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Autistici: “Riconoscerne dignità e valore valorizzandone il contributo”

"Con gli strumenti attuali - illustra il dottor Renato Cerbo, primario di Neuropsichiatra infantile all'ospedale civile di Pescara -, siamo invece riusciti ad abbassare la diagnosi tra i 24 e i 36 mesi di vita, ma non basta. Dobbiamo abbassare la diagnosi precoce all’anno di vita. Quest’ultima, in realtà, non annulla la possibilità che il bambino sviluppi l’autismo, ma annulla la possibilità che lo sviluppi in forma grave e con co-morbilità"

Lo ha affermato venerdì la ministra della Famiglia Elena Bonetti, partecipando alla tavola rotonda della Fondazione Paolo VI a Pescara

Elena Bonetti, ministra della Famiglia, alla tavola rotonda della Fondazione Paolo VI

Dignità. È stata questa la parola d’ordine che, venerdì 1 aprile a Pescara, la ministra della Famiglia e delle Pari opportunità Elena Bonetti ha invocato in favore delle persone affette da autismo partecipando, alla vigilia della Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo di sabato 2 aprile, alla tavola rotonda dal titolo “Nuove consapevolezze e opportunità per le persone con spetto autistico” promossa dalla Fondazione Paolo VI, moderata dal suo presidente Peppino Polidori e ospitata nella sala convegni del Centro Adriatico: «Riconoscere la dignità – spiega la ministra – significa che c’è un valore della persona, dato a priori, e che a noi spetta il compito di riconoscerlo e di identificarlo. La nostra società deve poi far sì che questo riconoscimento sia una garanzia di empowerment, non essendo noi a dare qualcosa all’altro, ma riconoscendo che l’altro è portatore di ricchezza, potenza ed energia da individuare e valorizzare».

Le autorità e gli intervenuti presenti

Da qui, a detta della ministra Bonetti, nasce l’esigenza di costruire percorsi per le persone autistiche: «Non ci sono alibi – taglia corto l’esponente del Governo Draghi -, non è più possibile condurre solo politiche riparative e non riabilitative nell’ottica di abilitare ad un’azione di contribuzione per ogni uomo e donna al bene della società. L’articolo 4 della nostra Costituzione afferma che tutti i cittadini e tutte le cittadine hanno diritto al lavoro, ma anche di concorrere. Se così è, quando noi andiamo a disegnare un percorso di crescita della persona nella sua vita, dobbiamo avere in mente l’obiettivo di costruire un suo spazio di protagonismo. Per far questo occorre avere un approccio sistemico alle progettualità che vengono messe in campo».

Ciò, per la ministra, deve avvenire dapprima attraverso una dimensione temporale di accompagnamento per tutta la vita: «È necessaria – continua la Bonetti – la diagnosi precoce, fondamentale nell’ottica di una presa in carico della persona autistica che deve avvenire fin dai suoi primi passi. Solo in questo modo riusciremo a costruire una sua identità, in modo che sarà capace di andare anche a lavorare con questi disturbi, offrendo alla bambina o al bambino un percorso di crescita che sia armonizzato rispetto all’identità della persona, inserendo gli strumenti necessari nel percorso educativo. Ma educazione significa anche percorso integrato con il percorso educativo, anche se la scuola non è l’unico percorso educativo che incontrano le persone. I percorsi di educazione devono integrarsi anche nei percorsi educazione sociale».

