Ultime notizie

L’acrobazia della risata

Diario della rigida corda da cui scoccano i dardi dell’ironia

«La comicità nasce da un modo di guardare le cose, dalla visione fortunata e miracolosa anche dell’ombra delle cose stesse e del loro contrario; perciò considero la comicità una forma molto alta di espressione soprattutto quando scaturisce dal rovesciamento di esperienze che ti conoscono profondamente, ciò vale per la malinconia, per la tristezza, per l’infelicità la cui risata è il salto mortale dell’acrobazia!» Così Anna Marchesini nella homepage del suo Sito personale (vedi link), a proposito del testo che marca il proprio esordio letterario – Il terrazzino dei gerani timidi (Rizzoli, Milano 2011).

Copertina del libro

L’immagine della risata come salto mortale è di felicissima audacia e chiara plasticità: mancherebbe il bersaglio chi si fiondasse sul libro alla ricerca di un melenso “diario di malattia”, come pure chi cercasse l’ennesima performance di questa nostra grande comica (che sta peraltro portando la sua malattia con indiscutibile dignità): «Sono felice di aver scritto pagine molto diverse da quelle che ho recitato – è lei che parla – e di averlo fatto con spudoratezza e, spero, poesia».

La promessa è sobria e insieme ardita, e tuttavia mantenuta: è un libro di esordio, ma la penna è sicura di una robustissima maturità intellettuale e linguistica. I passaggi in cui la Marchesini si concede piccole licenze di punteggiatura non hanno mai l’affettata spocchia intellettualistica di tanti presunti “avanguardisti”, ma semplicemente la leggerezza dell’oralità. Una leggerezza semplice, appunto, ma del resto studiatissima – e in questa costante tensione del metodo c’è una non casuale analogia con quanto si diceva sopra a proposito del riso: quello nasce come reazione estrema – acrobatica! – alle grigie miserie che parrebbero contraddire le ragioni della gioia, e questa (la leggerezza) come prodotto sublime della più profonda esperienza di sé e delle cose.

«[…] Una cappa opprimente di tristezza si era distesa sopra la mia vita – racconta la “piccola” Anna – ; una tristezza che mi avrebbe protetto con endemico andamento da qualunque assedio della felicità» (p. 76). La voce dell’adulta e i pensieri della bambina s’intrecciano spesso inestricabilmente, così che sui singoli eventi di allora e sui ricordi che genuinamente li riportano si spalma tutta l’enorme mole delle esperienze vissute dalla brillante studentessa, dalla promettente attrice, dall’irresistibile comica, dell’umile “maestra” d’Accademia. Né si può a ragione inquadrare questo prodotto letterario come espressione peculiare di una determinata “parte” del personaggio-Marchesini: non è semplicemente la donna, quantunque la femminilità giochi un ruolo enorme; non è semplicemente da persona provata, sebbene non si possano sfogliare dieci pagine senza che evocazioni di sofferenze straripino dalla pagina. No: il personaggio della piccola Anna (che è ben più di una maschera letteraria) può compendiare in modo seminale tutto questo – e ben altro – in sé, perché in una bambina c’è spazio per tutto quello che poi verrà nell’adulto, e perfino per tutto quello che non verrà, o che nessuno saprà mai.

Un cenno particolare va fatto in merito all’alfabeto religioso, di cui il libro è totalmente farcito: in modo volontario o involontario (e salvo alcune sbavature, come il titolo di “Sua Santità” per il Vescovo diocesano, p. 29) praticamente ogni paragrafo riecheggia una profonda e pervasiva educazione cattolica. L’osservazione, però, non può e non deve essere piegata a fini apologetico-propagandistici: l’armamentario lessicale e concettuale cattolico non impedisce affatto all’Autrice l’ironia e perfino l’irriverenza nei confronti di tutto quanto rappresenta il cristianesimo medio italiano («[…] del resto per fare il prete bisogna essere un po’ matti, non ti pare? Bisogna essere, figurati, un signor nessuno che però fa Cristo o almeno, diciamo, lo interpreta». p. 199). Per lo stesso motivo, la lettura risulterebbe ugualmente disturbata se ogni punzecchiatura fosse letta come inconfondibile segno di un chiaro antagonismo tra la penna che scrive e l’universo cattolico.

