Paolo Ricca: “Sapeva chinarsi sulla Parola di Dio e davanti al prossimo”
"Non faremo nessun passo avanti nell'ecumenismo – ammonisce monsignor Giuseppe Lorizio - finché non ci comunichiamo insieme. Paolo Ricca aveva ben presente questo assunto. Finché non siederemo alla stessa mensa, non mangeremo lo stesso pane, non berremo lo stesso calice, l'ecumenismo è statico. La presenza reale di Gesù, nel momento della celebrazione eucaristica, Lutero ce l'aveva ben presente tanto che contestava anche gli altri riformati che volevano fare dell'Eucaristia un evento semplicemente simbolico"

È stata molto partecipata la commemorazione del teologo valdese Paolo Ricca – venuto a mancare lo scorso 14 agosto 2024 – che, nell’ambito della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, la Chiesa di Pescara-Penne ha voluto dedicare al noto esperto lunedì 20 gennaio, nel salone della chiesa dello Spirito Santo a Pescara. Un incontro commemorativo aperto dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti: «Paolo Ricca – ricorda il presule – è stato quasi sempre presente ai nostri momenti di riflessione durante la settimana di preghiera dell’unità dei cristiani sia come conferenziere, aperto. Ua illustrare temi che potessero essere utili per il cammino dell’unità, sia nei momenti dedicati particolarmente alla preghiera, quindi all’incontro anche con le altre confessioni cristiane, che portavano la loro riflessione e il loro momento di preghiera, sulle scritture, così come praticamente Paolo è stato sempre capace di fare nella sua attenzione bellissima alla realtà dell’incontro tra le chiese cosiddette sorelle».
Una commemorazione che si è svolta attraverso la riflessione di Gianni Genre, allievo di Paolo Ricca e attuale pastore nonché teologo valdese e monsignor Giuseppe Lorizio, docente emerito di Teologia presso la Pontificia Università Lateranense di Roma: «Affidiamo a loro due un momento di riflessione, di approfondimento di quella che era la figura di Paolo Ricca – precisa l’arcivescovo Valentinetti -, vista dalla parte valdese, vista dalla parte cattolica, ma aperti a una dimensione di confronto non tanto e non solamente sulle tematiche che riguardano la vita e gli insegnamenti del teologo valdese, ma quanto sulle tematiche da lui trattate che – in questo momento – possono essere importanti per il nostro cammino di unità e di conoscenza sempre più profonda delle Chiese».

