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Fratelli tutti: “Reagire con un nuovo sogno di fraternità e amicizia sociale”

"In questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana - sottolinea Papa Francesco -, possiamo far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità"

È l’obiettivo posto da Papa Francesco alla base della sua terza enciclica

Papa Francesco

È appena stata diffusa, venendo regalata anche ai fedeli che hanno partecipato all’Angelus domenicale in piazza San Pietro, la terza enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, composta da 8 capitoli, firmata ieri ad Assisi: «Le questioni legate alla fraternità e all’amicizia sociale sono sempre state tra le mie preoccupazioni».

Queste le parole con cui il Papa ha introdotto il documento magisteriale sulla fraternità, nel quale ha raccolto gli interventi sul tema ampliandone il contesto di riflessione: «Se nella redazione della Laudato si’ – premette il Pontefice – ho avuto una fonte di ispirazione nel mio fratello Bartolomeo, in questo caso mi sono sentito stimolato in modo speciale dal Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, con il quale mi sono incontrato ad Abu Dhabi per ricordare che Dio ha creato tutti gli esseri umani uguali nei diritti, nei doveri e nella dignità, e li ha chiamati a convivere come fratelli tra di loro».

L’enciclica raccoglie e sviluppa grandi temi, proposti nel Documento sulla fratellanza umana firmato insieme il 2 febbraio 2019, oltre a “numerosi documenti e lettere” ricevute da “tante persone e gruppi di tutto il mondo”. Il tema dell’enciclica è: la “dimensione universale” della fraternità, la sua “apertura a tutti”, non solo ai credenti ma a “tutte le persone di buna volontà”. Il suo obiettivo è invece: «Reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale – scrive il Santo Padre – che non si limiti alle parole. Bisogna sognare insieme, perché da soli si rischia di avere dei miraggi. In questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità».

La prima denuncia di Papa Bergoglio riguarda la pandemia: «Il Covid-19 – ha messo in luce le nostre false sicurezze e la nostra incapacità di vivere insieme. Che non sia stato l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare. Che non ci dimentichiamo degli anziani morti per mancanza di respiratori, in parte come effetto di sistemi sanitari smantellati anno dopo anno. Che un così grande dolore non sia inutile, che facciamo un salto verso un nuovo modo di vivere e scopriamo una volta per tutte che abbiamo bisogno e siamo debitori gli uni degli altri».

A detta del Papa, il Covid-19 è stato l’ultimo evento ad aver amplificato il dramma sociale della solitudine in cui viviamo: «Siamo più soli che mai in questo mondo massificato – constata Papa Francesco -, che privilegia gli interessi individuali e indebolisce la dimensione comunitaria dell’esistenza. L’avanzare di questo globalismo favorisce normalmente l’identità dei più forti che proteggono sé stessi, ma cerca di dissolvere le identità delle regioni più deboli e povere, rendendole più vulnerabili e dipendenti.  La politica diventa sempre più fragile di fronte ai poteri economici transnazionali e domina una sorta di “decostruzionismo”, per cui la libertà umana pretende di costruire tutto a partire da zero. Sono le nuove forme di colonizzazione culturale, per cui anche la politica diventa scontro di interessi che ci pone tutti contro tutti, dove vincere viene ad essere sinonimo di distruggere” e i verbi dominanti diventano “esasperare, esacerbare e polarizzare».

I risultati di queste tendenze si riflettono concretamente sulla nostra vita quotidiana, a partire dal mondo occupazionale: «L’ossessione di ridurre i costi del lavoro, senza rendersi conto delle gravi conseguenze che ciò provoca – prende ad esempio Francesco -, perché la disoccupazione che si produce ha come effetto diretto di allargare i confini della povertà». È questo uno degli effetti della “cultura dello scarto”, stigmatizzata ancora una volta dal Papa nella “Fratelli tutti”: «Lo scarto, inoltre – aggiunge il Papa -, assume forme spregevoli che credevamo superate, come il razzismo, che si nasconde e riappare sempre di nuovo. Le espressioni di razzismo rinnovano in noi la vergogna, dimostrando che i presunti progressi della società non sono così reali e non sono assicurati una volta per sempre. Ci sono regole economiche che sono risultate efficaci per la crescita, ma non altrettanto per lo sviluppo umano integrale. È aumentata la ricchezza, ma senza equità, nascono nuove povertà. Mentre una parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati».

