“Mi avete accolto come un figlio, grazie per la fiducia!”
"Sono al servizio, con cuore e disponibilità. Io mi sento parte di questa Arcidiocesi - afferma don Amadeo -. Monsignor Cuccarese mi ha accolto all'inizio, monsignor Valentinetti ha sostenuto la mia vita sacerdotale e personale come un padre, con l’amore di un pastore per le sue pecore. Io lo ringrazio tanto per la fiducia, perché noi dobbiamo essere in comunione, in obbedienza a lui, però c'è questa parte umana che lega le persone e ci dà la capacità di vivere per il Signore"
Dallo scorso ritiro diocesano del clero pescarese di martedì 20 febbraio, don Amadeo José Rossi è il nuovo vicario generale dell’Arcidiocesi di Pescara-Penne. Il sacerdote italo-venezuelano, attuale parroco di San Luigi Gonzaga in Pescara e Provicario Giudice del Tribunale ecclesiastico diocesano – dopo essere stato vicario parrocchiale a Pescara e Montesilvano, nonché parroco di Cermignano e Montegualtieri e vicario foraneo di quest’ultima zona pastorale, opera nella Chiesa di Pescara-Penne da 20 anni. Dopo quest’ultima e importante nomina, decisa dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti che lo ha voluto al suo fianco per coadiuvarlo nel governo pastorale della diocesi, La Porzione.it ve lo fanno conoscere meglio.
Don Amadeo, innanzitutto come ti senti in questi primi giorni da vicario generale?
«Prima di tutto un saluto affettuoso a tutti coloro che ci leggono su La Porzione.it e ci ascoltano attraverso di Radio Speranza. La parola speranza è quella che ci mantiene sempre in attesa del Signore, che ci chiama ci chiama a fidarci di Lui. Quello che posso dire e confesso a tutti è la trepidazione per il nuovo incarico che mi provoca timore e fiducia. Timore di essere inadeguato al compito in questo cambiamento d’epoca, come ci ricorda Papa Francesco, e la fiducia in Dio così come ho fiducia nella benevolenza dell’arcivescovo Tommaso Valentinetti e nel consiglio e la collaborazione di tutti, anche con i fratelli sacerdoti, diaconi, religiose e religiosi nonché i fedeli tutti che siamo chiamati a servire. Perché questo è un servizio che prende una grande responsabilità e quindi lo stato d’animo è con timore e fiducia nel Signore, che ci assiste sempre. Di questo sono convinto».
Un cammino che inizia, una nuova sfida. Tu sei qui da vent’anni e sei stato un po’ il “capostipite” di un gruppo di sacerdoti venezuelani che hanno dato un contributo fondamentale alla causa diocesana di Pescara-Penne, supplendo alle carenze riscontrate in diverse parrocchie. Una collaborazione ancora attiva, grazie anche all’opera del cardinale Baltazar Enrique Porras Cardozo, arcivescovo di Caracas, di cui tu sei segretario quando si trova in Italia. Un bel rapporto che ha promosso la nascita di tanti frutti, dei quali tu sei il più importante essendo arrivato al ruolo di vicario generale dell’Arcidiocesi…
Sì, a ottobre del 2004 ho iniziato la mia esperienza pastorale nell’Arcidiocesi di Pescara-Penne nella zona del Teramano, nello specifico a Val Vomano, Penna Sant’Andrea e Montegualtieri. In quel momento c’era don Simone Chiappetta come parroco. Io ho parenti in quella zona del Teramano, a Castelnuovo Vomano e Val Vomano, che ero andato a trovare anche per parlare con don Simone, il quale mi aveva dato la possibilità vi andare a fare servizio nella sua parrocchia ogni fine settimana, per poi tornare a Roma a proseguire gli studi dal lunedì al venerdì. Inizia così questa bella avventura. In quel momento c’era monsignor Cuccarese che stava per lasciare la diocesi. Io sono stato la sua ultima nomina come amministratore parrocchiale di San Giovanni Apostolo Evangelista in Montegualtieri. Dopo è arrivato monsignor Tommaso Valentinetti, ci siamo conosciuti e mi ha richiamato a Pescara, nella parrocchia di San