“Si parli di pace e non di sicurezza, con cui si giustifica l’uso delle armi”
"Far sì che questi conflitti – esorta don Marco Pagniello - non siano dimenticati da noi cristiani. Dobbiamo ricominciare a lavorare nelle comunità, con chi viene a messa la domenica. Dobbiamo tornare a parlare di pace supportati dai dati, per capire le dinamiche che segnano la nostra storia"
Cinquantadue Stati del mondo vivono situazioni di conflitto armato (erano 55 nel 2022) sempre più gravi e cruente. È aumentato, infatti, il numero di guerre ad altissima (da 3 a 4) e alta intensità (da 17 a 20) e il numero dei morti: 170.700, il più alto dal 2019. È il contesto preoccupante che emerge dall’ottavo Rapporto sui conflitti dimenticati di Caritas italiana, a cura di Paolo Beccegato e Walter Nanni, intitolato “Il ritorno delle armi. Guerre del nostro tempo”. Lo studio, realizzato in collaborazione con CSVnet, la rete nazionale dei centri per il volontariato, è stato presentato lunedì 9 dicembre a Roma.
L’approfondimento è stato incentrato sul peso mediatico delle guerre nell’agenda informativa, con un’attenzione particolare agli aspetti umanitari e al legame tra guerra, ambiente e transizione ecologica: «Il rapporto – premette monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas Italiana – serve a riaccendere l’attenzione sulle tante situazioni di crisi nelle periferie del mondo ignorate dai media. Vogliamo fare da megafono ed affrontare le situazioni di conflitto consapevoli delle dinamiche globali. La guerra è sempre una sconfitta dell’umanità. Il conflitto segna il fallimento della capacità di mediazione. La pace non è solo assenza di guerra, ma è frutto della giustizia. Richiede sempre l’impegno di ogni persona e dell’intera comunità. A livello informativo, il pericolo dell’indifferenza digitale è reale. È nostra responsabilità proporre un cambiamento ai media che hanno responsabilità, anche in vista del Giubileo del 2025. Come Chiesa e Caritas, dobbiamo essere protagonisti di cambiamento».
Tornando ai contenuti del report, secondo i dati del Sipri, nel mondo sono 4 le guerre ad altissima intensità, con più di 10 mila morti (erano 3 nel 2022): il conflitto tra Israele e Hamas e tra Russia e Ucraina, le guerre civili in Myanmar e in Sudan. Sono invece 20 le guerre ad alta intensità, con un numero di morti che oscilla tra 1.000-9.999. Erano 17 nel 2022. D’altronde, sempre secondo i dati del Sipri citati nel report, la spesa militare mondiale è salita al massimo storico di 2.443 miliardi di dollari. Dal 2009, per la prima volta, si registra un aumento delle spese militari in tutti i continenti: +6,8%, il 2,3% del Pil globale, 306 dollari a persona. Negli Stati Uniti è stata di 820 miliardi di dollari (+2,3%), in Cina di 296 miliardi di dollari (+6%), in Russia di 109 miliardi di dollari. Quasi 300 milioni di persone nel mondo, in base ai dati dell’agenzia Onu per gli affari umanitari Ocha, dipendono dagli aiuti umanitari. Tra questi 74,1 milioni si trovano in Africa orientale e meridionale. La guerra in Sudan nel 2023 ha prodotto bisogni umanitari per 15,8 milioni di persone, stimate a 30 milioni di persone per il 2024 di cui ben 3,5 milioni sono bambini. Il Sudan è il Paese con il più alto numero di bambini sfollati in tutto il mondo. Di contro, sono state 63 le operazioni multilaterali di pace (64 nel 2022), un terzo coordinate dall’Onu, con 100.568 operatori civili e militari impegnati in operazioni di pace (dicembre 2023). Erano 114.984 nel 2022.
