“La cura è un impegno di tutti, prendiamoci cura gli uni degli altri”
"Un’economia della cura - sottolinea suor Alessandra Smerilli - è un’economia che rimette al centro le persone. È un’economia per la quale tutti possiamo fare qualcosa, ma dobbiamo avere idee chiare sui grandi temi e sulle grandi ingiustizie, che in questo momento si stanno perpetuando nel mondo"

«La cura è un impegno di tutti e tutti dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri». Lo ha affermato lo scorso venerdì sera, 22 gennaio, l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti che nel Santuario della Divina Misericordia a Pescara ha presieduto una veglia di preghiera in occasione della XVI Marcia per la pace. Un evento, quello organizzato dalla Caritas diocesana di Pescara-Penne, che a causa delle restrizioni dovute alla pandemia di Covid-19 non ha potuto svolgersi attraverso il consueto corteo, che ha comunque fatto riflettere anche tenendo i suoi partecipanti seduti tra le navate della chiesa.
Il presule ha tratto la sua riflessione facendo riferimento a molte pagine evangeliche: «Dov’è scritto – spiega – che la sera molti portavano gli infermi ai piedi di Gesù e da una parte si dice che imponeva loro le mani, mentre dall’altra che li guariva. Ma è ancora meglio la traduzione dal greco seconda la quale Gesù “se ne prendeva cura e li curava”. Gesù, a fine giornata, si dedicava a fare un’opera che molte persone in quel momento stesso facevano tornando dal lavoro, ovvero prendersi cura dei malati in casa o, nel caso di quanti non avevano nessuno a casa, portandoli fuori dalla porta della città perché qualcuno se ne prendesse cura. E Gesù era uno di quelli che stava alla porta della città a prendersi cura dei malati».
Da qui il riferimento al messaggio di Papa Francesco in occasione della Giornata mondiale per la pace dell’1 gennaio scorso, dal tema “La cultura della cura come percorso di pace”: «Quest’ultimo – sottolinea l’arcivescovo Valentinetti – si collega molto bene a questo atteggiamento di Gesù, che non è solo il miracolo ma è anche l’impegno umano, è anche l’impegno di ciascuno. Il prendersi cura di un fratello, di una sorella. Ma dato che il Papa ha preso ispirazione dalla realtà attuale, dobbiamo chiederci se questa nostra realtà, nazione o entità sovranazionale si sta prendendo cura della realtà e delle persone che stanno vivendo questa drammatica situazione. Sicuramente c’è una riflessione da fare su questo, perché solo un’equa ripartizione della cura crea il fondamento per una situazione di pace. Infatti dove non c’è un’equa redistribuzione della cura, inevitabilmente si creano divisioni, discordie e incapacità a comprendersi in profondità».

L’indomani, sabato 23 gennaio scorso, è stato un webinar – trasmesso in diretta sui canali social dell’Arcidiocesi di Pescara-Penne – ad approfondire ulteriormente la tematica al centro del messaggio di Papa Francesco. A moderarlo è stato il direttore della Caritas diocesana Corrado De Dominicis, il quale non ha mancato di ricordare l’entrata in vigore del Trattato per la proibizione delle armi nucleari – avvenuta proprio il 22 gennaio – ratificato da 50 Paesi, ma non dall’Italia: «Questa è stata una data significativa per tutta l’umanità – commenta -, ma vogliamo continuare a riflettere affinché questo passo possa essere fatto anche dal nostro Paese del nostro Governo».
Quindi la parola è passata a suor Alessandra Smerilli, docente di economia politica e statistica presso la Pontificia Università Auxilium e consigliera per l’economia presso il Consiglio di Stato Vaticano, che ha approfondito il tema della cultura della cura come percorso di pace in ambito economico: «Papa Francesco – premette l’esperta -, nel messaggio, ci ricorda che quando parliamo di cura parliamo di una cura e custodia dei fratelli, nonché di una cura, custodia e coltivazione della terra. Ma il virus, facendoci fermare, ci ha fatto rendere conto di tante cose, che non sempre abbiamo coltivato e custodito la terra e le relazioni tra di noi. E quando ci mettiamo a parlare di economia, molte volte emergono solo i problemi». Da qui l’obiettivo di riportare la cura al centro dell’economia: «Guarire il mondo, guarire l’economia – sottolinea l’economista -, questo è l’impegno che ci si vuole dare».