Silvestro, dove ho collaborato con don Marco Pagniello e dopo un anno e mezzo mi ha chiesto di andare a Sant’Antonio di Padova a Montesilvano. In quel momento c’era don Antonio Rapagnetta e dopo poco è arrivato don Antonio Del Casale. Sono stato quattro anni e mezzo a Sant’Antonio, per poi trasferirmi nella vicina parrocchia della Beata Vergine Maria Madre della Chiesa con don Paolo Curioni. Un anno e mezzo dopo, il vescovo mi ha chiesto se volevo tornare alle origini, nel teramano dove avevo già vissuto una bellissima esperienza. Ho detto sì, perché sono qui per servire, sono venuto per studiare a Roma, per volere anche di Sua eminenza, il cardinale Baltazar Porras che in quel momento era arcivescovo di Merida in Venezuela. E così sono tornato nel Teramano, facendo servizio a Scorrano (Cellino Attanasio), Montegualtieri e Cermignano. Dopo un tempo, il vescovo mi ha chiesto di concentrarmi su Cermignano, Poggio delle rosse e Montegualtieri, divenendo più avanti vicario foraneo. È un’esperienza che ha dato la possibilità a 38 sacerdoti venezuelani che venivano a Roma a studiare, di poter usufruire di una convenzione che permettesse loro anche di poter fare fronte alle spese, ai bisogni. Così la Cei, attraverso l’Arcidiocesi di Pescara-Penne, ha concesso quest’opportunità a questi sacerdoti. Fino all’anno scorso eravamo 10 sacerdoti ad essere presenti qui a Pescara, mentre ora siamo rimasti in 7 però c’è sempre questo contatto forte con il Venezuela. Siamo un po’ diminuiti per via della situazione in cui versa il Venezuela, perché mandare un sacerdote a studiare Europa con la situazione che sta attraversando il Paese non è facile. Però, col passare del tempo, si è consolidato questo aiuto, questo rapporto, questo gemellaggio pastorale e spirituale con l’Arcidiocesi di Pescara-Penne, che è stata la prima in Italia a realizzare una convenzione di questa grandezza per aiutare i sacerdoti venezuelani, vista la situazione difficile che vivono nel Paese».
La tua presenza sarà un segnale forte anche per la grande comunità venezuelana presente a Pescara e in Abruzzo che avrà un amico in più che, visto il ruolo così importante assunto nella Chiesa di Pescara-Penne, potrà essere un punto di riferimento per loro…
«Sì, come sapete bene, l’Italia ha un forte legame con il Venezuela dopo la Seconda guerra mondiale. In modo particolare tante famiglie sono emigrati, ma anche tanti single. Nel mio caso mio nonno e mia nonna sono andati in Venezuela a fare parte di una bonifica, analogamente a quanto avvenuto nell’Agro Pontino. Tante famiglie hanno trovato in Venezuela un’accoglienza grandissima per potersi sviluppare, radicare e portare avanti tanti sogni che portarono nelle valigie, che in quel momento erano di cartone. Ci sono tanti ricordi dei nonni, perché mamma è venezuelana, mentre papà comunque è italiano di Sermoneta (Latina). I miei nonni sono partiti con la nave “Amerigo Vespucci” da Napoli verso il Venezuela, con loro sono partite 54 famiglie italiane, arrivando a Puerto Cabello il 19 febbraio 1952 e stabilendosi a Turèn-Villa Bruzual-Estado-Portuguesa. E così il Signore ci ha dato questa possibilità. E l’Abruzzo è una regione che ha un grande rapporto con il Venezuela. Una volta ho letto che erano 5 mila famiglie abruzzesi che erano andate a vivere in Venezuela. E dopo si sono create associazione e movimenti italo-venezuelani per dare una mano a chi ha bisogno. Questo rapporto con il Venezuela e la nostra presenza è anche un bel segnale di una Chiesa in uscita. Una Chiesa missionaria, che può dare una mano a chi ha bisogno, in cui anche i venezuelani possano trovarsi con i sacerdoti che sono qui e tante famiglie, quando ci vedono e ci salutano avendo passato tanto tempo della loro vita in Venezuela, si emozionano anche e nasce un bel rapporto».