Un’altra dimensione è poi quella dell’inserimento lavorativo: «Si tratta di riconoscere che la nostra società – precisa la ministra della Famiglia – ha il dovere di riconoscere che ciascuna donna e ciascun uomo ha un contributo da dare alla nostra società e che senza di esso, la nostra società è mancante di un pezzo. La questione del lavoro dev’essere garantita in maniera proporzionata ai talenti da mettere in campo, creando le condizioni adeguate perché questo avvenga. Ciò da un punto di vista culturale, del tipo di accompagnamento da affiancare e dal punto di vista normativo. Ad esempio, pensiamo alle tante cooperative che assumono persone con disturbo dello spettro autistico, le quali producono un valore sociale, a cui va riconosciuto un vantaggio per questo. Quindi bene il passaggio che il Parlamento ha fatto, varando la defiscalizzazione di queste realtà. C’è poi il problema delle persone con disturbo dello spettro autistico che lavorano e percepiscono uno stipendio, escono dall’ambito della disabilità dovendo rinunciare all’indennità che ne derivava. Noi, invece, dobbiamo dare un sostegno a queste persone e allo loro famiglie riconoscendo anche il loro contributo sociale. Quindi andrà mantenuta la possibilità di valorizzare il loro contributo lavorativo, senza che debbano cedere l’indennità percepita. Ciò è nell’ottica di solidarietà che la nostra società deve continuare a costruire».

E poi c’è la dimensione spaziale-relazionale: «Dobbiamo costruire spazi e modi di relazioni – aggiunge la ministra Bonetti -, che sappiano intercettare la necessità di relazione di tutte e di tutti. Una comunità che sappia costruire dei legami relazioni essi stessi inclusivi e capaci di entrare in relazione con le diversità come valore costitutivo della nostra comunità, fa dei passi in civiltà e nel compimento democratico».

Renato Cerbo, primario di Neuropsichiatria infantile dell’ospedale di Pescara

A fare il punto della situazione sulle cure messe a punto per fronteggiare l’autismo, è stato poi il dottor Renato Cerbo, capodipartimento Salute mentale della Asl di Pescara e primario di Neuropsichiatria infantile dell’ospedale civile del capoluogo adriatico: «Parliamo di una problematica – ricostruisce lo specialista – che 30 anni fa veniva individuata in 1 persona su 2005. Poi, man mano, questa prevalenza è cresciuta fino ad arrivare ad 1 persona su 50, quasi 2 persone su 100. Cosa ci dice la ricerca? L’autismo ha subìto un fenomeno di mascheramento, essendo all’inizio difficilmente riconoscibile. Poi, gradualmente, abbiamo iniziato a riconoscerlo sempre di più. Attualmente faccio 1-2 diagnosi di autismo nei bambini ogni settimana. Ma oggi abbiamo una seconda consapevolezza, ovvero la sua origine prevalentemente genetica, ma interviene anche una concordanza di fattori ambientali (l’utilizzo di farmaci in gravidanza, infezioni virali, pesticidi e alcuni metalli, ma anche l’uso precoce dei video che può incontrare modalità educative alterate e con pochi stimoli sociali). Per questo dobbiamo dare un’attenzione massima alla diagnosi precoce, in quanto nei bambini si può riconoscere nella tendenza a seguire maggiormente gli stimoli fisici e ripetitivi rispetto a quelli sociali. Questa tendenza, che porterà alla difficoltà a relazionarsi e a interagire con gli altri, nelle sue sfumature iniziali – già presenti nel primo anno di vita – siamo in grado di riconoscerla con degli strumenti. Questi ultimi, 30 anni fa, consentivano di riconoscere l’autismo dopo i 3 anni, quando invece esso si è già radicato stabilmente. D’altra parte la malattia, è una condizione neurobiologica dovuta a delle connessioni neuronali alterate che si costruiscono nei primi 3 anni di vita. Dopo questa età diventano irreversibili».

Oggi, invece, le cose sono cambiate: «Con gli strumenti attuali, siamo invece riusciti ad abbassare la diagnosi tra i 24 e i 36 mesi di vita, ma non basta. Dobbiamo abbassare la diagnosi precoce all’anno di vita. Quest’ultima, in realtà, non annulla la possibilità che il bambino sviluppi l’autismo, ma annulla la possibilità che lo sviluppi in forma grave e con co-morbilità. Prima il 90% delle persone con autismo avevano anche un ritardo mentale, mentre ora accade solo nel 50% dei casi grazie alla diagnosi precoce. Prima il 50% dei bambini non parlavano, mentre oggi quasi tutti i bambini con autismo parlano. La patologia migliora man mano che migliora la diagnosi precoce. Tra l’altro a Pescara le liste d’attesa le abbiamo quasi completamente abbattute, con i bambini che ricevono la prima visita entro 10 giorni – attraverso una ricetta breve – ed entro uno o due mesi ricevono il primo trattamento. In questo modo si riducono le co-morbilità, come il ritardo mentale, l’assenza linguaggio e i disturbi psicopatologici in adolescenza».