È stato proprio il teologo valdese Gianni Genre a ricordare e riflettere per primo sul contributo lasciato da Paolo Ricca: «Quante volte – racconta Genre -, negli anni ’70, in Facoltà parlavamo del senso dell’ecumenismo e quante volte, ancora oggi, anzi forse oggi ancora di più, incontriamo delle persone che dicono “Questa settimana, sì è una cosa bella, tanta cortesia ecumenica, ma poi non cambia nulla, non è che si facciano grandi passi avanti, siamo nel tempo dell’autunno ecumenico, eccetera”. Paolo non ha mai accettato questo tipo di discorsi. Lui diceva, “Se qualcuno dice che questo è un ecumenismo di facciata, a maggior ragione la settimana di preghiera è perché bisogna pregare affinché non lo sia e diventi qualcosa di diverso e diventi davvero un cammino sinodale fatto insieme verso l’unità della Chiesa“. Paolo Ricca era assolutamente consapevole delle difficoltà e diceva anche che “erano le istituzioni stesse – a volte – a rendere difficoltoso il cammino perché se invece si guardava alle persone, ai membri delle Chiese”, lui diceva, “c’è grandissima speranza. Sono le istituzioni che rendono il cammino un pochino più difficoltoso”. Oggi noi lo sappiamo. Non abbiamo fatto grandi passi avanti, in realtà abbiamo fatto dei passi avanti straordinari. Io cito soltanto una piccola cosa, dal momento che sono stato in questi lunghi ultimi anni pastore a Pinerolo: una piccola diocesi che era nata, pensate un po’, anche in chiave anti-valdese. Oggi vescovo di Pinerolo è Derio Olivero che è anche il presidente, non a caso, della Commissione per il dialogo ecumenico. E prima di lui vi era Pier Giorgio De Bernardi e prima ancora Pietro Giacchetti. Ecco, con Pietro Giacchetti negli anni ‘60, poi negli anni ‘70, si è arrivati finalmente al 2000 con l’approvazione di un documento sui matrimoni misti. Pensate che hanno lavorato in una commissione bilaterale per 12 anni e Paolo Ricca ne faceva parte ovviamente, con Pietro Giacchetti, con una parte di evangelici e una parte di cattolici. Questo documento sui matrimoni misti, che io credo tutti conosciate o comunque lo potete scaricare facilmente da internet, è stata una primizia ecumenica perché lo stanno copiando in altri Paesi, per esempio in Austria e in altri Paesi francofoni, di pieno riconoscimento quindi del partenariato cattolico ed evangelico. Paolo era consapevole delle difficoltà. Parlava a volte anche dei problemi del potere che, lui dice, “ci sono anche nelle Chiese”. Il problema del potere si complica nel momento in cui questo si innesta su delle convinzioni di fede. Dice “Allora lì davvero ci sono dei guai”, ma quando invece ci incontriamo come stasera – quando ci guardiamo negli occhi – lui ne era assolutamente convinto, l’ha sperimentato mille, mille volte, il cammino va avanti, ci si riconosce davvero sorelle e fratelli del Cristo che ci chiama ad un mondo nuovo. Qual era la sua caratteristica? La caratteristica straordinaria di questo fratello maggiore, che abbiamo potuto conoscere, era lo stupore. Anche davanti alle cose minime Paolo Ricca sapeva stupirsi, vivere la dimensione dell’incanto. Lui questa dimensione dello stupore la viveva nell’incontro fra le persone, certamente, ma anche davanti al testo biblico. Ogni singola parola del testo biblico che gli veniva assegnata, sulla quale si rifletteva, ogni singola parola veniva scavata fino in fondo per provare a restituirle il messaggio originale. E questo ti dava l’impressione effettivamente di un lavoro, di un tête-à-tête con il testo biblico che io difficilmente ho incontrato in altri».
Un altro aspetto del pensiero teologico di Paolo Ricca, riguardava la necessità di “chinarsi” sul testo biblico: «Chinarsi – spiega Genre – significa prendere in considerazione, porre un’estrema attenzione a quello che stai facendo. Una persona che ti ascolta, nel momento in cui interloquisci, oppure una parola biblica. Bisogna imparare a chinarsi su quello che si sta facendo o sulla persona che si sta incontrando. E per chinarsi bisogna avere rispetto. Non c’era mai un uso strumentale della parola di Dio in questo senso. E attraverso questo chinarsi, lui sosteneva che la Parola di Dio poi si poteva così manifestare. La parola di Dio si manifestava. Perché noi la Parola la possiamo leggere mille volte, ma se non ti sei chinato, se non hai vissuto davvero questa dimensione dello scavo, dello scavare, allora non ti è ancora stato rivelato che cosa la parola biblica voglia dire».
E poi ancora la dimensione ecumenica di Paolo Ricca: «Lui ha curato la traduzione e il commento di alcune opere fondamentali di Lutero e aveva un desiderio che, in parte, Ricca ha visto realizzato. Era quello che tutte le Chiese, anche la Chiesa cattolica, potesse celebrare un giorno la riforma insieme ai protestanti. E lo ha visto questo momento perché, per esempio, a Pinerolo abbiamo vissuto l’anno luterano. Per lui, questo era un motivo straordinario di gioia, perché diceva “se la riforma – la riforma è tante cose, anche cose negative sono successe certamente -, in qualche modo è la festa della Parola, la cosa meravigliosa è poterla vivere insieme questa festa, che i cristiani e le cristiane di tutte le confessioni possano vivere insieme questa festa“. Sapete, Paolo Ricca è anche stato il primo pastore valdese ad avere la libertà di parola a San Pietro nel novembre del ‘22, la Lectio Petri, tra l’altro proprio sulla Parola “Su questa pietra indicherò la mia Chiesa” e il cardinal Ravasi l’ha ricordato anche a Roma».

È stato poi il teologo cattolico monsignor Giuseppe Lorizio a ricordare il pensiero di Paolo Ricca, annoverando diversi incontri di studio che tra i due si sono succeduti nel tempo: «Era disarmante il suo ottimismo, ma proprio disarmante. Ho detto, ma è possibile che un intellettuale di questa levatura non si renda conto di come siamo “messi male”, in particolare nel dialogo ecumelico?! E lui certamente se ne rendeva conto, perché non era un ingenuo ottimista, però intendeva spingerlo questo dialogo. Cioè fare in modo che arrivasse a delle conclusioni di non unificazione, che sarebbe deleteria, ma almeno, ma di comunione delle differenze. E questo è importante, perché saremo invitati a riflettere sul futuro del cristianesimo, sul cristianesimo del futuro e io sono profondamente convinto che il futuro è plurale, non è singolare. E questa di questa pluralità mi sembra importante che ne prendiamo coscienza e per iniziare a parlare dei cristianesimi, cioè non siamo tutti uguali e questa è una bella scoperta. Ma, in questo non essere tutti uguali, dobbiamo tendere alla comunione che, a volte, si fa anche in maniera difficoltosa, perché siamo spesso troppo avvolti nella nostra appartenenza confessionale. E allora quando prevale l’appartenenza confessionale sull’essere cristiani, viene meno l’ecumenismo, la comunione, tutti questi discorsi e si finisce come quell’anziana signora alla quale si domandò “Ma lei è cristiana?” e rispose “No, sono cattolica”. Inoltre Paolo Ricca, nell’ottimismo che lo contraddistingueva, non ha mai voluto cedere alla rassegnazione nel dialogo ecumenico: «Paolo Ricca – evidenzia monsignor Lorizio -, in più occasioni, ebbe a dire che il percorso della Riforma protestante non nasce dalla domanda, ma dalla risposta che è l’esperienza della misericordia di Dio, la quale porta noi riformati alla sola grazia, alla sola Scrittura, al solo Cristo e alla sola fede. E, in risposta al documento “Dal conflitto alla comunione” – in cui si legge “La divisione operata nel ‘500, appartiene alla pagine oscura della storia della Chiesa” -, Ricca ribatte che c’è stata sì una profonda crisi, con luci e ombre, ma sostenendo al contrario che questa crisi ci ha portato verso quel cristianesimo plurale. Ovvero, la Chiesa ha una pluralità di modalità di vivere la fede. La forma cattolica che ci appartiene, alla quale siamo molto legati, non esclude le altre forme di appartenenza cristiana. Il cattolicesimo dovrebbe essere inclusivo piuttosto che esclusivo, ma non inclusivo nel senso di appropriarsi, ma nel senso di essere in comunione».

