Natale: “Tempo da riempire con la stessa tenerezza di Maria e Giuseppe verso Gesù”
"Che la speranza - auspica l'arcivescovo Valentinetti - continui ad albergare nei nostri cuori, che la fede continui ad essere fortemente accesa e lo è, perché se siamo qui a celebrarei divini misteri e ci siamo non perché siamo tanti, ma perché questi divini misteri continuano ad essere la lode, il ringraziamento, l’affidamento nostro e di tutta l’umanità nelle mani del Signore. Il il mio augurio di Natale a tutti nella vera pace, nella vera gioia, nella vera serenità, nella vera speranza che Dio è con noi. Dio non è contro di noi""
È partita dal senso di vuoto che si percepisce entrando nella chiese aperte ad ingressi ridotti, nel rispetto delle prescrizioni anti-contagio Covid-19, la riflessione dell’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti nella messa della notte di Natale anticipata, nel rispetto del coprifuoco, ieri sera alle 19.30 nella chiesa dello Spirito Santo a Pescara.
Una celebrazione avviata dal tradizionale canto della Kalenda, l’annuncio liturgico del Natale del Signore, con la scopritura del Bambinello all’interno del presepe allestito ai piedi dell’altare: «Entrando in chiesa – ammette il presule – siamo rimasti smarriti. La notte di Natale siamo abituati ad avere tanta gente, banchi pieni, e invece quest’anno siamo contingentati. Banchi vuoti, un solo posto nelle sedie. Insomma, c’è un po’ di vuoto e la realtà non si deve disconoscere. E questa realtà mi ha portato a fare una riflessione sull’esperienza che devono avere fatto Maria e Giuseppe, rifiutati o per lo meno non convenientemente ospitati in un alloggio, trovando il vuoto su dove poter alloggiare. Dalle poche parole del Vangelo si comprende come potesse essere una grotta dei pastori dove trovarono rifugio, tant’è vero che il Bambino Gesù che nasce è deposto in una mangiatoia. Questa è l’esperienza del vuoto, dell’assoluto vuoto, in cui irrompe Dio. Sì, così come aveva fatto irruzione nell’assoluto vuoto del grembo di una vergine che l’aveva accolto, ora irrompe nella storia nascendo in un altro luogo, in un luogo oscuro sulla faccia della terra. Sì, c’era stata quella profezia “E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei l’ultimo capoluogo di Giuda. Da te nascerà Colui che dovrà pascere Israele”, ma nessuno se la ricorda. In realtà, in quel momento c’è il vuoto. Ci sono solo questi poveri uomini che si guadagnano la vita custodendo il loro gregge e, nell’assoluto silenzio, irrompe Dio».
Monsignor Valentinetti si è particolarmente soffermato sul concetto di “irruzione” di Dio: «Il testo evangelico – approfondisce – ci parla di una miriade di angeli, che cantano ed esultando di fronte a questo evento. Una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra. Pace agli uomini che Egli ama”. Ma è solo un segno percepito da pochi, percepito da quegli astanti (i pastori) che – come ci dirà la pagina del Vangelo della messa di Natale – si dicevano l’un l’altro “Andiamo dunque anche noi fino a Betlemme, a vedere questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. Ma in questo vuoto, in questo segno e in queste poche persone, prende forma quel grande progetto di Dio che abbiamo ascoltato nel canto della Kalenda all’inizio della celebrazione. Un progetto di Dio che risale al molti millenni fa, quando Dio si era degnato di fare un patto con Abramo e da questo patto aveva fatto discendere la realizzazione di tutte le sue promesse, fino a quella ultima realizzata, il suo Figlio, il Messia, sarebbe entrato nel mondo. Tante volte il popolo d’Israele si è scoraggiato, non riusciva a vedere, non riusciva a capire, non riusciva a scorgere le linee di questo patto, di questi eventi che si sarebbero dovuti succedere. E tante volte i profeti avevano chiamato il popolo d’Israele a una fedeltà, a questo patto, a questa alleanza fino a questo bellissimo testo di questa sera con il popolo che camminava nelle tenebre e vede una grande luce “Su coloro che abitavano in terra tenebrosa, una luce rifulse… Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia”».