Citavi la Chiesa in uscita di Papa Francesco. Così potremmo dire che per un Papa “arrivato dalla fine del mondo”, la Chiesa di Pescara-Penne ha un vicario generale “arrivato (quasi) dalla fine della fine del mondo”…
(Ride) Meglio non fare paragoni con il Papa, ma in effetti il Venezuela è più a nord dell’Argentina. Venire da 9 mila chilometri (la distanza tra Caracas e Roma) ed essere qui, fa capire l’universalità e la cattolicità della Chiesa. Questa è la bellezza di essere in Cristo, la bellezza di sapere che tutti noi battezzati siamo chiamati a portare il Vangelo e che il Signore ci chiama soprattutto ad essere testimonianza viva. Un servizio da fare con gratitudine, con abnegazione, con gioia. Sì, con gioia, con allegria, con entusiasmo, perché c’è bisogno. Dice ai bambini del catechismo, “Voi non immaginate un Gesù serio con una faccia arrabbiata, no?”. Quella serenità, quella pace che solo Dio ci può dare, ci può comunicare ovunque il Signore ci chiama. Confesso che non avevo mai pensato di restare in Italia, nel senso che io ero venuto a studiare a Roma per poi tornare alla mia diocesi di origine. Dopo si sono presentate le situazioni, mi è stato chiesto se potevo restare e avendo la cittadinanza italiana – grazie a mio papà italiano io, tutti i miei fratelli e mia sorella abbiamo la cittadinanza italiana – si è potuto per poter fare questo servizio. Ringrazio il Signore perché veramente l’Arcidiocesi di Pescara-Penne mi ha accolto come un figlio. Sì, io mi sento parte di questa arcidiocesi. Monsignor Cuccarese mi ha accolto all’inizio, monsignor Valentinetti ha sostenuto la mia vita sacerdotale e personale come un padre, con l’amore di un pastore per le sue pecore. Io lo ringrazio tanto per la fiducia, perché noi dobbiamo essere in comunione, in obbedienza a lui, però c’è questa parte umana che lega le persone e ci dà la capacità di vivere per il Signore. Così è andata avanti questa esperienza. Non sappiamo le vie del Signore. Uno, un progetto umano nella sua testa ce l’ha, ma dopo bisogna lasciare che il Signore faccia la sua parte».
Il tuo è un curriculum importante, perché sei licenziato in Teologia e Diritto canonico e hai anche due dottorati, di cui uno in filosofia e l’altro ottenuto in Venezuela. Studi notevoli che ti hanno consentito, tra le altre cose, di diventare anche giudice ecclesiastico in qualità di Provicario giudice del Tribunale ecclesiastico diocesano qui a Pescara. Quanto questi studi sono stati importanti per la tua crescita personale e per quel che fai e che fari nella nostra diocesi?
Voglio risponderti con una frase che due settimane fa Papa Francesco ha detto a un movimento ecclesiale nel corso di un’udienza. Il Papa ha detto a loro che l’importante non sono le capacità, ma la disponibilità. E io sono molto riservato, ma ti ringrazio che hai nominato questo percorso accademico di formazione. Questa è la parte a livello a livello ecclesiale, perché c’è una parte anche a livello civile in Venezuela. Lì per fare un dottorato bisogna fare prima 5 anni di licenza e dopo 3 anni di magistrale. Essendo stato parroco della chiesa universitaria di Gesù Maestro dell’Università delle Ande a Merida, ho avuto l’occasione di continuare a studiare all’università. Ho cercato di approfittare del tempo a disposizione. L’unica cosa che non si recupera mai è il tempo perduto. Mio padre diceva sempre una frase italiana “Campa cavallo che l’erba cresce”, come a voler dire “Datti da fare”. Poi a Roma sono arrivate le licenze e altre specialità. Tutto questo mi ha permesso di avere una visione più ampia di quello che è il mondo per il servizio e per avere quella disponibilità, perché quello che impari lo metti a disposizione degli altri. Per noi sacerdoti è importante cercare di essere a immagine del Signore, nel senso di essere “Alter Christus”. Siamo chiamati ad essere testimonianza viva dell’amore del Signore con semplicità, con autorevolezza, ma soprattutto con grande amore. Oggi il mondo ha bisogno di questo».
Sulla porta del tuo ufficio parrocchiale campeggia la scritta “Il parroco è sempre disponibile all’ascolto” con il tuo numero di cellulare, dov’è precisato che è sempre acceso. E anche nel tuo servizio di giudice, devi essere sempre in ascolto. Questo è un valore. Come applichi questa qualità nel tuo servizio? Quanto è importante l’ascolto per un sacerdote e per un sacerdote come te che adesso, come vicario generale, dovrà ascoltare laici e presbiteri?
«Non so se è un pregio o un difetto, ma io il cellulare non lo spengo mai, deve rovinarsi e cadere, perché penso che siamo al servizio e io rispondo sempre. E quando il telefono squilla e sono nel mezzo di un’udienza, mi viene un po’ d’ansia in quanto vorrei subito rispondere a quella persona che chiama, la quale ha bisogno. Per me è un grande aiuto, perché sto sempre in contatto con le persone e quando non sono fisicamente presente in ufficio, in parrocchia perché – come ha detto Papa Francesco – “Non siamo sacerdoti da sacrestia, dobbiamo anche uscire per un po’ con la gente. Così quanto non ci sono la gente che arriva in parrocchia, trova sempre un numero di telefono disponibile. Così la gente può fissare un appuntamento per venire a parlare, può chiedere a che ora c’è la messa… Ci sono tanti aneddoti molto simpatici, con la gente che chiama e si rende conto che è troppo presto o troppo tardi. Questo per me è uguale, non c’è nessun problema».