Vittime di tutto questo sono, in particolare, le donne  che con crimini come la tratta – insieme ai bambini – vengono «private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù – denuncia ancora il Pontefice -. Così come è inaccettabile che una persona abbia meno diritti per il fatto di essere donna, così è altrettanto inaccettabile che il luogo di nascita o di residenza già di per sé determini minori opportunità di vita degna e di sviluppo». Successivamente il Papa ha riflettuto su questa società dominata sempre più da relazioni digitali: «La connessione digitale non basta per gettare ponti – ammonisce il Santo Padre, nella parte dell’enciclica dedicata all’“illusione della comunicazione” -, non è in grado di unire l’umanità».

Per questo Bergoglio ha condannato «il pullulare di forme insolite di aggressività, di insulti, maltrattamenti, offese, sferzate verbali fino a demolire la figura dell’altro. L’aggressività sociale trova nei dispositivi mobili e nei computer uno spazio di diffusione senza uguali. Ciò ha permesso che le ideologie abbandonassero ogni pudore. Quello che fino a pochi anni fa non si poteva dire di nessuno senza il rischio di perdere il rispetto del mondo intero, oggi si può esprimere nella maniera più cruda anche per alcune autorità politiche e rimanere impuniti. Senza contare che, nel mondo digitale, operano giganteschi interessi economici, capaci di realizzare forme di controllo tanto sottili quanto invasive, creando meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico. Il funzionamento di molte piattaforme finisce spesso per favorire l’incontro tra persone che la pensano allo stesso modo, ostacolando il confronto tra le differenze. Questi circuiti chiusi facilitano la diffusione di informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio. Oggi tutto si può produrre, dissimulare, modificare, ma la saggezza non si fabbrica con impazienti ricerche in internet», per il Papa ha bisogno dell’incontro concreto con l’altro. Inoltre, Papa Francesco ha ricordato la recrudescenza del sentimento dell’indifferenza verso il prossimo: «Siamo cresciuti in tanti aspetti – osserva -, ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente».

A tal proposito, Francesco cita il Buon Samaritano come icona della capacità di accogliere e di prendersi cura dell’altro, unico antidoto per una «società malataperché mira a costruirsi voltando le spalle al dolore». Un male contro cui il Santo Padre propone l’unico vaccino possibile: «Si può rifare una comunità – illustra – a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune. Vivere indifferenti davanti al dolore non è una scelta possibile; non possiamo lasciare che qualcuno rimanga ai margini della vita. Ogni giorno ci troviamo davanti alla scelta di essere buoni samaritani oppure viandanti indifferenti che passano a distanza. Ogni giorno ci viene offerta una nuova opportunità, una nuova tappa. Oggi siamo di fronte alla grande occasione di esprimere il nostro essere fratelli, di essere altri buoni samaritani che prendono su di sé il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti».

In un successivo capitolo, il Papa ha parlato di pace: «È possibile desiderare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro a tutti – auspica -. Questa è la vera via della pace, e non la strategia stolta e miope di seminare timore e diffidenza nei confronti di minacce esterne». Il Pontefice parla di “amicizia sociale” come via per «sognare e pensare ad un’altra umanità, seguendo la logica della solidarietà e della sussidiarietà per superare l’”inequità” planetaria già denunciata nella Laudato sì.  La pace reale e duratura è possibile solo a partire da un’etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall’interdipendenza e dalla corresponsabilità nell’intera famiglia umana. Quanti pretendono di portare la pace in una società, non devono dimenticare che l’inequità e la mancanza di sviluppo umano integrale non permettono che si generi pace. Quando la società – locale, nazionale o mondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare illimitatamente la tranquillità. Se si tratta di ricominciare, sarà sempre a partire dagli ultimi».

