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Né maschio né femmina

Quando le rivoluzioni sessuali sono così profonde da non doversi perdere in formalismi

Che c’è da stupirsi, in fondo, se Blandina, issata sul patibolo, ricordò ai cristiani che assistevano al suo splendido martirio le stesse fattezze del Redentore crocifisso? «[…] Nella lotta essi vedevano anche materialmente, per mezzo di quella sorella, colui che fu crocifisso per loro, per persuadere chi crede in lui che chiunque soffre per la gloria di Cristo è unito in eterno al Dio vivente» (Eusebio, Hist. Ecc., V 1,41). Nella lettera di Ireneo (II secolo) che c’informa di questi fatti, e che Eusebio (IV secolo) riporta, non si tace neppure una nota – per quanto sobria – sullo stato del corpo di Blandina, dopo le prime torture e prima di essere appesa al patibolo: i carnefici «si meravigliarono che restasse ancora in vita, pur avendo tutto il corpo straziato e aperto» (V 1,18).

La cosa interessante è che Ireneo non risparmia il biasimo per i pagani, che non avevano avuto riguardo del sesso di Blandina, ma non segnala il minimo stupore per il fatto che la presenza di Cristo s’era manifestata nel corpo nudo e martoriato di una giovane donna. Non per questo, tuttavia, il sesso di lei viene obliterato dal Vescovo di Lione, quasi come se la gloria di Cristo l’avesse annientato: anzi, sul finire della lettera si legge del trapasso di lei, che «come una nobile madre aveva incoraggiato i figlî [ovvero i compagni di martirio, che prima erano stati definiti suoi fratelli n.d.r.] e li aveva mandati avanti vittoriosi al cospetto del Re […] e si affrettava quindi a raggiungerli» (V 1,55).

Qual è la formula per cui il cristianesimo ha superato la barriera divisoria tra i sessi, pur senza abbatterla? Se i tanti ciarlatani che vaneggiano di misoginia cristiana andassero a sfogliare i medievalissimi Fioretti di San Francesco, troverebbero al capitolo trentatreesimo il racconto di quando Papa Gregorio IX, in visita “dalle sorelle”, così rispose a Chiara, che in ginocchio lo pregava di benedire il pane sulla tavola prima del pranzo: «“Suor Chiara fedelissima, io voglio che tu benedica cotesto pane e faccia sopra a essi il segno della santissima croce di Cristo, al quale tu ti se’ tutta data” – “Santissimo Padre” – ribatté Chiara – “perdonatemi, ch’io sarei degna di troppo grande riprensione, se innanzi al vicario di Cristo io, che sono una vile femminella, presumessi di fare cotale benedizione” – “Acciò che questo non sia imputato a presunzione, ma a merito d’ubbidienza, io ti comando per santa obbidienza che sopra questo pane tu faccia il segno della santissima croce e benedicalo nel nome di Dio”. Allora santa Chiara, siccome vera figliuola della obbidienza, que’ pani divotissimamente benedisse col segno della santissima croce di Cristo. Mirabile cosa! Subitamente in tutti quelli pani apparve il segno della croce intagliato bellissimo».

Insomma, se perfino nell’oscurissimo medioevo – quando taluni vorrebbero che si fosse negata addirittura l’anima delle donne! – un Papa si privava di una sua prerogativa a vantaggio di una “vile femminella”, doveva essere accaduto qualcosa di molto profondo. Eppure, se qualcosa era accaduto, perché Chiara continuava a definirsi “vile femminella”?

La realtà è che quello che era accaduto era così profondo che – paradossalmente – tollerava benissimo di non essere immediatamente e continuatamente percepito in superficie: Paolo l’aveva capito da subito, che «non c’è più né schiavo né libero, non c’è più né maschio né femmina, perché tutti voi siete uno solo in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Né le leggi sugli schiavi, tuttavia, furono abolite (se non dopo molti e molti secoli) né alle donne furono riconosciuti diritti pari a quelli degli uomini: si dovranno attendere il IV e il V secolo perché vengano promulgate (e si diffondano) leggi che impediscano di punire gli schiavi sfregiando loro il volto, «perché porta ritratta l’immagine di Dio» (spiegatelo a Odifreddi); nel Codice di Giustiniano è poi riportata anche una legge (della prima metà del V secolo) che sanciva per alcune donne la possibilità di rivendicare a sé la patria potestà, ma non pare che questa sia stata una legge fortunata.

Leggi o non leggi, la rivoluzione cristiana non era solo innescata, ma già completamente esplosa, come il caso di Blandina e mille altri mostrano chiaramente. Si pensi solo che pochi anni prima della fine del IV secolo il giovane vescovo di Ippona, Agostino, rimprovera severamente una signora (tale Ecdicia) per aver vessato il marito oltre misura, abusando del carisma del comando che a lei era stato conferito, più che al marito (Lettera 262).

Come si vede, c’è una scollatura tra la novità della Rivelazione e lo stato incerto e contraddittorio degli ordinamenti giuridici e delle convenzioni sociali: giacché, come ha scritto Erri De Luca, le scalate più ardue si fanno solo mentre si è intenti a pensare ad altro, le grandiose rivoluzioni storiche e sociali che il cristianesimo ha operato sono state attuate solo perché quasi “effetti collaterali” del suo messaggio e della sua missione.

La compresenza dell’incertezza giuridica e del fermo intuito teologico degli Autori i cui testi sono molto presto confluiti nella Scrittura lumeggia un tantino perché Chiara possa ancora dirsi “una vile femminella”, quando un Papa insisterà per la sua benedizione e un altro per poter celebrare personalmente il suo funerale (facendo cantare per di più non la messa da morto ma quella delle vergini!).

