“Cristo non guarisce tutti i malati, ma li salva spalancandogli il paradiso”
"Malgrado questa disabilità - sottolinea Lucia Maiolino, componente della Consulta diocesana della Pastorale della salute -, questa fragilità, io sono chiamato/a ad essere un discepolo, un apostolo, un missionario dentro l’ambiente in cui vivo, nella famiglia, nella Chiesa, nella società. Papa Francesco, incontrando il Centro volontari della sofferenza, ci ha detto “Voi siete un dono per la Chiesa”
«Gesù, camminando sulle strade della Palestina, quanti malati ha guarito? Tanti, ma li ha guariti tutti? No, ne ha guariti tanti, ma non tutti, perché questo non è possibile, non è nella realtà della condizione umana. Ma Lui ha posto il segno, la possibilità, che per questa realtà umana, pur ferita e affaticata, il paradiso e la creazione nuova siano possibili, potendo essere una realtà». Lo ha affermato lunedì sera l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, presiedendo la Santa messa nella parrocchia di Sant’Antonio di Padova a Montesilvano in occasione della Giornata mondiale del malato – nel giorno in cui la Chiesa ha ricordato la memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes – dal tema “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”.
Una tematica, quest’ultima, sviluppata dal messaggio di Papa Francesco che, prima della celebrazione eucaristica, è stata meditata attraverso la riflessione di Lucia Maiolino: «Il Papa – esordisce la componente della Consulta diocesana della Pastorale della salute – ha avuto un pensiero per i malati, i disabili e gli operatori sanitari. È bello ritrovarsi qui tutti insieme, ma questa non è una giornata fatta per parlare di noi e basta. È una giornata che vorrebbe concludere un anno di cammino dove tutti siamo impegnati in un discorso d’accoglienza, di servizio, d’amore scambievole e noi ci auguriamo che queste parole del Santo Padre possano realizzarsi sempre, non solo in questo ambiente».
In questo messaggio, in particolare, una delle due parole che il Pontefice ha messo in risalto è stata “accoglienza”: «Nel senso – spiega la Maiolino – di una relazione che possa instaurarsi tra le persone, sane o malate, e poi tra i disabili, i volontari, gli operatori pastorali e i sanitari. Se non viviamo una relazione che ci accomuna un po’ tutti in un discorso di scambio e di amore reciproco, se non siamo capaci di questo, non possiamo dirci cristiani. Immaginate di stare davanti al mare, ad un lago, ad un fiume o ad un torrente. Buttiamoci un sasso dentro e vediamo come cerchi concentrici si aprono, si allargano. Ecco, questa è la nostra relazione. Cristo è al centro, dove buttiamo il sasso, e i cerchi concentrici che siamo noi e, partendo dall’amore di Dio, allargano il nostro amore ricevuto gratuitamente e lo portiamo in circolo agli altri».
La seconda parola messa in risalto dal messaggio dal Papa è stata poi gratuità: «Di solito ci aspettiamo – osserva la componente della Consulta diocesana della Pastorale della salute – che quando facciamo qualcosa per l’altro, qualcos’altro ci torni indietro, ma non è così. La gratuità di Dio è tutta diversa “Io ti dono il mio amore, la mia compassione, il mio perdono e non mi aspetto niente in cambio”. Allora noi dobbiamo imparare che nella gratuità ricevuta da Dio, attraverso la Chiesa, i sacramenti, la famiglia e la comunità, riceviamo questo amore gratuito e gratuitamente dobbiamo essere in grafo di ridonare questo amore. Questo è il circolo che si deve innescare intorno a Dio e intorno a noi».
Un esempio testimoniato da molte figure di santità: «Tra gli altri – ricorda Lucia Maiolino – Papa Francesco ha menzionato Santa Madre Teresa di Calcutta, la quale ha accolto la gratuità dell’amore di Dio nella sua vita, facendo dono di se stessa con altrettanta gratuità senza pensare a chi aveva davanti. E allora dobbiamo essere in grado di seguire quest’esempio, che non vale solo per volontari, medici, operatori sanitari e pastorali, ma vale anche per noi. Davanti a me ho tante persone che vivono una malattia o hanno una disabilità e non siamo esenti da questa gratuità. Siamo soggetti d’azione qui ed ora e non importa che io non senta, non veda, non cammini, non capisca fino in fondo ciò che sto vivendo. Malgrado questa disabilità, questa fragilità, io sono chiamato/a ad essere un discepolo, un apostolo, un missionario dentro l’ambiente in cui vivo, nella famiglia, nella Chiesa, nella società. Papa Francesco, incontrando il Centro volontari della sofferenza, ci ha detto “Voi siete un dono per la Chiesa”. Anch’io sono chiamata a testimoniare nella Chiesa il dono che sono diventata, non perché ho avuto il dono della sofferenza che non è un dono di Dio, ma diventa un dono nel momento in cui nella mia fragilità, nella mia sofferenza, sono capace di rispondere all’amore di Dio con gratuità, con amore, e posso diventare un soggetto attivo di evangelizzazione. Questo ce lo ha detto per primo San Giovanni Paolo II, quando ha scritto l’esortazione apostolica Christifideles laici, dove dice che anche malati e disabili sono chiamati ad essere soggetti attivi nella Chiesa».
E i malati sono stati protagonisti anche del brano del Vangelo di Marco, al centro della liturgia eucaristica di lunedì, che l’arcivescovo Valentinetti ha approfondito partendo dal ricordare come l’armonia del paradiso terrestre, ad un certo punto, viene interrotta: «Ma Dio – interroga il presule -, sommo bene, tutto il bene, ogni bene, poteva lasciare le cose così, poteva lasciare che questa creatura umana, che questo cosmo, che questa bellezza rimanesse per sempre sconfitta? No, non era assolutamente possibile, e allora ecco il Vangelo in cui Gesù predica a Gennèsaret, la gente lo riconosce e inizia a portargli barelle con malati ovunque udivano che si trovasse. L’intuizione della gente è stata che Gesù era il segno per sanare la frattura che si era creata e Lui la sana. Gesù ricostituisce il paradiso terrestre, perché laddove giungeva in villaggi, città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello. Di quanti lo toccavano, attenzione, il Vangelo non dice che venivano guariti, ma che venivano salvati e ricostituiti nella bellezza iniziale. Non perché il miracolo, in quanto tale, faceva tutto questo, ma perché il miracolo era il segno esterno che il paradiso è ancora possibile, che il paradiso non è ancora stato chiuso per sempre, ma viene rispalancato fortemente e potentemente».
Tutto questo, dunque, avviene non perché necessariamente connesso a miracoli di guarigione: «Perché – ribadisce monsignor Tommaso Valentinetti – Dio qualcuno lo guarisce e qualcuno no, ma questo rientra nel mistero imperscrutabile della sua divinità, ma i segni di un amore infinito che spalanca ancora una volta il paradiso e la creazione nuova questi sì, ce li dà e noi ci aggrappiamo con tutte le nostre forze a questa speranza e la facciamo diventare nostra. Con la nostra vita, il nostro sì, ancora una volta al Signore, unito al sì di Maria, costruiamo insieme un pezzetto di paradiso. Amen».