La Bibbia è per tutte e tutti
Una breve riflessione in merito alla questione del latino e del testo biblico, alla scuola secondaria di primo grado

Nelle ultime settimane molto si è parlato della proposta del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, di inserire a partire dalla scuola secondaria di primo grado un più organico studio del latino (anche se opzionale) e della Bibbia; tali novità sarebbero introdotte nella revisione delle Indicazioni nazionali, che è al centro del lavoro di una Commissione, preposta dallo stesso ministro.
Molte sono state le reazioni negative a tale proposta, considerata soprattutto poco attenta alla dimensione presente della scuola e della società; non sono mancati, ovviamente pareri positivi, che invece sottolineano l’attenzione per dei temi e degli aspetti centrali, per la nostra crescita culturale, così come identitaria.
Va sottolineato, in prima battuta, che l’insegnamento del latino e l’attenzione al testo biblico non sono affatto nuove: già oggi, con l’attuale normativa, è possibile proporre percorsi di sensibilizzazione alla lingua latina, nella secondaria di primo grado; così come non mancano possibilità di approfondimento della Bibbia e dei suoi aspetti, in chiave interdisciplinare; senza contare che l’IdR in organico (l’insegnante di Religione), ha già le competenze necessarie a sviluppare contenuti sufficienti, su questo versante.
La questione, al di là di ogni singola posizione, è comunque interessante perché tra le altre cose rimette al centro una questione capitale, nel mondo della scuola: quella della formazione dei docenti. Prendiamo l’insegnamento della lingua e cultura latina: questa creerebbe un vulnus nei curricula degli insegnanti delle medie, che attualmente non sono tenuti a sostenere più di due esami all’Università su tale disciplina. Bisognerà, insomma, che acquisiscano i crediti formativi necessari per poterla insegnare, e quindi che tornino a studiare.
Sull’insegnamento del testo biblico, il discorso è sicuramente più complesso, ma allo stesso tempo anche più importante: molti percorsi universitari del ramo umanistico, infatti, non prevedono corsi dedicati alla Bibbia. Perché? Su questo, andrebbe fatta una profonda riflessione, visto che al di là delle singole posizioni, una notevole componente di critici di valore, nella storia (qualora ce ne fosse bisogno), ha evidenziato il peso specifico che essa ha sul nostro patrimonio culturale, e non solo.
Facciamo un solo esempio: sovente capita di incontrare studenti che non conoscono uno dei testi capitali, su questo versante e quelli del rapporto tra testo sacro e letteratura: Il grande codice, del critico canadese Northrop Frye (riedito tra l’altro, da Vita&Pensiero, nel 2018).
Va da sé che questo, però, non è l’unico dato: la Bibbia è sempre stata un profondo serbatoio, non solo per la cultura alta, ma come ha messo in evidenza Gianfranco Ravasi, anche per quella “nazional-popolare”. Cantautori come Fabrizio De Andrè, ma anche Nick Cave e Bob Dylan hanno attinto a piene mani dal patrimonio di immagini, personaggi e temi del testo sacro.
In conclusione, se la scuola forma alla cittadinanza attiva e allo sviluppo della democrazia, oltre che alla comprensione delle dinamiche e delle radici culturali, pare assai utile un approfondimento di quei testi che impregnano non solo (e non tanto) la nostra identità di italiani, ma quanto la nostra quotidianità, fatta di azioni, gesti, sentimenti, che trovano ampia rappresentazione nel testo biblico, e che possono creare le condizioni per farci restare pienamente umani, nella convinzione che come ricordava Carlo Maria Martini, la Bibbia è “nutrimento del cuore”.
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