“Riaprire il cuore alla speranza è l’annuncio più importante da dare”
"L'augurio - sottolinea monsignor Tommaso Valentinetti - è che tutte le famiglie possano vivere serenamente questo Natale in santa pace e soprattutto in salute, perché ci sono molte malattie in giro. Per questo credo che sia da vivere sul serio contemplando il mistero della Natività, sapendo soprattutto che quel Bambino che è nato in quella grotta è la nostra speranza. Auguri di Buon Natale!"

Tempo di Natale, tempo di Giubileo, ma anche di bilanci al termine di un anno 2024 denso di appuntamenti, a partire dal Sinodo, destinati a mutare il volto nella Chiesa a medio-lungo termine: non solo quello della Chiesa universale, ma anche quello della Chiesa locale di Pescara-Penne. Per questo ne abbiamo parlato con l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti che, come da tradizione in questo periodo dell’anno, si è gentilmente concesso ai microfoni dell’emittente radiofonica diocesana Radio Speranza InBlu e del notiziario diocesano online La Porzione.it.
Vogliamo ripercorrere quelle che sono state tappe fondamentali di un 2024 che non ha fatto mancare emozioni, bei ricordi che resteranno nella storia della Chiesa di Pescara Penne, come quello che si è fissato nella mente di tutti nella giornata di giovedì 19 dicembre, quando nella Cattedrale di San Cetteo lei, in serata, ha consacrato il nuovo altare, la nuova sede episcopale e il nuovo ambone, che ha pianificato attraverso il lavoro dell’architetto Alberto Cicerone (famoso per aver progettato, tra le altre cose, l’adeguamento liturgico della Cappella Sistina). Un obiettivo, questo, che le si prefiggeva fin dall’inizio del suo episcopato e – sicuramente anche per questo – l’abbiamo vista molto emozionato durante la celebrazione eucaristica…
«Sì, era un desiderio che mi portavo nel cuore fin dall’inizio del mio ingresso a Pescara, quando ho potuto notare che, pur nella pregevolezza della fattura dell’altare che è di pregio artistico e di un grande architetto, però in realtà i luoghi liturgici tipo l’ambone e la sede erano completamente inadeguati a una buona celebrazione. Allora ci siamo messi a riflettere, abbiamo riflettuto per tantissimo tempo fino a quando abbiamo trovato l’architetto adatto, l’architetto Alberto Cicerone, che si è applicato per tantissimo tempo. Ha studiato le fattezze della cattedrale, ha studiato le forme più adatte. Ci siamo confrontati tantissimo con l’Ufficio liturgico e anche con la Commissione d’arte sacra, per poter trovare le forme più adatte per l’adeguamento degli spazi, affinché gli spazi risultassero soprattutto luminosi. Questo perché, in realtà, la Cattedrale portava con sé una situazione di buio, non tanto per le lampade a luce elettrica, ma quanto per .l’oscurità dei manufatti che in qualche modo dominavano il presbiterio. Ora c’è molta più luce. Il titolo di questo adeguamento è stato proprio “Il giardino del Risorto”, dato che in questo luogo c’è tanta luce. E anche l’immagine di Maria, che riprende l’immagine della Madonna di Lourdes, è di marmo bianco, molto bello, molto significativo, sempre con questa stessa prospettiva».
Insomma, una realizzazione importante che sarà anche un viatico significativo, che ci permetterà di vivere la Cattedrale di San Cetteo al meglio anche nel prossimo Giubileo che va a cominciare. Perché sappiamo che sulla base delle disposizioni della Santa Sede, la quale prevede che ogni diocesi individui alcune chiese giubilari, per la Chiesa di Pescara-Penne lei ha individuato proprio la Cattedrale di San Cetteo, unitamente al Santuario della Divina Misericordia e al Santuario di San Nunzio Sulprizio a Pescosansonesco, come chiesa giubilare. Ricordiamo che la port santa sarà varcabile solo nelle quattro basiliche pontificie di Roma (San Pietro, San Giovanni in Laterano, San Paolo fuori le mura e Santa Maria Maggiore), ma in tutte le chiese giubilari diocesane sarà possibile lucrare l’indulgenza plenaria…
Esattamente, infatti l’adeguamento del presbiterio era previo a questa dimensione giubilare, proprio perché si potessero accogliere le parrocchie che volessero fare il pellegrinaggio in cattedrale nella maniera migliore.
E poi ci saranno tanti appuntamenti comunque anche in diocesi per vivere questo Giubileo. Ecco, ma che Giubileo sarà quello pescarese? Che Giubileo ha pensato?
