Nuovo altare in Cattedrale: “Bello e adeguato per l’Eucaristia, espressione di sinodalità”
"Sono particolarmente emozionato in questo momento in cui devo rivolgere al popolo di Dio l’omelia - confida l'arcivescovo Valentinetti -, perché in 20 anni circa di presenza nell’arcidiocesi di Pescara-Penne, è la prima volta che io posso tenere l’omelia dalla sede episcopale – la cattedra – così come del resto si conviene. E questa per me è una grande consolazione, per il rispetto non solo delle norme liturgiche, ma per la comune appartenenza reciproca di me pastore con voi, popolo santo di Dio

Ieri sera una grande emozione ha pervaso l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti il quale ha consacrato il nuovo altare della Cattedrale di San Cetteo a Pescara, adeguato alle norme liturgiche attraverso il nuovo assetto marmoreo progettato dall’architetto Alberto Cicerone.

Quest’ultimo ha guidato i lavori, eseguiti dall’azienda artigianale di Spoltore “Industialmarmi” Cav. Vittorio Di Gregorio di Vittoriano Di Gregorio”, illustrati prima dell’inizio della solenne celebrazione eucaristica di consacrazione, concelebrata dal nunzio apostolico in Corea e Mongolia – di origine pescarese – monsignor Giovanni Gaspari e dai sacerdoti del Capitolo metropolitano nonché dell’Arcidiocesi, con l’animazione liturgica curata dal Coro diocesano diretto da Roberta Fioravanti: «Benvenuti – introduce l’architetto Cicerone – dopo mesi e mesi di lavoro per riuscire a restituire a questa Cattedrale uno spazio che concettualmente spingiamo verso un adeguamento, ma in realtà si tratta sempre di un adeguamento a Dio in cui i luoghi liturgici possano esprimere pienamente il loro significato. Per cui questo lavoro articolato è iniziato con il trasferimento del fonte battesimale, poiché la collocazione iniziale non era più idonea. È stata un’operazione importante per poter trasferire un’opera di questa importanza senza recare nessun danno, restituendola in tutta la sua bellezza. Il nuovo presbiterio prevede i luoghi liturgici dell’altare, dell’ambone, del candelabro per il cero pasquale, la cattedrale vescovile e la sede presbiterale. Elementi che ho deciso di affidare al significato del “giardino del Risorto”, in cui tutti gli elementi portano in modo così evidente queste fioriture che non sono altro che una rappresentazione più plateale della resurrezione di Nostro Signore.

Per cui iniziando dall’ambone che noi solitamente chiamiamo “Monumentum resurrectionis”, cioè il monumento dedicato alla resurrezione, in cui solitamente viene proprio rappresentato con questa frattura centrale che sta a ricordo del sepolcro aperto. Sta lì a raccontare che Cristo è risorto. E questa fioritura centrale su cui poggia l’aquila di San Giovanni, sta lì a simboleggiare il San Giovanni. Colui che arriva per primo, anche se poi per timidezza nei confronti di Pietro entra per secondo. È colui che arriva prima e a cui si rivolgono poi le donne proprio nell’annuncio che il sepolcro è vuoto. Quindi il luogo attraverso il quale viene proclamata la Parola e, attraverso lo Spirito Santo, viene resa viva, non sono più parole morte stampate semplicemente su un testo. E questa fioritura centrale è una fioritura centrale, è un ricordo all’amor plenum, cioè alla pienezza della resurrezione, all’amore totale, lasciando da parte quell’horror vacui, quel tentativo di riempire un vuoto inutilmente. A fianco il candelabro per il ciero pasquale, nel suo significato di inno gioioso alla resurrezione. Anticamente eravamo abituati, poiché l’accensione avviene proprio nel periodo del fuoco nuovo, a decorare il cero stesso con elementi floreali, con la frutta, con tutti quei doni della natura che consentissero di rappresentare una gioia stessa. E il gesto artistico è stato quello di trasferire quelle decorazioni che anticamente venivano apposte sul cero. Trasferirle sullo stesso candelabro, che ha questa forma a spirale, raccontando la tradizione antica dei candelabri per il cero pasquale, e su cui ho posto tre piccole api. Un simbolo che ricorda la lode che viene fatta durante il credo pasquale, durante la notte di Pasqua, lode che viene fatta alle api. Sull’Exsultet c’è una lode in modo particolare, perché grazie alle api la notte di Pasqua abbiamo la cera e la possibilità di avere una luce accesa sull’ambone che ci consenta di fare l’annuncio della buona novella.