È a dir poco tragico, invece, il dato record sul numero di bambini uccisi o menomati salito a 11.649 nel 2023, con un aumento del 35% rispetto all’anno precedente. E fa segnare una cifra record anche il numero di bambini rapiti: 4.356 nel 2023, in maggioranza maschi. Il volume, realizzato da Caritas italiana e CSVnet, cita i dati dell’ultimo Rapporto dal segretario generale Onu per i bambini e i conflitti armati nel mondo, che rileva 32.990 gravi violazioni contro i bambini in 25 conflitti nazionali e nel conflitto regionale del bacino del Lago Ciad, cifra record dal 2005. Si tratta di uccisioni e menomazioni (il numero più alto mai registrato, 11.649 nel 2023, con un aumento del 35%); reclutamento e utilizzo dei minori in gruppi e forze armate; violenza sessuale; rapimenti; attacchi a scuole e ospedali; diniego dell’accesso umanitario. È aumentato anche il numero di bambini rapiti nei conflitti armati, raggiungendo per il terzo anno consecutivo un massimo storico: 4.356 bambini rapiti nel 2023, la maggior parte maschi. Per quanto riguarda la situazione ucraina, nel febbraio 2022 sono stati registrati 1.682 attacchi alla salute dei minorenni a danno di operatori sanitari, forniture, strutture, magazzini e ambulanze e oltre 3 mila attacchi a strutture educative, che hanno lasciato circa 5,3 milioni di bambini ucraini senza un accesso sicuro all’educazione.
Ma, a fronte di queste 52 guerre in corso nel mondo, il Servizio Cei per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli ha finanziato 1.351 progetti in 28 Paesi interessati da conflitti a estrema o alta gravità dal novembre 2018 al 31 ottobre 2024. Sul totale dei 2.321 progetti complessivi finanziati dalla Cei tra il 2018 e il 2014, oltre la metà (58,2%) ha riguardato Paesi in guerra (57,6% dei fondi erogati).
Ma al di là dei dati, come detto, l’ottavo Rapporto sui conflitti dimenticati di Caritas italiana è stato dedicato ad approfondire il peso mediatico che queste guerre hanno nell’agenda informativa: «In questo momento storico – osserva Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio Comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana – ai criteri di notiziabilità dovremmo aggiungere quello d’umanità. La dimenticanza informativa di tanti conflitti conferma il principio per cui l’abbondanza di informazioni non porta ad una adeguata copertura mediatica. Alla bulimia mediale corrisponde un’anoressia conoscitiva». Corrado è, tra l’altro, uno dei 14 esperti interpellati per la stesura del volume, edito da San Paolo, e ha messo in guardia dal “rischio di assuefazione mediatica”: «Con le persone – ammonisce il direttore dell’Ufficio Comunicazioni sociali Cei – che diventano attori e spettatori del disordine informativo. In una società in continua trasformazione, non possiamo continuare a ragionare per compartimenti stagno. Occorre fare rete e creare interdipendenza nel sistema mediatico, senza trascurare nessun angolo del pianeta». Da qui un appello a editori, strutture informative, redazioni: «È il momento – invita Vincenzo Corrado – di sviluppare una nuova coscienza, per recuperare un debito di credibilità. Abbiamo bisogno di andare alla profondità dell’essere umano. Se continuiamo a girarci dall’altra parte, continueremo ad accrescere il disordine nel mondo».
E non è mancata la riflessione del direttore di Caritas Italiana don Marco Pagniello: «Chiediamo aiuto ai giornalisti – l’appello del presbitero -, perché si parli di pace e non solo di sicurezza, perché la sicurezza arriva addirittura a giustificare l’uso delle armi. Dobbiamo far crescere una consapevolezza nuova. Oggi il nostro governo ha investito molto nella produzione di armi, che non serviranno a difendere il nostro Paese in caso di guerra. Sono armi che saranno vendute e porteranno profitto». Per questo, il volume realizzato da Caritas Italiana e CSVnet, ha una finalità ben precisa: «Far sì che questi conflitti – esorta don Marco – non siano dimenticati da noi cristiani. Dobbiamo ricominciare a lavorare nelle comunità, con chi viene a messa la domenica. Dobbiamo tornare a parlare di pace supportati dai dati, per capire le dinamiche che segnano la nostra storia». Infine un impegno assunto per il Giubileo: «Vogliamo fare gesti concreti per educarci alla pace – conclude il sacerdote pescarese -, non solo nelle scuole come abbiamo già fatto».