«Innanzitutto ho pensato di non fare un pellegrinaggio a Roma perché c’è tanta confusione, per cui nel mese di settembre faremo un bellissimo pellegrinaggio diocesano al Santuario di San Gabriele dell’Addolorata, perché anche quel santuario sicuramente sarà chiesa giubilare. E poi momenti di riflessione sul tema della speranza perché chiaramente quest’ultima, che contraddistingue l’idea fondamentale di Papa Francesco, possa essere riposta nel cuore di tutti. Abbiamo bisogno tutti di speranza, abbiamo bisogno tutti di ritornare a guardare avanti con più ottimismo. Sono troppi gli eventi terribili che in questo anno, in questi due ultimi anni, si sono succeduti e praticamente la realtà ha messo in angoscia molte persone. Riaprire il cuore alla speranza sicuramente è il cammino più importante di annuncio che dobbiamo fare.
Un Giubileo, quello che va ad iniziare, che nessuno ha scelto – a differenza di quello della Misericordia del 2016, essendo ordinario e ripetendosi quindi ogni 25 anni. Il tema dell’appuntamento è “Pellegrini di speranza”. Ma lo accennava anche lei, tra guerre, emergenze pandemiche, povertà in aumento, questo titolo è comunque una bella provocazione, che Papa Francesco ha voluto cogliere e rilanciare a tutti…
Sicuramente, perché c’è tanta negatività in giro, c’è tanto scoraggiamento, anche nei confronti della Chiesa stessa nonché dei suoi uomini e delle sue donne. Sembrerebbe quasi che portassimo le colpe di tutta l’umanità. In realtà non è così. Siamo capaci di essere di nuovo comunicatori di speranza, soprattutto per quelle categorie più deboli. Io penso a tutte le attività caritative della mensa, del dormitorio, dell’accoglienza degli immigrati, dell’accoglienza dei malati di Aids e quant’altro ci mette nelle posizioni di essere comunicatori di speranza per chi, magari, questa speranza non la nutre più nel cuore. E credo che sia veramente un messaggio da riverificare, perché ogni cristiano deve essere comunicatore di speranza.
E proprio il Giubileo, permette di rispolverare un tema che a lei è molto caro e di cui si parla in ogni sua edizione, ovvero quello dell’annullamento del debito dei Paesi poveri, così come anche la richiesta di un aumento dei fondi per l’aiuto allo sviluppo dei Paesi in via di sviluppo. Un tema del quale ha parlato anche in occasione dell’ultimo G7 dei ministri dello sviluppo e della cooperazione internazionale di Pescara, attraverso un suo comunicato diffuso alla vigilia del vertice internazionale. Una tematica che, proprio nell’ambito dei lavori del G7 pescarese, è stata ripresa e rilanciata anche dal missionario padre Giulio Albanese. Ma in risposta è arrivata una tiepida disponibilità a parlarne e nulla più. E poi in questo appuntamento, che si è svolto dal 22 al 24 ottobre all’Aurum, c’è stato un incontro – non allo stesso tavolo – tra Libano, Palestina e Israele con le istituzioni internazionali. Secondo lei questi possono essere dei risultati soddisfacenti? Questi consessi internazionali sono solo immagine oppure ci si può ritenere soddisfatti?