Da qui il riferimento all’attualità: «Cari fratelli – osserva il presule – io credo che questo sia simbolico di quanto stiamo vivendo in questi tempi. Stiamo sperimentando un vuoto, perché non dircelo? Stiamo sperimentando il vuoto di tante persone care che ci stanno lasciando. Quest’anno sperimenteremo anche il vuoto dell’impossibilità di relazioni consuete che, in qualche modo, ci facevano tanto piacere e riempivano di gioia queste giornate. Si sta sperimentando un vuoto, molte volte, anche dell’incapacità di essere pronti a rispondere alle sfide che una situazione del genere sta tracciando dentro la storia dell’umanità. Dentro questo vuoto, probabilmente, molti possono perdere la fede. Qualcuno può darsi che si allontani dalla fede e dalla consuetudinaria partecipazione ai divini misteri».
Partendo da questo presupposto, il presule ha rivolto ai fedeli pescaresi un’esortazione: «Io credo – afferma – che questo Natale sia il tempo da riempire di una grande presenza. Una presenza, forse, più che mai quest’anno silenziosa. Una presenza delicata, una presenza semplice, una presenza che è fatta di tanta tenerezza, così come la tenerezza di quella mamma e di quel papà nei confronti di quel bambino nella grotta di Betlemme. La tenerezza è il pensiero di una vicinanza a quelli che in ospedale sono morti e non hanno avuto la tenerezza dei loro cari in un commiato bello, come può accadere nelle circostanze della conclusione della vita. La tenerezza nei confronti di chi si sta prendendo cura di loro. La tenerezza nei confronti di tante persone che in questi giorni, settimane e mesi, stanno sperimentando la vita ancor più amara e difficile del consueto. La tenerezza e la semplicità che, forse, la grande riflessione da consegnare nelle mani, nel cuore e nella mente di chi ci deve guidare con le decisioni da un punto di vista di pubbliche responsabilità».
Nel finale l’arcivescovo Valentinetti ha rivolto un incoraggiamento, facendo riferimento alla seconda lettura (la lettera di San Paolo apostolo a Tito): «Perché, nonostante tutto – rilancia l’arcivescovo di Pescara-Penne – nonostante la realtà così complessa, questa pagina ci fa riprofessare la nostra fede. “È apparsa la grazia di Dio che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare le empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, giustizia e pietà nell’attesa di un incontro finale con Cristo che tornerà nella gloria”. Potessero diventare vere queste parole per tanti, per tutti. Essere capaci di accogliere questo segno che ci viene dato da una realtà umana, profondamente umana, semplicemente umana, ma che ci possa far capire quanto è necessario rinnegare l’empietà e i desideri mondani e vivere in questo mondo con maggiore sobrietà e con maggiore semplicità. Tutto questo attingendo da quella semplicità e da quel vuoto di quella grotta di Betlemme, con giustizia e pietà, fino a quando il Signore tornerà a darci la ricompensa sperata nell’ultimo giorno, nella manifestazione non solamente di pochi angeli che cantano il gloria a Dio nell’alto dei cieli, ma la manifestazione di un gloria che si imporrà senza riserve, senza fine, e sarà la gloria del grande Dio e salvatore Gesù Cristo.
Tutto ciò perché è accaduto? Perché Lui è venuto? Qual è la motivazione profonda per insegnarci questa verità, ma anche per formarsi un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone. Dovremmo aspirare di più, noi tutti, a queste verità e diventarne testimoni. Testimoni credibili, testimoni fattivi di queste verità, se vogliamo che questo Natale non passi invano e se vogliamo che quella parola di Papa Francesco, la ripeto in continuazione in questo periodo, “Il grande dramma della pandemia sarebbe quello di doverla sprecare” non cada nel vuoto. Perché se questa realtà non ci ha insegnato tutto questo, non ci ha insegnato a rientrare dentro queste verità, l’abbiamo forse sprecata. Ma Dio non voglia. Che la speranza continui ad albergare nei nostri cuori, che la fede continui ad essere fortemente accesa e lo è, perché se siamo qui a celebrare i divini misteri e ci siamo non perché siamo tanti, ma perché questi divini misteri continuano ad essere la lode, il ringraziamento, l’affidamento nostro e di tutta l’umanità nelle mani del Signore. Con questi sentimenti, il mio augurio di Natale a tutti nella vera pace, nella vera gioia, nella vera serenità, nella vera speranza che Dio è con noi. Dio non è contro di noi».