Nicoletta Verì, assessore regionale alla Sanità

La Regione Abruzzo, dal canto suo, si dichiara in prima linea nell’affrontare l’autismo: «Siamo una delle prime regioni italiane – ricorda Nicoletta Verì, assessore regionale alla Sanità – a portare avanti un progetto che prende in carico la persona autistica dalla diagnosi precoce, fino all’inserimento lavorativo dell’adulto. È un progetto a cui tutti i pediatri hanno partecipato, consentendo di seguire i bambini fin dai primi segnali della patologia. Un altro progetto è “Virgilius”, che consente di seguire il transito del ragazzo autistico dalla fase adolescenziale all’età adulta».

Alessandra Portinari, presidente Angsa Abruzzo

Dal punto di vista dei genitori, una delle realtà più fortemente impegnate nell’affrontare la patologia è la sezione abruzzese dell’Associazione nazionale genitori persone con autismo (Angsa), presieduta da Alessandra Portinari: «Ringrazio innanzitutto l’arcivescovo Valentinetti per la sua sensibilità riguardo il tema dell’autismo. Abbiamo molti bambini che frequentano i centri della Fondazione Paolo VI e sappiamo come i vostri servizi sono vicini ai genitori. L’Angsa è stata fondata 36 anni fa da un gruppo di genitori che ha vissuto questa esperienza. In Abruzzo ci siamo da 22 anni e il nostro contributo è stato importante. Molti di noi genitori di bambini autistici hanno fatto un percorso di consapevolezza sulla patologia, perché vivendo l’autismo sulla propria pelle questa parola. Ora chiediamo la stessa consapevolezza alle istituzioni, alla scuola o in quelli ambienti in cui le famiglie trascorrono il proprio tempo. Per questo, nel 2018 abbiamo promosso l’iniziativa “Autismo friendly Abruzzo”. Un grande progetto di formazione e consapevolezza per rendere la vita delle persone con autismo, e delle loro famiglie, semplice fuori dalle mura domestiche. L’obiettivo è stato quello di formare una rete, tra enti pubblici, imprese e associazioni in grado di avere una consapevolezza sull’autismo, offrendo un’opportunità – a chi vorrà aderire – di donare del tempo per formare il proprio personale, o i propri soci, così da garantire delle modalità operative adeguate per accogliere persone con autismo».

Mons. Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne

È stato infine l’arcivescovo di Pescara-Penne a concludere la tavola rotonda, condividendo una sua esperienza personale: «Io ho avuto un grande impatto con l’autismo – racconta – quando, da giovane sacerdote, andavo a fare le mezze ore di religione alla scuola elementare. Lì ho fatto l’incontro con Luca, un bambino autistico che girava continuamente dentro la stanza. Una maestra, la quale veniva dall’esperienza dell’insegnamento differenziale e aveva preso a cure il caso, con il suo saper fare, la sua grande attenzione, ma soprattutto il suo grande amore di madre, è riuscita a comunicare con questo ragazzo con il quale sembrava impossibile comunicare. Poi, un giorno sono entrato in classe e la maestra mi ha detto “Dobbiamo fargli fare la comunione e la cresima”. Così l’ho integrato in parrocchia e questo è stato il momento in cui ha iniziato a frequentare anche il Centro Paolo VI qui a Pescara. Poi è cresciuto, diventando quasi completamente autonomo. Nel 2005, quando ho fatto il mio ingresso qui a Pescara, Luca era seduto al primo banco della Cattedrale e questo mi ha ripagato».

About Davide De Amicis (4359 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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