«Non mi sono fatto una buona idea, devo essere molto sincero. È stata più passarella, più evidenza di propaganda politica – o meglio propaganda di parte – che non situazione in cui affrontare problematiche che sono sicuramente molto importanti. Lo dimostra il fatto che, in realtà, anche nel mezzo pomeriggio dedicato all’aspetto missionario si è parlato poco e si è parlato in maniera non incisiva di questo tema, che è la remissione del debito dei paesi poveri e soprattutto non si è affrontato il tema dello sviluppo. Il Papa San Paolo VI, nella “Populorum Progressio”, diceva che “il nuovo nome della pace è lo sviluppo”. Se non creiamo situazioni di equità di sviluppo nei Paesi che sono in via di sviluppo, è inutile che possiamo pensare di bloccare l’immigrazione e focolai di guerra che inevitabilmente si accendono, perché le persone hanno bisogno di trovare spazi e risorse. E se queste non le ritrovano nel proprio luogo, le vanno a cercare altrove. E poi c’è il problema di non volere assolutamente, non credo che nessuno possa pensare diversamente, che la fine della guerra possa essere la vittoria dell’uno o dell’altro. Qui stanno perdendo tutti, sta perdendo la Russia, sta perdendo l’Ucraina più degli altri, sta perdendo il popolo palestinese, sta perdendo l’Israele – con un’immagine cattiva che si sta facendo a livello internazionale – sta perdendo la Siria (non tanto perché ha cacciato Assad, ma per una situazione d’instabilità), stanno perdendo tantissimi paesi. Con la guerra, Papa Francesco l’ha detto in maniera molto chiara, tutto è perduto. Con la pace tutto è guadagnato. Ma questo è un assioma che tutti i pontifici hanno portato avanti e sicuramente su questo bisogna lavorare, soprattutto nel capire quali sono le dinamiche per bloccare la vendita delle armi e, soprattutto, la vendita nascosta delle armi. E quando mi si dice che i nostri arsenali, lo ha detto un esponente di un partito politico ultimamente in televisione, devono essere pieni perché sennò non avremo modo di avere la pace, è un errore. È un errore grave, perché i romani dicevano “Si vis pacem, para bellum” (Se vuoi la pace, prepara la guerra), ma “Si vis pacem, para pacem” (Se vuoi la pace, prepara la pace). Non puoi preparare l’arsenale se vuoi la pace. Questa è una contraddizione in termini, ma purtroppo ci sono le grandi lobby del grande commercio delle armi, di cui anche alcuni nostri esponenti nostri fanno parte. E chiaramente tutto questo porta a una non volontà di sedersi ai tavoli delle discussioni, così da trovare le strade per un cessate il fuoco immediato e soprattutto una soluzione che possa essere pacifica, ma soprattutto rispettosa dei tanti bambini morti, dei tanti anziani ammazzati, delle tante famiglie disperse, delle tante situazioni pagate dai deboli, non pagate dai forti, perché i forti e i dominatori di questo mondo siedono ai tavoli del potere per fare i loro comodi. Invece i poveri continuano a pagare le loro povertà, perché sono quelli che pagano più di tutti.
Ecco, la parola pace è infarcita nelle campagne elettorali di questi leader sempre più populisti e meno statisti che governano le sorti del mondo. Da gennaio le sorti della pace in questi conflitti passeranno di nuovo dalle mani di Donald Trump, che è un personaggio molto discusso, molto chiacchierato. Dunque manca la grande politica e allora, possiamo stare tranquilli?
«Io sto tranquillo perché la mia vita l’ho fatta, ho 72 anni e se dovesse succedere qualcosa di strano spero che il Signore mi accolga nei “padiglioni eterni”. Io non mi preoccupo per me, mi preoccupo per i giovani, mi preoccupo per i bambini, mi preoccupo per le persone disabili, mi preoccupo per quelli che sono veramente i deboli e i fragili. Poi, lo dico sinceramente, che non sto tranquillo con nessuno. Non sto tranquillo con chi governa adesso, non sto tranquillo con chi ha governato prima a 360 gradi nell’orbe terracqueo mondiale. Perché le situazioni stanno cambiando in continuazione e non vedo un Martin Luther King, non vedo un John Fitzgerald Kennedy, non vedo un Krusciov, non vedo un Andreotti – nonostante i suoi problemi e le sue situazioni – non vedo un Enrico Mattei. Vedo personaggi minuscoli che pensano ai propri affari, che pensano alle proprie situazioni o, peggio ancora, ad un populismo fuori moda che non porta pane a casa».
E a rimetterci sono come sempre i cittadini, la povera gente e i tanti poveri che anche qui a Pescara affluiscono alle mense e ai servizi dell’ottima Caritas diocesana. A tal proposito, nei giorni scorsi, la Caritas ha diffuso i primissimi dati del 2024. Sono 80.798 i pasti distribuiti nelle mense di Pescara e Montesilvano, 405 le famiglie sostenute dagli empori della solidarietà, 2.030 le persone che hanno chiesto aiuto al Centro di ascolto diocesano e 249 senza fissa dimora, tra uomini e donne, accolti in dormitorio. Numeri che ci continuano ad interrogare pesantemente, quando i sussidi sono sempre pochi di meno e l’assegno di inclusione non ha rimpiazzato adeguatamente quello che era il vecchio reddito di cittadinanza. Una situazione sempre più preoccupante, la Caritas fa sempre di più, anche gli enti locali stanno aiutando, ma dove stiamo andando? I poveri aumentano e purtroppo anche le diseguaglianze anche in questa nostra Italia…
Noi siamo pronti a continuare a fare la nostra parte per tutto quello che sarà possibile fare e quello che potremo aiutare. Ringraziamo tutti quelli che hanno firmato per l’8xmille o stanno dando offerte per il sostentamento dei sacerdoti, perché indubbiamente questo è un sostegno non indifferente per la carità delle Chiese particolari. Certamente lo squilibrio sociale è notevole, ma questo a livello internazionale e a livello anche nazionale ci sono sempre meno ricchissimi, sempre più ricchi ma sempre di meno. E ci sono tanti poveri, sempre più poveri, in aumento. Questi sono i dati che abbiamo. Molte volte ci vengono rappresentati altri dati, ma chiaramente sarebbero tutti da verificare e da guardare con molta attenzione. Ma io rimango ai dati della nostra realtà cittadina di Pescara, tenendo presente che noi raccogliamo anche molte persone che vengono dall’hinterland e non solo dalla diocesi di Pescara. Vengono dalla vicina diocesi di Chieti e vengono dalla vicina diocesi di Teramo, pur avendo queste diocesi i loro servizi caritativi a disposizione di tante persone. Pescara ha questa situazione di accoglienza, più che altro per il territorio così come è situato. Cioè, scendere a Pescara è molto più facile che salire altrove. D’altronde, ognuno fa la sua parte e credo che tutti la facciano bene. Noi la facciamo secondo i nostri mezzi».