A tal proposito, suor Alessandra Smerilli considera come chiave di lettura il secondo capitolo dell’enciclica “Fratelli tutti”: «Che è – spiega – un commento alla parabola del buon samaritano, che viene utilizzata per interpretare i tempi che stiamo vivendo. Al numero 65 si dice “Aggrediscono una persona per la strada, e molti scappano come se non avessero visto nulla. Spesso ci sono persone che investono qualcuno con la loro automobile e fuggono. Pensano solo a non avere problemi, non importa se un essere umano muore per colpa loro. Questi però sono segni di uno stile di vita generalizzato, che si manifesta in vari modi, forse più sottili. Inoltre, poiché tutti siamo molto concentrati sulle nostre necessità, vedere qualcuno che soffre ci dà fastidio, ci disturba, perché non vogliamo perdere tempo per colpa dei problemi altrui. Questi sono sintomi di una società malata, perché mira a costruirsi voltando le spalle al dolore”. Il primo passo per poter vivere una cultura della cura, credo che lo troviamo nella domanda che Gesù fa nella parabola ai dottori della legge “Chi di questi tre ti sembra che sia stato il prossimo?”. Il prossimo dell’uomo mezzo morto caduto in mano ai briganti. Chi è che si è preso cura di lui? Questa domanda ci sta dicendo che se dobbiamo riconoscere il prossimo in uno dei tre, vuol dire che la persona mezza morta sono io. Il primo passo per riconoscere l’importanza della cura, è sentirmi bisognoso di cura. Se questo bisogno lo sento su di me allora potrò fermarmi quando vedrò qualcun altro, vedendo che è in necessità. È una delle lezioni che stiamo imparando da questa pandemia, che può colpirci tutti da un momento all’altro rendendoci bisognosi. Questo è uno dei momenti per imparare a prenderci cura gli uni degli altri».

In seguito l’accademica ha ricordato i grandi progressi che sono stati fatti nel mondo del lavoro, in rapida trasformazione attraverso il progresso che impone una profonda trasformazione per evitare la perdita dei posti di lavoro: «Mentre – constata – per la cura siamo rimasti indietro. Credo che quest’ultima, per troppo tempo, sia rimasta relegata all’interno delle famiglie e, in particolare, alle donne. Ma finché non impareremo, e la pandemia ci sta aiutando, che la cura è una dimensione la quale ci rende più umani dovendo quindi avere rilevanza e dignità sociale, rimarremo degli analfabeti. Tutto ciò, in ambito economico, vuol dire imparare a riconoscerci non solo per quello che facciamo, ma anche per i nostri legami».
E Papa Francesco, in Vaticano, ha creato una Commissione Covid di cui fa parte anche suor Alessandra, così da pensare al mondo dopo la pandemia in riferimento alla conseguenze economiche e sociali: «Uno dei punti che ci sta a cuore – precisa la consulente per l’economia del Consiglio di Stato Vaticano – è che il vaccino sia per tutti. Guardando ai grafici esso sta andando solo ad alcuni Paesi. Quello che sta accadendo con il vaccino è la misurazione della temperatura della solidarietà e della giustizia nel nostro mondo».
E poi altri temi sono cibo e sicurezza per tutti, ma anche contrasto ai paradisi fiscali: «Ci chiediamo come sia possibile che in questo momento – accusa la docente di economia politica e statistica presso la Pontificia Università Auxilium – chi lavora nel campo farmaceutico e nell’online, sta diventando miliardario. Non è una cosa che stride? Non dovremmo occuparci di fare in modo che non ci sia chi possa approfittare di questa sciagura, per arricchirsi alle spalle di tutti gli altri? Bisognerebbe creare dei meccanismi redistributivi, perché quando vediamo l’ammontare delle tasse questi grandi gruppi miliardari restituiscono alla società una percentuale bassissima. Paga più tasse un ristoratore che uno di loro».