Per arrivare poi all’altare, semplice, di pietra, piantato a terra. Un altare in cui coincide questo connubio di amore verso la resurrezione. In fondo il racconto è sempre rivolto al giardino della resurrezione. Un giardino che parte dal giardino dell’Eden, attraversando il giardino dei Getsemani, fino ad arrivare al giardino all’interno del quale era posto il sepolcro. Quindi c’è una continuità in cui c’è l’abbandono del rapporto con Dio, fino alla conferma attraverso Nostro Signore. Per cui ci sono due elementi. La croce fiorita, che racconta proprio questa gioia e resurrezione. È qui che noi annunciamo la morte di nostro Signore e ne proclamiamo la resurrezione. E la croce sta al segno del sacrificio necessario per giungere alla resurrezione stessa.

Infine la cattedra, che è il luogo in cui presiede il vescovo, che ha una forma adeguata a questo presbiterio. Il nostro obiettivo, con Sua Eccellenza, era quello di restituire spazialità e luce soprattutto a questo presbiterio, per poi concludere con la sede presbiterale che – anche nel suo piccolo accenno – è un richiamo costante alle fioriture di cui vi ho parlato».

In seguito, nell’omelia, l’arcivescovo Valentinetti ha espresso dunque con grande emozione la soddisfazione per il rinnovato altare: «Sono particolarmente emozionato – confida il presule – in questo momento in cui devo rivolgere al popolo di Dio l’omelia, perché in 20 anni circa di presenza nell’arcidiocesi di Pescara-Penne, è la prima volta che io posso tenere l’omelia dalla sede episcopale – la cattedra – così come del resto si conviene. E questa per me è una grande consolazione, per il rispetto non solo delle norme liturgiche, ma per la comune appartenenza reciproca di me pastore con voi, popolo santo di Dio. Prima di rivolgervi alcune parole di omelia, permettetemi di salutare monsignor Giovanni Gaspari – che è presente in mezzo a noi per pochi giorni provenienti dalla Corea, dov’è nunzio apostolico – e lo ringrazio tantissimo di aver accettato di venire a concelebrare in questa occasione perché figlio di questa Chiesa diocesana. Lo abbiamo accompagnato e lo accompagniamo con le nostre preghiere, perché il suo ministero a servizio del Santo Padre possa essere fruttuoso. “Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune. Vendevano le loro proprietà e sostanza e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Erano perseveranti insieme nel tempio, spezzando il pane nelle case, spezzando il cibo con letizia”. Siamo in tempo di Sinodo, in tempo di sinodalità. Se c’è un’espressione massima della sinodalità, questa è l’Eucaristia perché – intorno alla mensa eucaristica – il popolo santo di Dio è un cuor solo e un’anima sola e fa strada insieme a Cristo, che rinnova la sua presenza sull’altare ogni volta che si celebra l’Eucaristia. In modo particolare questa verità è riservata per la chiesa Cattedrale, la chiesa madre di tutte le chiese parrocchiali della diocesi. Riuniti insieme intorno alla mensa eucaristica della Cattedrale, ecco l’importanza dell’avere una mensa eucaristica che sia bella, adeguata e “giardino del Risorto” – così com’è stato sottolineato -. La Chiesa diocesana fa Sinodo, cammina insieme, si lascia prendere per mano da Cristo e vive nell’esperienza della comunione. Tutti i credenti stavano insieme, avevano in comune le cose, dividevano ogni cosa secondo il bisogno di ciascuno. La dimensione della sinodalità che si riversa immediatamente nella dimensione della carità. Ma che cos’è l’Eucaristia se non la carità, l’amore di Cristo che si espande. Il pane spezzato, il vino versato non è solo il corpo e sangue di Gesù, ma è anche condivisione di bene, condivisione di amore, condivisione di appartenenza, condivisione di sensazioni profonde che fanno di noi una cosa sola. E perciò, se questo accade, il Signore aggiunge alla comunità quelli che sono salvati».