Nell’enciclica non manca anche un riferimento ai migranti: «Arrivare ad una governance globale per le migrazioni, anche per evitare una sclerosi culturale dei migranti». È l’auspicio del Papa, espresso nel quarto capitolo di “Fratelli tutti”, dedicato integralmente alla questione dei migranti, da «accogliere, promuovere, proteggere e integrare. Piena cittadinanza e rinuncia all’uso discriminatorio del termine minoranze». Questa l’indicazione per quanti sono arrivati da tempo e sono inseriti nel tessuto sociale: «La cultura dei latini, ad esempio – spiega Francesco -, è un fermento di valori e possibilità che può fare tanto bene agli Stati Uniti. L’aiuto reciproco tra Paesi in definitiva va a beneficio di tutti. Lo sviluppo solidale di tutti i popoli andrà a vantaggio di tutto il pianeta. La vera qualità dei diversi Paesi del mondo si misura da questa capacità di pensare non solo come Paese, ma anche come famiglia umana, e questo si dimostra specialmente nei periodi critici. No ai “nazionalismi chiusi”, l’immigrato non è un usurpatore. La fraternità universale e l’amicizia sociale all’interno di ogni società sono due poli inseparabili e coessenziali. Ci vuole reciproca inclusione, perché nessun popolo, nessuna cultura o persona può ottenere tutto da sé. La proposta concreta è quella di un “vicinato” da attuare non solo nel quartiere, ma anche tra Paesi vicini. Oggi nessuno Stato nazionale isolato è in grado di assicurare il bene comune della propria popolazione».

In seguito il Pontefice prende le distanze dal populismo, che considera cosa ben diversa dall’essere al fianco del popolo per interpretarne il sentire: «Ci sono leader popolari – riflette – capaci di interpretare il sentire di un popolo, ma ciò degenera in insano populismo quando si muta nell’abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere. Altre volte, invece, mira ad accumulare popolarità fomentando le inclinazioni più basse ed egoistiche di alcuni settori della popolazione. Ciò si aggrava quando diventa, in forme grossolane o sottili, un assoggettamento delle istituzioni e della legalità. I gruppi populisti chiusi deformano la parola ‘popolo’, poiché in realtà ciò di cui parlano non è un vero popolo, perché la categoria di “popolo” è aperta. Un’altra espressione degenerata di un’autorità popolare è la ricerca dell’interesse immediato, in base alla quale si risponde a esigenze popolari allo scopo di garantirsi voti o appoggio. No, allora, al “populismo irresponsabile”, ma anche all’accusa di populismo verso tutti coloro che difendono i diritti dei più deboli della società».

Nell’enciclica “Fratelli tutti” si parla anche di economia: «Il mercato da solo non risolve tutto», ribadisce il Santo Padre scagliandosi contro la magica teoria del “traboccamento” o del “gocciolamento” come unica via per risolvere i problemi sociali: «La speculazione finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua a fare strage – l’ulteriore denuncia di Francesco -. Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare. La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato e che, oltre a riabilitare una politica sana non sottomessa al dettato della finanza, dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno». Da qui l’indicazione del Papa ad ascoltare i “movimenti popolari”, definendoli “poeti sociali” da includere affinché la democrazia non si atrofizzi. Secondo Francesco, inoltre, è necessaria una riforma «sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni». In particolare, occorre evitare che l’Onu sia delegittimato, «perché i suoi problemi e le sue carenze possono essere affrontati e risolti congiuntamente».

Di seguito, il Papa torna a parlare dei politici: «Le maggiori preoccupazioni di un politico – sottolinea – non dovrebbero essere quelle causate da una caduta nelle inchieste, bensì dal non trovare un’effettiva soluzione al fenomeno dell’esclusione sociale ed economica, con le sue tristi conseguenze di tratta degli esseri umani, commercio di organi e tessuti umani, sfruttamento sessuale di bambini e bambine, lavoro schiavizzato, compresa la prostituzione, traffico di droghe e di armi, terrorismo e crimine internazionale organizzato. La politica è più nobile dell’apparire, del marketing, di varie forme di maquillage mediatico». Traccia poi l’identikit del “buon politico”, che a livello mondiale dovrebbe assumere come suo primo impegno quello di «eliminare effettivamente la fame. Mentre nella società attuale proliferano i fanatismi, le logiche chiuse e la frammentazione sociale e culturale, un buon politico fa il primo passo perché risuonino le diverse voci. È vero che le differenze generano conflitti, ma l’uniformità genera asfissia e fa sì che ci fagocitiamo culturalmente». Per questo, il Papa ha fatto nuovamente riferimento all’appello lanciato da Abu Dhabi «agli artefici della politica internazionale e dell’economia mondiale», insieme con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb, ad «impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace intervenire, quanto prima possibile, per fermare lo spargimento di sangue innocente. E quando una determinata politica semina l’odio e la paura verso altre nazioni in nome del bene del proprio Paese, bisogna preoccuparsi, reagire in tempo e correggere immediatamente la rotta».