La gente ha tanto bisogno di essere ascoltata, sono tempi difficili?
«Sì, le persone hanno bisogno di essere ascoltate, perché a volte possiamo essere presi da tante cose, dalla stanchezza, dai pensieri, a volte succede che uno senti una voce come la radio che puoi sentire, ma se l’ascolti è diverso. Sì, l’ascolto è attenzione, apertura e quindi penso che sia è importante perché quella persona ha bisogno. Chiediamo al Signore che ci dia anche la capacità, quell’umanità, quella sensibilità che non deve mancare mai. Perché noi, anche se siamo esseri umani, anche se siamo sacerdoti, non possiamo perdere le staffe. Cerchiamo di essere sempre disponibili, perché la bellezza del nostro ministero è questa, essere disponibile».
La disponibilità è una parola chiave e allora, come pensi di svolgere questo ministero così importante di vicario generale?
«Sono al servizio, con cuore e disponibilità. Questo è una frase che avevo scritto e meditato, perché lo spirito sinodale della Chiesa, ci chiama a camminare insieme e questo sarà la nostra gioia, sempre che noi abbiamo questa disponibilità a lasciare da parte i nostri interessi, quello che piace a noi, quello che può soddisfare uno di noi, per dare spazio alla Parola di Dio che è fondamentale. Sì, penso che la Parola di Dio è fondamentale in questo momento, insieme all’ascolto e all’Eucaristia che è il centro della vita cristiana. Io dico sempre ai ragazzi e ai bambini, che vengono a catechismo, e anche alla gente questo slogan “Noi veniamo in chiesa per incontrarlo, conoscerlo, amarlo e, quest’anno, abbiamo aggiunto seguirlo, perché la cosa più difficile è seguire Gesù. Quindi è importante la disponibilità al servizio, ad andare dietro di Lui “Se qualcuno vuole venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua”, che non è un messaggio pessimista-fatalista, ma è la consapevolezza che noi siamo chiamati nelle beatitudini ad arrivare alla vita eterna. Solo attraverso la rinuncia, solo attraverso le beatitudini, solo con la negazione di noi stessi possiamo arrivare a Lui, alla salvezza eterna».
In conclusione, don Amadeo, quali sono i tuoi auspici per questo nuovo servizio che inizia? Qual è il messaggio che vuoi lasciare ai fedeli, ai presbiteri dell’Arcidiocesi di PescaraPenne, che avranno l’opportunità e la fortuna di averti come loro vicario generale dell’arcidiocesi?
«Mi auguro che sia la fortuna, come hai detto Tu. Penso ai cari confratelli sacerdoti, penso ai diaconi, penso ai religiosi, alle religiose, penso ai fedeli della Chiesa Pescara, penso con tutto il cuore e rinnovo il mio servizio e la mia gratitudine, questo te lo posso dire di cuore alla chiesa di Pescara-Penne che in questi 20 anni mi ha accolto come un figlio, mi ha accolto con come amore. E la mia disponibilità è essere al loro servizio con amore, sincerità e anche con abnegazione, ma penso che anche con la semplicità, con la semplicità che ti può fare vicino all’altro, che ti può fare rendere disponibile, che ti può far essere una persona umana, essere più cristiano. E soprattutto che il ministro sacerdotale, questo servizio, sia veramente per essere presenza via dell’amore di Cristo. È un cammino che sta iniziando. Mi affido al Signore, mi affido alla benevolenza del vescovo e alla sua fiducia, mi affido anche ai confratelli, loro mi daranno dei consigli che sono disposto ad ascoltare. Non siamo padroni, proprietari. Come dire, a volte si fanno tutte queste battute, “io dico, dico, faccio, faccio”. Che posso fare io per gli altri? Come io posso dare del mio meglio? E che sia il Signore e lo Spirito Santo a guidarci. Lo vedo come una missione. È una missione portare anche Gesù, il Vangelo, in questo servizio, perché il Signore mi ha chiamato. Io una cosa ti dico per concludere. È una nuova forma di condivisione della vita quotidiana e del lavoro pastorale, che tra noi sacerdoti inizio e che proseguirà in comunione e obbedienza al vescovo».