemitismo, mentre fra il 2016 e il 2018 l’Occidente, e in particolare il nostro continente, ha conosciuto un’ondata di attacchi terroristici motivati dall’odio religioso: «Bruxelles, Londra, Manchester, Berlino, Barcellona, Parigi e altrove – si legge nel rapporto – hanno dimostrato che la minaccia posta dall’estremismo è ormai divenuta universale, imminente e onnipresente».
Il report di Acs evidenza inoltre la “cortina di indifferenza” dietro la quale “le vulnerabili comunità di fede continuano a soffrire”: «Ignorate – accusa il report – da un Occidente secolarizzato -. La maggior parte dei governi occidentali, non ha infatti fornito la necessaria e urgente assistenza alle comunità di sfollati, che desiderano tornare a casa nelle rispettive nazioni dalle quali sono stati costretti a fuggire».
Lo studio richiama il ritorno a Qaraqosh, nella Piana di Ninive in Iraq, di 25.650 cristiani lo scorso giugno, quasi il 50% degli abitanti nel 2014, ma precisa che l’opera di ricostruzione è stata principalmente realizzata da associazioni di beneficenza e organizzazioni della Chiesa: «Senza le quali – precisa Acs – la comunità cristiana nella regione avrebbe seriamente rischiato di scomparire. I governi occidentali, a cui sono stati rivolti appelli e urgenti richieste d’aiuto, hanno deluso le aspettative di cristiani e yazidi, riconosciuti come vittime di genocidio».
Da qui la riflessione finale sulla libertà religiosa: «Che non è un diritto fra i tanti e neppure un ‘privilegio’ chiesto per la Chiesa – sottolinea il cardinale Mauro Piacenza, presidente internazionale di Aiuto alla Chiesa che soffre -. È piuttosto la roccia ferma su cui i diritti umani si fondano saldamente. Presumere di risolvere le tensioni a tema religioso con l’eliminazione del fattore religioso dall’orizzonte culturale e sociale è un vicolo cieco, perché il senso religioso degli uomini emerge con rinnovata forza. Uno Stato realmente progredito, non è quello nel quale viene limitata la libertà religiosa dei cittadini o marginalizzato il fattore religioso, bensì quello in cui il religioso trova adeguati spazi di sviluppo».
Secondo il porporato, se non si teme la verità non si può temere la libertà: «Dobbiamo lavorare congiuntamente – esorta – perché sempre più ampi spazi di libertà siano riconosciuto in ogni regione e ad ogni uomo riguardo all’aspetto religioso. Difendere la libertà religiosa, significa difendere tutto l’uomo e difendere ogni uomo. Ecco perché la Santa Sede prosegue nell’instancabile tentativo di un dialogo che possa fare qualche passo avanti».