Da qui un riferimento alla parola del Vangelo: «Perché la celebrazione eucaristica, e tutto quello che ne consegue come ho detto – precisa monsignor Valentinetti -, diventa vera se è una celebrazione in spirito e verità. Ma viene l’ora in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Così, infatti, il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Se stiamo qui insieme è per ricercare un’adorazione in spirito e verità. Un’adorazione dove non è la disincarnazione dalla vita, lo Spirito, la spiritualità, la profondità dello Spirito, la verità, la realtà della storia. Direi che Eucaristia e storia, dentro questa mensa, si mescolano e lo fanno tutte le volte che noi riusciamo a celebrare in spirito e verità. Questo significa anche che questo nostro stare insieme è una ricerca continua di conversione, di ascolto della Parola di Dio, di lasciarsi ammaestrare non solo dal vescovo, ma dai maestri della Chiesa che chiaramente sono deputati a proporre le verità della fede e a testimoniarle con la vita».

Quindi l’invito ad essere lieti, sotto lo sguardo della Beata Vergine Maria: «E allora – esorta l’arcivescovo Valentinetti – rallegriamoci ed esultiamo, anche se siamo in tempo di Avvento, ma sia nella gioia perché presto Cristo viene in mezzo a noi. Ma rallegriamoci ed esultiamo, volgendo lo sguardo a questa bellissima immagine di Maria che abbiamo anche rinnovato. È una immagine copia della Madonna di Lourdes, che ho voluto che troneggiasse davanti a tutti ai piedi di questo presbiterio. Lei, immagine e modello della Chiesa, Lei la prima credente, Lei davanti a noi a portarci insieme davanti a Gesù. Se ci avete fatto caso, ha il capo leggermente inclinato verso di voi, verso l’assemblea. Ci guarda e ci accompagna, ci guarda e ci benedice».
Infine non è mancata una riflessione sui successivi riti di consacrazione dell’altare: «Tra poco – conclude l’arcivescovo di Pescara-Penne -, anche se non ne sono degno, farò quello che fece Giacobbe il quale prese la pietra del guanciale su cui aveva dormito, ne fece una stele e la unse con olio. Tra poco ripeteremo questa unzione non tanto con l’olio semplice, ma quanto con il sacro crisma – consacrato il giovedì santo – e ancora una volta l’essenziale. L’unità profonda dentro il mistero della Chiesa e dentro il mistero di un’appartenenza. Perché se per Giacobbe quello era un luogo terribile, la porta del cielo, questo è non un luogo un terribile, ma è sicuramente la porta del cielo. Amen».

Successivamente l’arcivescovo di Pescara-Penne ha compiuto i solenni riti di consacrazione dell’altare, a partire dalla recita delle litanie dei santi. E poi la deposizione, nell’urna ubicata nella parte posteriore dell’altare, di alcune reliquie di San Cetteo, San Nunzio Sulprizio, San Donato martire, San Camillo de Lellis, San Luigi Orione, San Francesco Caracciolo, dei Beati Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi e del venerabile cardinale François Xavier Nguyên Van Thuân. Quindi ancora la preghiera di dedicazione dell’altare, successivamente unto dal presule insieme alle croci, quindi la sua copertura e l’accensione delle luci. Infine l’incensazione dell’altare, prima della prosecuzione della liturgia eucaristica secondo il suo corso tradizionale.