Famiglie: “Dovremmo lasciar parlare il vostro vissuto quotidiano come Vangelo”
"Come parrocchie – esorta Padre Francesco Occhetta - dobbiamo donare spazi per centuplicare le relazioni. Attenzione alla trappola del populismo, bisogna tornare alla centralità della famiglia che è la palestra dove si sperimenta la dimensione fraterna"
«Non è un tempo sospeso perché non è sospesa la nostra vita, anzi è da vivere con tutti noi stessi». Lo ha affermato venerdì monsignor Stefano Russo, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, riferendosi al periodo di pandemia in apertura del VI Convegno nazionale degli incaricati di pastorale familiare, che si è svolto fino a ieri in modalità telematica: «Si sta – osserva – come delle famiglie che cercano di indirizzare lo sguardo su ciò che conta. Abbiamo capito come la famiglia sia una piccola Chiesa. Mi permetto di dire che soprattutto voi che conoscete i tempi e gli spazi dovreste proporre qualcosa di sensato, dovremmo lasciar parlare il vostro vissuto quotidiano come Vangelo». Quindi il presule ha ripreso le parole pronunciate da Papa Francesco nell’omelia di Pentecoste “Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”: «Ogni convegno – continua il segretario della Cei – porta con sè un carico di vita e passioni necessari per portare avanti la nostra vita. In questo tempo abbiamo bisogno di motivazioni più solide per stare in piedi. Penso sia umano e vero che siamo invitati a dirci cose fondamentali per la nostra vita. Alle famiglie auguro di stare in piedi nell’oggi, continuiamo a farlo insieme, buon lavoro!».
Successivamente ha preso la parola monsignor Valentino Bulgarelli, direttore dell’Ufficio catechistico della Cei: «Se siamo davanti a un cambiamento – riflette -, allora c’è la possibilità di ripensare insieme la proposta dell’annuncio di catechesi, di accompagnare la crescita e l’esperienza di fede che chiede di essere maturata». In seguito Bulgarelli ha parlato del lavoro, dal titolo “Ripartiamo insieme”, realizzato insieme ad altri uffici della Cei, all’Azione Cattolica e all’Agesci, sulla catechesi in tempo di pandemia: «Questo testo – spiega – è frutto di una condivisione ampia. Dai vissuti sono emersi alcuni aspetti come l’importanza dell’anno liturgico. Stiamo riscoprendo una cadenza del tempo determinata dalla vita di Gesù, ci sta aiutando a ritrovare dei ritmi, a recuperare le fonti, la forza dei gesti, a descolarizzare la catechesi. Molte diocesi hanno assunto come principio quello di cominciare il catechismo con la prima domenica di avvento. Il testo ci lascia quattro parole chiave: comunità, ascolto, narrazione e creatività. Credo si possa aprire un cammino interessante nei prossimi mesi. Nulla sarà come prima».
Durante i lavori è stata poi richiamata più volte l’enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti” di cui il cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, ha approfondito i passaggi dedicati alla famiglia: «Dobbiamo – afferma il porporato – imparare a vivere nella casa comune del mondo non da estranei o indifferenti, ma come fratelli e scoprire che non possiamo non esserlo a cominciare da noi. La Chiesa non è un insieme di associati. L’estraneo è socio. Le pandemie c’erano pure prima. Pensavamo di vivere in un mondo sano, mentre era già malato. È bastato un virus per farci rompere la bolla di sapone e capire che siamo tutti nella stessa barca. Non è scontato che usciremo migliori, di sicuro cambieremo». Inoltre, secondo il cardinale Zuppi, il grande nemico di “Fratelli tutti” è l’individualismo: «Passata la pandemia – sottolinea l’arcivescovo di Bologna – c’è il rischio di ricominciare a essere come prima. Per capire chi sono devo donarmi. Tutta l’enciclica si fonda su questa visione». Il cardinale ha però diffidato tutti dal credere che la vita si possa ridurre al nucleo familiare: «Se la relazione della famiglia si apre agli altri – precisa – è veramente sana e autentica». Infine il cardinale ha ricordato le crisi sociali che in Italia la pandemia sta generando nelle fasce di popolazioni già fragili da prima, auspicando che «la politica si accorga dei problemi e risponda alle necessità».
Ha invece lanciato un invito Padre Francesco Occhetta, docente alla Pontificia Università Gregoriana: «Come parrocchie – esorta – dobbiamo donare spazi per centuplicare le relazioni. Attenzione alla trappola del populismo, bisogna tornare alla centralità della famiglia che è la palestra dove si sperimenta la dimensione fraterna». Tornando all’enciclica “Fratelli tutti”, il docente ha invitato a concentrarsi sulla settima parte: «Nei rapporti che si rompono – approfondisce –, invece di pagare con la vendetta, la Chiesa chiede di ricostruire i rapporti con la riabilitazione, la ristrutturazione dei legami rotti a partire dal dolore della vittima, da una dimensione di bontà. È un’utopia? Non abbiamo una terza via. Una famiglia può ripartire dalle parole, dalla formazione, dalla testimonianza, dalla costituzione del bene comune. Il primo modo che vedo è di tenere le porte aperte sia delle famiglie sia delle chiese, perché abbiamo bisogno di luoghi. Per la vita cristiana e la Chiesa dire ‘ti amo’ significa ‘eccomi’. La prossimità si riprende nel bisogno, nella ricostruzione della verità e nella proposta di una dimensione. Le famiglie che tengono la porta aperta ci riempiono di vita. Più si spezza il pane, più noi riceviamo vita. Nello spazio pubblico come Chiesa dobbiamo porre il come vivere gli spazi e le relazioni, di come questo influisca sulla qualità della vita».