E, infine, il dialogo ecumenico passa attraverso l’Eucaristia: «Non faremo nessun passo avanti nell’ecumenismo – ammonisce il teologo cattolico – finché non ci comunichiamo insieme. Paolo Ricca aveva ben presente questo assunto, insieme a Giovanni Cereti, in un bellissimo intervento che è stato riportato in calce a uno dei volumi che abbiamo fatto insieme sulla comunione delle differenze, quello sulla cena del Signore. Finché non siederemo alla stessa mensa, non mangeremo lo stesso pane, non berremo lo stesso calice, l’ecumenismo è statico. Cosa disse, cosa scrisse anzi Paolo Ricca in quell’occasione, che poi viene riportato nel testo. “Da dove nasce l’Eucaristia, se non dal battesimo? E cosa abbiamo in comune se non il battesimo? L’ospitalità eucaristica”. Sapete perché la situazione non si sbocca? Perché partiamo dalla legittimità del ministero, mentre invece dobbiamo partire dalla realtà del sacramento che nessuno nega. La presenza reale di Gesù, nel momento della celebrazione eucaristica, Lutero ce l’aveva ben presente tanto che contestava anche gli altri riformati che volevano fare dell’Eucaristia un evento semplicemente simbolico. E noi abbiamo studiato insieme a un prete della nostra regione ecclesiastica Abruzzo-Molise, Antonio Sabetta, i testi di Lutero sull’Eucaristia, sulla cena del Signore, il dono più prezioso che abbiamo. Qui Lutero dice, “Il Signore Gesù non ha detto ‘Questo significa il mio corpo, ma questo è il mio corpo’”. Dunque, il realismo dell’Eucaristia dovrebbe essere il punto di partenza per ricominciare a pensare, a pregare e ad aprirci alla ospitalità eucaristica. Perché se partiamo dal ministero, non andiamo da nessuna parte. E questo Paolo Ricca ce l’aveva ben presente insieme a Giovanni Ceretti, grande ecumenista cattolico genovese, a differenza di molti di noi per cui non si lavora in questa direzione. Certo, a me spesso i valdesi, anche altri protestanti, dicono “Noi non ci abbiamo nessun problema a darvi la comunione, siete voi che non ce la volete dare”. Cioè, è la Chiesa Cattolica – per alcuni versi l’ortodossia – che fa resistenza. Ma lasciamo stare le resistenze e andiamo verso una ripresa del sacramento a partire dalla realtà dello stesso».

Al termine è stato l’arcivescovo Valentinetti a chiudere la commemorazione con una propria riflessione: «Io – osserva il presule – da un mio maestro ho sempre capito e saputo che il cammino ecumenico è sicuramente complesso e deve tenere la contemplazione di una storia, dove la riforma inizia nel Cinquecento, sia nella parte anglicana, sia nella parte luterana e sia nella parte calvinista. Ma la dimensione della non comunione perfetta all’interno della Chiesa inizia praticamente nel terzo, quarto secolo, quindi è nata praticamente subito. Se noi non facciamo un cammino innanzitutto nel riconoscere che siamo diversi e che abbiamo una storia diversa, e che abbiamo una liturgia diversa, e che abbiamo elaborato anche una teologia diversa, e pretendiamo di fare dell’ecumenismo così come nel resto era partito inizialmente all’inizio del Novecento, più o meno, “Facciamo un solo gregge sotto un solo pastore”, non ne veniamo a capo. Invece credo che dobbiamo rientrare nell’ordine dell’unità delle differenze. Cioè, la pluralità delle differenze e la diversità delle Chiese in quanto tali, però nella Chiesa plurale, nel vero senso della parola, come ogni realtà ecclesiale – anche cattolica – è plurale. Non possiamo dire che siamo tutti uguali. Nell’omelia di sabato 18 gennaio, quando abbiamo iniziato proprio la Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani, ho sottolineato proprio questa verità… Non siamo tutti uguali, ma se non siamo disposti a mescolare le nostre diversità e a uscirne, noi non andremo da nessuna parte. Questa è la strada, ma per fare questo bisogna aprire il cuore prima che aprire le porte».
Rispondi