L’economista ha infine ammesso che questi sembrano temi grandissimi: «Ma – avverte – dipendono da ciascuno di noi. Un’economia della cura è un’economia che rimette al centro le persone. È un’economia per la quale tutti possiamo fare qualcosa, ma dobbiamo avere idee chiare sui grandi temi e sulle grandi ingiustizie, che in questo momento si stanno perpetuando nel mondo».

Il secondo intervento ha invece approfondito il tema della cura degli ultimi, in particolare dei migranti. A parlarne è stato chi ha vissuto in prima linea l’esperienza dei salvataggi in mare, ovvero don Mattia Ferrari: vicario parrocchiale a Nonantola (Modena), ma soprattutto assistente spirituale della nave Mare Jonio della piattaforma Mediterranea saving humans. Una realtà, quest’ultima, che, andando oltre le barriere ideologiche ha saputo mettere insieme tutte le anime della solidarietà – dai giovani dei centri sociali ai sacerdoti, passando per i volontari delle parrocchie – unite dall’obiettivo comune di non lasciar morire il loro prossimo, i migranti, salvandolo dal naufragio o da chi cerca di riportarlo in Libia: «Nel secolo scorso – ricorda il presbitero – abbiamo redatto una convenzione internazionale che tutelava i diritti umani, tra cui quello al non respingimento. Cioè chi fugge da un’area in cui la sua vita è a rischio, non può essere rimandato indietro. Questi diritti sono una conquista per la comunità mondiale, ma li stiamo calpestando con quello che avviene, con quello che accettiamo e finanziamo. La magistratura italiana ha dimostrato come ogni volta che la cosiddetta Guardia costiera libica interviene riportando indietro le persone, avvenga una violazione scientifica del diritto umano internazionale al non respingimento. Lo ha denunciato anche Papa Francesco, ma purtroppo troppo orecchi e troppi cuori restano sordi rispetto a questo messaggio. Mediterranea nasce nell’estate del 2018, quando la situazione era quella di oggi e anche peggio visti gli slogan populistici sui porti chiusi, quando alcune persone hanno detto “Non ci stiamo” perché convinte che, invece, queste persone migranti siano nostri fratelli e sorelle. Per noi non è più una scelta, ma una necessità di andare e tendere la mano. Questa missione non ha portato solo a salvare le vite dei nostri fratelli e sorelle, ma davvero non è retorica quando diciamo che questa missione ha portato innanzitutto a salvare noi stessi. Tutto quello che noi sperimentiamo a terra e in mare lo sperimentiamo sulla Mare Jonio, in parrocchia, nei centri sociali, ogni volta che sperimentiamo questa cura di cui ci parla il Papa. Ogni volta che lo viviamo, sperimentiamo che davvero siamo noi che ci salviamo perché è la nostra vita che si volge verso la pienezza, quando noi sperimentiamo questo e lasciamo che cresca nel nostro cuore e diventi carne nella nostra vita».
Una missione che, finora, ha consentito a Mediterranea saving humans di salvare la vita e offrire una possibilità di riscatto a 300 persone: «Che ora – conclude don Mattia – sono con noi in Europa, pronte a camminare verso la civiltà dell’amore. La situazione mondiale, in mare e in terra, è estremamente difficile. Però io, me l’hanno insegnato i miei compagni di viaggio, penso che le ragioni della speranza ci sono e chi come noi ha la fede cristiana, sapendo che Gesù è risorto, presente, vivo e grande nella storia umana camminando con noi, ha anche le ragioni della speranza per camminare e andare avanti. Papa Francesco ci invita ad essere artigiani della pace».