Nella parte finale dell’enciclica, Papa Bergoglio si scaglia anche contro le fake news: «Occorre esercitarsi a smascherare le varie modalità di manipolazione, deformazione e occultamento della verità negli ambiti pubblici e privati – esorta -. Ciò che chiamiamo ‘verità’ non è solo la comunicazione di fatti operata dal giornalismo, e nemmeno semplice consenso tra i vari popoli, ugualmente manipolabile. Oggi ad un individualismo indifferente e spietato e al “relativismo”, si somma il rischio che il potente o il più abile riesca a imporre una presunta verità. Invece, di fronte alle norme morali che proibiscono il male intrinseco non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno. Essere il padrone del mondo o l’ultimo ‘miserabile’ sulla faccia della terra non fa alcuna differenza. Davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente uguali. Accettare che ci sono alcuni valori permanenti, benché non sia sempre facile riconoscerli, conferisce solidità e stabilità a un’etica sociale. Anche quando li abbiamo riconosciuti e assunti grazie al dialogo e al consenso, vediamo che tali valori di base vanno al di là di ogni consenso, li riconosciamo come valori che trascendono i nostri contesti e mai negoziabili. Che ogni essere umano possiede una dignità inalienabile è una verità corrispondente alla natura umana al di là di qualsiasi cambiamento culturale. Perciò l’essere umano possiede la medesima dignità inviolabile in qualunque epoca storica e nessuno può sentirsi autorizzato dalle circostanze a negare questa convinzione o a non agire di conseguenza».

Nella “Fratelli tutti” il Pontefice ha citato anche un verso di una canzone di Vinicius de Moraes, “La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita”, per rilanciare la sua concezione della società come un poliedro, sollecitando a riscoprire la virtù della gentilezza, simbolo della cultura dell’incontro: «Il poliedro – precisa – rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda, benché ciò comporti discussioni e diffidenze. Riconoscere all’altro il diritto di essere sé stesso e di essere diverso, è uno dei pilastri della cultura dell’incontro, senza il quale non è possibile dar vita a un patto sociale e si generano forme visibili o più subdole di violenza. Quando una parte della società pretende di godere di tutto ciò che il mondo offre, come se i poveri non esistessero, questo a un certo punto ha le sue conseguenze. Ignorare l’esistenza e i diritti degli altri, prima o poi provoca qualche forma di violenza, molte volte inaspettata. La pratica della gentilezza non è un particolare secondario né un atteggiamento superficiale o borghese. Dal momento che presuppone stima e rispetto, quando si fa cultura in una società trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti».

Infine, il Pontefice ha ricordato la Shoah e altri grandi disastri provocati dalla guerra: «La Shoah non va dimenticata – ammonisce -. Mai più la guerra, mai più bombardamenti a Hiroshima e Nagasaki, “no” alla pena di morte. È facile oggi cadere nella tentazione di voltare pagina, dicendo che ormai è passato molto tempo e che bisogna guardare avanti. No, per amor di Dio! Senza memoria non si va mai avanti. Non mi riferisco solo alla memoria degli orrori, ma anche al ricordo di quanti, in mezzo a un contesto avvelenato e corrotto, sono stati capaci di recuperare la dignità e con piccoli o grandi gesti hanno scelto la solidarietà, il perdono, la fraternità.  Quanti perdonano davvero non dimenticano, ma rinunciano ad essere dominati dalla stessa forza distruttiva che ha fatto loro del male. Spezzano il circolo vizioso, frenano l’avanzare delle forze della distruzione. Decidono di non continuare a inoculare nella società l’energia della vendetta, che prima o poi finisce per ricadere ancora una volta su loro stessi. La guerra non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante a partire dallo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie, si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile, che colpisce molti civili innocenti».

About Davide De Amicis (4378 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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