Chiesa italiana: “Mai contrapposta a Pietro. Vivremo la sinodalità”
"La Chiesa che è in Italia - sottolinea il cardinale Bassetti - è chiamata a un discernimento che generi conversione, comunione e corresponsabilità. Disegnare forme rinnovate è la nostra responsabilità odierna. In continuità con la storia di una Chiesa di popolo che, tanto più dopo le prove degli ultimi due anni, è chiamata a una propulsione rinnovata, che guardi ai processi, punti sulle relazioni, a partire dal concreto vissuto di ciascuno, sappia entrare con calore nelle pieghe della vita delle donne e degli uomini per offrire parole e testimonianze di speranza"

«Finalmente!». Con questo avverbio ieri è iniziata l’introduzione del cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Conferenza episcopale italiana, alla 74ª Assemblea generale dei vescovi italiani, in corso all’Hotel Ergife di Roma fino a giovedì 27 maggio: «Finalmente non esprime distrazione o evasione dalla realtà – afferma il porporato -, ma è immersione profonda nelle piaghe delle nostre comunità. Quanta solitudine, quanta tristezza, quanti lutti… Pensiamo, in particolare, alla tragedia di Stresa-Mottarone, rinnovando la nostra preghiera di suffragio per le quattordici vittime e per i loro familiari; un pensiero affettuoso al piccolo sopravvissuto. La nostra presenza qui, in questi giorni, vuole essere una carezza di conforto per chi soffre o piange la perdita di un caro; vuole anche essere una carezza di fiduciosa speranza, nella certezza che la morte non è mai l’ultima parola. Finalmente siamo riuniti tutti insieme, potendo così vivere e rafforzare i vincoli della comunione e condividere la sollecitudine pastorale per le nostre Chiese, per il nostro amato Paese, per le donne e gli uomini che abitano questo tempo così difficile. Invochiamo su di noi e sui lavori che ci attendono la luce e la grazia dello Spirito Santo».
Ad illuminare i lavori di questi giorni, secondo il presidente della Cei, dev’essere il brano del secondo capitolo degli Atti degli apostoli (At 2, 1.-11): «A partire da un dato di fatto – spiega Bassetti -. I discepoli su cui scende lo Spirito il giorno della festa di Pentecoste, sono gli stessi apostoli e discepoli che avevano seguito Gesù nei tre anni della sua predicazione. È una comunità, dunque, che ha una sua piccola storia di fede da raccontare. Nonostante le fatiche, i rallentamenti, le fughe in avanti e le cadute, c’è un cammino percorso con Gesù e che può essere raccontato. Così anche la Chiesa che è in Italia può raccontare la storia del suo cammino di fede, che parla della fedeltà al Magistero del Papa e si sviluppa, in particolare, dopo il Concilio Vaticano II, con alcune tappe significative, che non vanno dimenticate». Successivamente il presidente della Cei ha ripreso le parole pronunciate da Papa Francesco in occasione dell’udienza generale concesso all’Ufficio catechistico nazionale il 30 gennaio scorso: “Il Concilio è magistero della Chiesa. O tu stai con la Chiesa e pertanto segui il Concilio, e se tu non segui il Concilio o tu l’interpreti a modo tuo, come vuoi tu, tu non stai con la Chiesa”.
Quindi il cardinale Gualtiero Bassetti ha rivolto «un pensiero devoto e affettuoso a Papa Francesco», rimarcando come la categoria di “popolo di Dio” sia centrale nel suo magistero: «Fin dal primo saluto ai fedeli radunati in Piazza San Pietro – ricorda l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve -, la sera stessa della sua elezione, quando – in un gesto indimenticabile – si è chinato domandando la preghiera del popolo per il suo vescovo. Popolo di Dio, inoltre, è la categoria elaborata dal Vaticano II per esprimere la natura aperta, universale e storica della Chiesa. Non è una grandezza puramente sociologica, ma teologica, pastorale e spirituale. Il popolo di Dio è insieme santo e fedele – aggiunge il cardinale, citando l’immagine dei santi della porta accanto utilizzata dal Pontefice -. Uno dei frutti più apprezzati del Concilio che il Santo Padre sta portando a maturazione».
In seguito, il porporato ha fatto una riflessione sul contesto attuale: «Nell’ultimo anno – osserva – ci siamo resi conto ancora meglio, purtroppo passando attraverso una drammatica pandemia, di come la santità sia piantata nel terreno delle nostre comunità cristiane e civili. Di come l’amore di Dio operi nei cuori, anche al di là delle categorie con le quali siamo abituati a ragionare. Credenti e non credenti, cristiani e non cristiani, praticanti o meno. Esiste una santità diffusa, che va raccolta e narrata. La recente beatificazione di Rosario Livatino ne è ulteriore testimonianza. Il senso di fede del popolo di Dio – precisa Bassetti – non si esprime con semplici meccanismi democratici, perché non sempre l’opinione della maggioranza è conforme al Vangelo e alla Tradizione. Piuttosto si alimenta con l’umile accoglienza della Parola di Dio, la celebrazione dei sacramenti, la fraternità e la preghiera, ossia le quattro “assiduità” della prima comunità cristiana (cf At 2,42). Occorre però sapere intercettare questo “senso di fede”, saperlo ascoltare». A ciò ci invita, nuovamente, Papa Francesco nel discorso del 30 gennaio: «Non dobbiamo avere paura di parlare il linguaggio della gente – esorta il cardinale -. Non dobbiamo aver paura di ascoltarne le domande, quali che siano, le questioni irrisolte, ascoltare le fragilità, le incertezze. Di questo, non abbiamo paura. È, ancora una volta, il Concilio Vaticano II tradotto in italiano».

