Senzatetto morti: “Atto penitenziale d’amore che dobbiamo esercitare”
"La morte di ciascuno di loro - sottolinea Gilberto Grasso, responsabile pescarese della Comunità di Sant'Egidio - è una ferita per tutti noi e la nostra presenza qui, vuole essere un segno di fedeltà all'amicizia con coloro che in questa città vivono una condizione difficile, senza casa e spesso senza affetti. Questa memoria ci consola perché ci ricorda che la solitudine, l'abbandono e la morte non sono mai l'ultima parola nella vita di ogni uomo e che il Signore non dimentica nessuno"
Emilio, Michele, Tiziano, Riccardo, Argentino, Gabriele, Cristian, Franca, Maurizio, Fabrizio, Paolo, Adriano, Cosimo. Questi sono solo alcuni dei nomi di decine di senza fissa dimora morti in strada a Pescara e in altre città italiane, ricordati ieri nell’annuale messa dedicata ai senzatetto morti in strada promossa dalla Comunità di Sant’Egidio e presieduta dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti nella chiesa di San Giuseppe a Pescara: «La Comunità di Sant’Egidio – premette Gilberto Grasso, responsabile pescarese del movimento internazionale – ogni anno fa memoria delle persone senza fissa dimora che sono morte a causa della durezza delle condizioni di vita per strada, a Pescara e in tante città nel mondo. È una memoria iniziata esattamente trent’anni fa, nell’inverno del 1983, quando Modesta Valenti – un’anziana senza fissa dimora che viveva nei pressi della Stazione Termini a Roma – morì senza soccorsi perché, essendo sporca, l’ambulanza si rifiutò di soccorrerla. Anche qui a Pescara vogliamo ricordare ai tanti amici conosciuti per strada in questi anni che non sono più con noi. Il primo è stato Emilio, di cui conserviamo viva la memoria. Aveva poco più di quarant’anni. Le condizioni di vita in strada hanno peggiorato la sua salute, fino al giorno della sua morte avvenuta l’8 febbraio 2009. Insieme ad Emilio, durante la liturgia, pronunceremo i nomi di tanti altri amici che ci hanno abbandonato ma che noi non vogliamo dimenticare, accendendo un lumino per ricordarli per sempre come fratelli, uno per uno. La morte di ciascuno di loro è una ferita per tutti noi e la nostra presenza qui, vuole essere un segno di fedeltà all’amicizia con coloro che in questa città vivono una condizione difficile, senza casa e spesso senza affetti. Questa memoria ci consola perché ci ricorda che la solitudine, l’abbandono e la morte non sono mai l’ultima parola nella vita di ogni uomo e che il Signore non dimentica nessuno».
Un lumino acceso per ogni singolo nome di senza fissa dimora scomparso pronunciato, dopo la preghiera dei fedeli, sulle struggenti note del Kyrie eleison, cantato ripetutamente dando vita ad una preghiera di affidamento a Dio di queste anime. Nell’omelia l’arcivescovo Valentinetti ha ricordato il sacrificio di queste persone, ultime fra gli ultimi: «Questa mattina – afferma il presule – ricordiamo i morti senza nome, molte volte, o abbandonati da tutti, abbandonati dalle loro famiglie. Anche noi, molto spesso, facciamo funerali di persone abbandonati dalle loro famiglie, non considerati, non pensati. Ecco, questa umanità dolente, questa umanità senza speranza, forse è il grande atto penitenziale d’amore che dobbiamo esercitare. Perciò, questa mattina cominciamo bene la Quaresima. Ma credo che sia mio dovere associare a questo ricordo di questi fratelli e sorelle deceduti, le tante croci, le tante morti di fratelli e sorelle che stanno morendo in Ucraina, senza distinzione, ucraini e russi. Forse abbandonati dentro delle trincee, forse resistenti per volontà, forse, di una mente folle e di menti folli che stanno scatenando sempre più un disegno orrendo di guerra. Dobbiamo ricordarli. Anche loro sono figli di Dio, anche loro vanno amati, anche per loro una preghiera, amen».
Nella prima parte dell’omelia, l’arcivescovo Valentinetti ha invece approfondito il messaggio al centro della prima domenica di Quaresima, celebrata ieri: «Con la solenne liturgia del mercoledì delle Ceneri – ricorda -, siamo entrati nel tempo di Quaresima. Tempo che da sempre, dai primissimi secoli del cristianesimo, è stato considerato tempo opportuno, tempo privilegiato per un cammino di conversione, per un cammino di conoscenza di Dio, ma oserei dire anche un cammino di conoscenza di se stessi. D’altra parte, sappiamo bene che coloro che dovevano essere battezzati, i cosiddetti catecumeni, vivevano questo ultimo tempo con i vari scrutini, cioè le varie verifiche, se erano degni o non erano degni di ricevere il sacramento del battesimo nella celebrazione della Veglia pasquale. Questo perché, in realtà, la Quaresima è tempo di prova, è tempo di verifica. È stato tempo di verifica, questo tempo di 40 giorni, anche per l’umanità di Gesù. Il testo del Vangelo di Matteo dice che fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. Il mistero della contraddizione, il mistero della tentazione, così come aveva aggredito il primo uomo e la prima donna, non risparmia nemmeno Gesù, aggredisce anche Gesù. Perché non dovrebbe aggredire noi? Perché non dovremmo essere anche noi vittima della tentazione? Bene, si pone quel problema. Come reagire? Il primo uomo e la prima donna, purtroppo, hanno reagito male, hanno ceduto alla tentazione hanno ceduto a quella lusinga di una disobbedienza a Dio, che li avrebbe resi ancora più potenti, ancora più capaci, ancora più esperti, senza sapere che quello era l’inizio per loro di una decadenza. Gesù vero uomo, incarnato, in tutto simile a noi, è capace di resistere alla tentazione. Ma perché? Perché era figlio di Dio? Sì, anche, ma non è questa la motivazione più importante. È perché Gesù va a scorgere le energie più profonde, per reagire alla tentazione, nella sua vita interiore».