Eccellenza, veniamo al Sinodo della Chiesa cattolica. A ottobre è finito il Sinodo della Chiesa universale, dal tema “Comunione, partecipazione, missione”, e ad aprile si svolgerà la seconda Assemblea del Cammino sinodale delle Chiese in Italia a cui l’Arcidiocesi di Pescara-Penne parteciperà, come ha fatto anche alla prima, con i suoi referenti da lei coordinati. Tra l’altro, il Consiglio episcopale permanente della Cei ha appena diffuso anche lo strumento di lavoro per vivere quest’ultima parte del Sinodo della Chiesa italiana. Monsignor Erio Castellucci, il presidente del Comitato sinodale delle Chiese in Italia, ha parlato della necessità di uno snellimento delle strutture e di una Chiesa sempre più inserita nel sociale. E anche lei, sappiamo che sta lavorando alacremente per una riforma degli uffici pastorali in diocesi. Ma lei dice sempre che stiamo per vivere una nuova primavera della Chiesa. Cosa vedremo tra pochi mesi?
«Tra pochi mesi nulla, fra qualche anno probabilmente sì, vedremo qualcosa di buono. Stiamo lavorando. È un coinvolgimento lento di tutto il tessuto ecclesiale. Ci vuole pazienza, ci vuole calma. Chi si illudeva che un processo sinodale potesse risolvere tutti i problemi di questo mondo e trovare delle soluzioni all’evangelizzazione, alla liturgia, alla carità, all’impegno sociale della Chiesa e quant’altro, ha fatto un grande errore. Ci vuole tempo. Occorre rimacinare un po’ la metodologia di comunicazione della Dottrina, della catechesi, una presenza diversa anche da un punto di vista di partecipazione liturgica e poi un’attenzione sempre più alle persone, in un ristabilirsi di relazioni interpersonali che tengono conto più di un ascolto che non di un imbonimento. È chiaramente un processo di diversificazione molto complesso. Noi avremo anche un’assemblea sinodale diocesana, a metà febbraio, in modo tale da studiare lo strumento di lavoro e poter consegnare – per quel che sarà nelle nostre possibilità – a fine marzo e inizio aprile il nostro contributo all’ultima Assemblea sinodale della Chiesa italiana».
Ma è soddisfatto del lavoro svolto finora? Adesso c’è, quantomeno, una Chiesa che ascolta…
«Ci vuole pazienza e anche qui, forse, bisognava prendere più tempo. Io ho chiesto sempre ai vertici della Chiesa italiana di avere più tempo a disposizione. In realtà qualche cosa si è un po’ affrettato, però speriamo che una volta conclusa la parte “profetica”, dopo la parte di ascolto, dopo la parte di discernimento, si possa camminare più lentamente e più con un passo da montanaro, perché la montagna da salire è alta, ma ci vuole pazienza. Ma soprattutto occorre il coinvolgimento graduale di una base ecclesiale che è stanca e anziana e che bisogna rinnovare nel suo Dna».
Infine, Eccellenza, non posso non chiederle i suoi auguri di Natale per i lettori de La Porzione.it e per gli ascoltatori di Radio Speranza…
«L’augurio è che tutte le famiglie possano vivere serenamente questo Natale in santa pace e soprattutto in salute, perché ci sono molte malattie in giro. Per questo credo che sia da vivere sul serio contemplando il mistero della Natività, sapendo soprattutto che quel Bambino che è nato in quella grotta è la nostra speranza. Auguri di Buon Natale!».