In seguito il presidente della Cei ha concluso il suo ampio approfondimento sulla storia della Chiesa italiana, partendo dalla prima Assemblea generale e passando attraverso piani pastorali e convegni decennali, citando le parole pronunciate dal Santo Padre in chiusura del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze “Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”: «La ricchezza di questa nostra storia – osserva Bassetti – conferma che la sinodalità, come stile, metodo e cammino, è perfettamente coerente con un percorso che abbraccia cinque decenni, tanto più per la consapevolezza di un ‘cambiamento d’epoca’ in atto”. Come nei primi Anni Settanta, quando si disegnò il metodo dei Documenti, poi Orientamenti pastorali, verificati e rilanciati nei Convegni ecclesiali, così oggi la Chiesa che è in Italia è chiamata a un discernimento che generi conversione, comunione e corresponsabilità. Disegnare forme rinnovate è la nostra responsabilità odierna. In continuità con la storia di una Chiesa di popolo che, tanto più dopo le prove degli ultimi due anni, è chiamata a una propulsione rinnovata, che guardi ai processi, punti sulle relazioni, a partire dal concreto vissuto di ciascuno, sappia entrare con calore nelle pieghe della vita delle donne e degli uomini per offrire parole e testimonianze di speranza».
Infine il presidente della Conferenza episcopale italiana ha nuovamente omaggiato Papa Francesco: «Siamo grati al Vescovo di Roma e nostro Papa – afferma – per quanto c’incoraggia a fare costantemente. La Chiesa che è in Italia – la nostra Chiesa, le nostre Chiese – non è mai stata e mai sarà in contrapposizione a Pietro, al Suo Magistero, alla Sua Parola. Per questo, oggi, come è sempre avvenuto nella nostra storia, ci sentiamo chiamati a vivere la sinodalità, a disegnare un cammino sinodale. Sì, si tratta proprio di un cammino, non semplicemente di un evento, perché in gioco è la forma di Chiesa a cui lo Spirito ci chiama in particolare per questo tempo. Il cammino sinodale rappresenta così quel processo necessario che permetterà alle nostre Chiese che sono in Italia di fare proprio, sempre meglio, uno stile di presenza nella storia che sia credibile e affidabile, perché attento ai complessi cambiamenti in atto e desideroso di dire la verità del Vangelo nelle mutate condizioni di vita degli uomini e delle donne del nostro tempo. Poiché siamo tutti chiamati ad acquisire questo stile, occorre che assumiamo con responsabilità la decisione di coinvolgerci in questo cammino che, come comprendiamo bene, non può risolversi in adempimenti formali, né soltanto nell’organizzazione di eventi che, a lungo andare, rischiano di diventare, come ebbe a dire San Giovanni Paolo II, “apparati senz’anima, maschere di comunione”».
Al contrario, c’è una sfida ben precisa che, a detta del cardinale Bassetti, attende anzitutto i vescovi: «Quella – rilancia il porporato – di mettere in campo percorsi sinodali capaci di dare voce ai vissuti e alle peculiarità delle nostre comunità ecclesiali, contribuendo a far maturare, pur nella multiformità degli scenari, volti di Chiesa nei quali sono rintracciabili i tratti di un Noi ricco di storia e di storie, di esperienze e di competenze, di vissuti plurali dei credenti, di carismi e ministeri, di ricchezze e di povertà. È uno stile che domanda una serie di scelte, che possono concorrere a rappresentare la forma concreta in cui si realizza la conversione pastorale alla quale Papa Francesco, insistentemente, ci richiama. È uno stile che vuole riconoscere il primato della persona sulle strutture, come pure che intende mettere in dialogo le generazioni, che scommette sulla corresponsabilità di tutti i soggetti ecclesiali, che è capace di valorizzare e armonizzare le risorse delle comunità, che ha il coraggio di non farsi ancora condizionare dal ‘si è sempre fatto così’, che assume come orizzonte il servizio all’umanità nella sua integralità. È un cambio di rotta quello che ci viene chiesto: le possibili tappe del ‘cammino’ ci permetteranno di familiarizzare con questo stile, perché esso possa arrivare a permeare il quotidiano dei nostri vissuti ecclesiali».
Per questo la prima strada da intraprendere, per il presidente della Cei, è quella del “noi ecclesiale”: «Un Noi ecclesiale allargato, inclusivo – conclude il cardinale -, capace di favorire un reciproco riconoscimento tra i credenti, all’altezza di dare forma storica alla figura conciliare di una Chiesa popolo di Dio. Senza processi di arroccamento ecclesiale e clericale, ma in una direzione di estroversione verso quelle periferie che, in prima battuta, non sono poi così lontane ed estranee ai nostri vissuti ecclesiali, ma che anzi vi appartengono in qualche modo». In conclusione un monito espresso dal cardinale: «Questo cammino di popolo – ammonisce – deve conoscere il passo comune e la responsabilità condivisa da parte di tutti -. Penso alla grande ricchezza di tanti laici e laiche che esprimono, in una vita credente affidabile, un senso forte di Chiesa e un servizio competente all’annuncio del Vangelo. Penso anche a tanti altri che, con la loro testimonianza, sono presenti nei mondi della cultura, della politica, dell’economia».