Certo, l’indagine sul confronto tra i sessi è destinata a restare incompleta e sommaria fino alla fine dei tempi, perché è dalla notte dei tempi che si contano i suoi atti: avanzando questa tesi non si può in alcun modo intendere che il cristianesimo abbia abolito o estinto fenomeni come maschilismo e misoginia (non l’ha fatto da principio e non è riuscito a farlo neanche in tutta la storia finora scorsa). Come per altri fenomeni antropici, però, il cristianesimo ha saputo indicare le radici di questi mali (che sono, come tutti i mali, disordini dell’ordine degli amori), e così ha fatto anche qui, professando che il disordine presente nell’attrazione tra i sessi, sebbene non in essa in quanto tale (Gen 3,16), – ivi compresi tutti i soprusi e ogni violenza – è un dato storico prossimo all’origine delle cose ma da esso distinto. La folgorante visione teologica di Paolo bandisce la distruzione reale, immediata e completa della linfa del peccato (che è l’inimiciziaEf 2,14): quanto di ogni peccato sopravvive lo fa come un cadavere permane nella forma del corpo animato, anche se ormai esanime. Se poi si volesse acriticamente estendere l’immagine alla storia dell’umanità (intesa come storia di progressivo perfezionamento dello stato umano, particolare e sociale), si starebbe dimenticando che il cristianesimo non contempla nel darsi scorrevole del tempo la forza fatale del progresso (e sarebbe ora che anche i non cristiani smettessero di credere a certe favole!), ma il dinamismo bipolare della Grazia e della libertà: ogni regresso è sempre possibile, per gli uomini e per i popoli.

Ecco come mai Agostino ritenne che fosse un complimento degno di sua madre, riconoscerle “una fede virile” (sic!). Ma sentiamo che cosa accadde quando, ancora qualche mese prima del battesimo di Agostino, nel 386, la madre si affacciò a vedere come proseguisse una discussione filosofica che il figlio stava tenendo con degli amici: «Frattanto entrò mia madre e ci chiese sui risultati conseguiti. Le era infatti noto l’argomento. Io ordinai che al solito fossero annotati il suo ingresso e la sua domanda. “Ma che fate? – disse – Ho forse mai sentito dire che nei libri da voi letti anche le donne sono invitate a simili discussioni?”. “Non tengo in considerazione – risposi – i pareri degli orgogliosi e degli ignoranti che si gettano a legger libri con lo stesso spirito con cui adulano le persone. Non considerano infatti le doti, ma le vesti che coloro indossano e lo sfarzo delle ricchezze e possedimenti che sfoggiano. […] Ma individui pedanti o veramente colti, non facendo caso alla modesta apparenza della porta, potrebbero entrare e non proveranno sdegno che io parlo con te di filosofia […]. E, credimi, non mancheranno lettori i quali apprezzeranno di più il fatto che tu parli di filosofia con me che se trovassero in questi scritti un contenuto dilettevole ed eloquente. Inoltre anche le donne, secondo la tradizione classica, hanno atteso alla filosofia. Infine la tua filosofia assai mi piace”» (L’ordine, I 11.31).

È vero, s’erano già viste donne filosofe – con buona pace dell’ormai celebre Ipazia, che all’epoca aveva poco più di dodici anni – ma se Diogene Laerzio non aveva problemi a ricordare Arignote e Timeo tra le prime pitagoriche, e neanche Platone aveva avuto di questi problemi, non furono certo loro a teorizzare l’uguale dignità di uomini e donne. Platone c’era andato vicino, per certi versi, anche se con esiti rovinosi (paragonabili solo ai nostri delirî sessantottini e post-sessantottini), ma in un passaggio (Rep. V 457B) in cui auspica che alle donne vengano aperte le palestre, come agli uomini, non sa nascondersi che almeno da principio tutti riderebbero a vederle (nude, ovviamente, come tutti) fare ginnastica.

Stentiamo a immaginarci questa scena, noi, dall’oppiacea platea di un mondo pansessualistico, ma questa considerazione della donna influirà sulle dottrine gnostiche (che qui tralasciamo) non meno del racconto del peccato di Adamo ed Eva. Di questi segni si nutriva anche il sogno che Perpetua fece la notte prima del suo martirio, e che ebbe cura di trascrivere nell’ultima pagina del proprio diario: «[Nell’arena] si fece avanti, per affrontarmi in duello, un egiziano di aspetto ripugnante coi suoi accoliti. Anche a me si avvicinarono dei giovinetti di bell’aspetto, per assistermi e incitarmi. Fui spogliata, e divenni maschio. I miei assistenti presero a massaggiarmi con l’olio […]. L’incontro ebbe inizio, cominciammo a tirarci dei pugni. Quello cercò di afferrarmi i piedi, ma io lo colpii al volto con dei calci. Allora mi sollevò in aria, ma così lo potei colpire ancor meglio […]. Quello crollò col volto a terra e io gli calcai la testa sotto il tallone. […] Mi avvicinai all’allenatore e presi il ramo [ovvero il premio, n.d.r.]. Lui mi baciò e disse: “La pace sia con te, figlia mia”» (Passione di Perpetua, 10).

Blandina e Perpetua vinsero perdendo, come pure Chiara, quasi un millennio più tardi: molto più meraviglioso dell’imperitura memoria di cui godono nella (piccola) storia degli uomini, molto più enigmatico è il prodigio per cui, abbracciando la croce, donne così vengono essenzialmente assimilate al Cristo – l’uomo che ha sconfitto per tutti l’egiziano dall’aspetto ripugnante.

 

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
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