Da qui l’importanza della Quaresima: «È tempo – ribadisce l’arcivescovo di Pescara-Penne – per riscoprire la vita interiore. Noi pensiamo di avere una vita biologica, una vita umana e dobbiamo soddisfare tutte le necessità di questa vita. Il mangiare, il bere, il dormire, lo svagarsi, lo stare insieme. Ma abbiamo la coscienza che abbiamo una vita interiore, che questa vita interiore dev’essere conosciuta, deve essere aiutata, deve essere coltivata? È lì che risiede il principio vitale della nostra esistenza, ancor prima della nostra fede, ancor prima del nostro credere. Tutto si consuma dentro questa interiorità. Del resto, Gesù stesso aveva detto “Non è quello che entra nel corpo che contamina l’uomo, ma quello che esce dal corpo che contamina l’uomo”. Dal cuore dell’uomo, dalla vita interiore dell’uomo escono cattiverie, omicidi, adulteri e quant’altro. E Gesù scopre in maniera profonda e offre a noi questa vita interiore. Ma qual è l’elemento per scoprire e coltivare, approfondire questa vita interiore? Lo “sta scritto”. Gesù riesce a rifiutare le tentazioni con “Sta scritto, sta scritto, sta scritto”. La Parola di Dio, la Parola del Signore vissuta nell’ascolto e nella preghiera. Questo è il senso profondo di un cammino quaresimale approfondito dentro un’immersione nella parola e dentro un’immersione nella preghiera, per non dialogare con la tentazione».
A tal proposito, è giunto l’ammonimento di monsignor Tommaso Valentinetti: «Il nostro errore – sottolinea – è che quando arriva la tentazione ci mettiamo a discutere, “Va bene, non va bene, lo faccio, non lo faccio”, ma non faccio ricorso alle intime forze della vita interiore per dire, “Signore, tu sei il mio Signore, tu puoi liberarmi, tu puoi salvarmi da ogni controversia col male”. E allora, cari fratelli, care sorelle, che questo tempo di Quaresima sia realmente un tempo non tanto di penitenze sciocche. Sì, qualche penitenza ci sta pure bene, rifiutare qualche dolce, qualche caramella, qualche bicchiere di vino, tutto fa bene, per l’amor del cielo. Ma non è quello che entra nel corpo che contamina l’uomo, ma quello che esce dal corpo. E allora, immergiamoci nella Parola, in un penitenziale cammino della Parola, in un penitenziale cammino verso la preghiera profonda e in un penitenziale cammino di opere di carità».
Alla celebrazione eucaristica ha partecipato anche il sindaco di Pescara Carlo Masci, dato che l’amministrazione comunale da anni ormai coordina il “Piano freddo” il quale, in collaborazione con alcune organizzazioni del territorio tra cui la Caritas diocesana, la Cooperativa sociale On the road e la stessa Comunità di Sant’Egidio, consente offrire un posto letto e un pasto caldo ai senzatetto che ancora vivono all’addiaccio: «Si, ci sono – dichiara il primo cittadino – e voglio esserci sempre, perché è giusto ricordare tutti coloro che hanno perso la vita in condizioni difficili. Ma soprattutto ci sono per testimoniare la vicinanza del Comune di Pescara a tutte le associazioni che operano sul territorio e creano questa grande rete di solidarietà che sostiene le difficoltà che ci sono in questa città, da parte di persone che purtroppo hanno un disagio, lo manifestano, chiedono un aiuto, chiedono una mano tesa. E a Pescara c’è sempre chi è pronto a intervenire. La cerimonia è stata molto toccante, soprattutto nel passaggio con le candele accese, per ricordare coloro che hanno perso la vita in strada, in tutte le città d’Italia. Abbiamo avuto anche qui, purtroppo, dei casi, ma non negli ultimi anni perché ospitiamo tutti i senzatetto, soprattutto nel periodo invernale, in case oppure in alberghi, per dar loro la dignità, un tetto. E soprattutto abbiamo messo in campo tante azioni, sempre con la collaborazione delle associazioni di volontariato, per far sì che a Pescara nessuno rimanga indietro. Questo succede e per me è veramente motivo di grande orgoglio e di grande soddisfazione vedere che a Pescara c’è tanta gente che si impegna per aiutare gli altri. Pescara, che da sempre è stata una città accogliente, che ha avuto sempre una mano tesa, è una grande mamma che aiuta tutti, soprattutto coloro che sono più in difficoltà, quelli che si trovi in una condizione di marginalità e di emarginazione estrema. Ma qui a Pescara anche ciascuno di loro ha una parola di conforto, un sostegno morale, fisico, economico, un aiuto concreto. Questo credo che sia il passaggio più bello di un’amministrazione, poter aiutare coloro che soffrono. E a Pescara questo succede».