No, a dire il vero la cifra del testo sembra essere l’ambivalenza costante delle figure presentate, quindi del loro relazionarsi alla piccola Anna, infine del più o meno intenso e dettagliato identificarsi della piccola Anna con esse: che splendido e umano ritratto si fa dei retroscena del personaggio di suor Giuseppina – dal grottesco al patetico al teneramente comico senza mai una punta di retorica superflua. E che dire di quel meraviglioso personaggio che è la madre, presentata in un generale crescendo di moti d’affetto interrotto di tanto in tanto da significative digressioni? Tre quinti della sua intelligenza risultano essere “sfortunatamente” dedicati alla “laica missione” di un’educazione sentimentale-sessuale improntata al timore che il giovanotto di turno voglia sempre e solo distruggere la vita e l’onore della ragazza (p. 49), «come se non fosse una questione d’amore l’amore» (p. 53). Il bello è che le implicazioni esistenziali trascendono questa semplice etichetta, peraltro comune e ispirata al più sincero affetto materno, e la piccola Anna mostra d’avvedersene: «Non è possibile mamma che questa sia la verità; così è brutto, così non mi piace, è un tormento; tutto regolato, ogni cosa già stampata; di che parli! Così non c’è nessuno a cui possa credere, non potrò farlo, non dovrò farlo, saprò sempre che l’altro mi sta solo illudendo, che rischiando potrei sbagliarmi, allora come potrò avere fiducia in me stessa, non potrò lasciarmi andare alla vita che non ha nulla da rivelarmi se non farmi conoscere il copione già scritto» (pp. 51-52). E tuttavia, niente giudizî da adolescenti (che sarebbero due volte anacronistici!): «La mamma le raccontava ciò che sapeva, la portava a vedere le cose come sapeva» (p. 55).

È un pezzo di lei, della piccola Anna, questa madre che insegna alla figlia a diffidare dei ragazzi ma pure a interessarsi di ogni sofferente anche solo lontanamente conosciuto: il lunghissimo sesto capitolo porta in scena una magistrale fusione di commedia e tragedia, tra i ricordi di due reparti d’ospedali, uno maschile (umanizzato dall’operosa presenza delle donne che accudiscono gli uomini malati) e uno femminile (semideserto, desolato). In quest’ultimo quadro la piccola Anna impara a riconoscere il marito di una donna gravemente malata proprio dalla miseranda inettitudine di lui nello stare decentemente al capezzale della moglie: aveva ragione la mamma? Non si parla di questo, e del resto a che servirebbe parlarne? Ma dalle righe riecheggiano alcuni dei rantoli più rauchi della compianta Mia Martini. Parlare di “questione di genere”, però, banalizzerebbe forse l’impegno di una penna che cerca di sorridere della perenne fragilità degli uomini e che davanti alle loro miserie quotidiane non ricusa di far versare lacrime amare.

«Il dolore ha larghe sponde» (p. 98), sì, ma il libro della Marchesini non è un lugubre excursus nel disincanto, anzi si propone come autenticamente gioioso e umano («Ecco – mi dissi – questo preciso attimo, è gioia». p. 232): tra il “non-compleanno” e la fatidica “Prima Comunione”, il filo conduttore non è quello che lega gli eventi gli uni agli altri – ossia la memoria – ma la struttura umana che agli eventi, alla memoria, alla storia, è implicitamente sottesa. E la celebrazione di questa – appunto – è la crescita, è la vita.

Torniamo anche noi, con la piccola Anna, ai ricordi del primo giorno di scuola: accompagnata dalla nonna e lasciata nei corridoî della scuola, la piccola non riuscì a trovare l’aula e la classe, così che per più di una volta si è ritrovata nella sgradevole parte dell’intrusa: quella solitudine le sembrava «il paradigma di tutte le solitudini» (p. 63). A un tratto si aprì una porta: «Vidi una dolcissima signora anziana con una semplice acconciatura di capelli grigi, un viso delicato dai tratti minuti e sorridente; si fermò a guardarmi in silenzio, poi, senza cerimonie e senza domande, poche parole felici, librandosi come farfalle al sole, attraversarono comode lo spazio vuoto che ci divideva. “Vieni” disse con una voce che mi giunse flautata come quella delle fate, “puoi stare qui con me” […]. […] Piangevo perché avevo perduto il mio posto senza mai averlo trovato, perché mi sentivo precaria appoggiata a quel banco per compassione senza diritto, perché niente di quello che mi circondava mi prevedeva; mi vergognavo del mio ingresso, dell’umiliazione che mi era costato, perché tutti si sentivano superiori a me solo perché erano seduti nella classe giusta» (pp. 64-65). E poi la svolta, al sentirsi riconosciuta da un’amichetta già conosciuta: «senza capirlo intuii il valore morale e affettivo che avesse per me abitare quella classe ora, non per diritto ma per affetto» (ibid.).

La perdita della fiducia e il fortunoso (provvidenziale?) ritrovarla sono i poli del libro, della penna dell’Autrice, della vita tutta: «E ora mi era accanto, la maestra, mia mia adesso, mia che non la volli lasciare più la maestra che mi ero conquistata e che mi ero meritata, lei mi aveva scelto senza riconoscermi, mi aveva accarezzata e dato il benvenuto senza controllare se figuravo nel registro. E nel registro mi aggiunse lei, la fata infinita saggia benefica come l’acqua, ormai che ero entrata per sempre nella sua classe. […] lei lo aveva fatto e mi aveva insegnato senza ancora essere la mia maestra, la trepida gioia di essere salvati» (p. 66).

About Giovanni Marcotullio (156 Articles)
Nato a Pescara il 28 settembre 1984, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Ginnasio "G. D'Annunzio" in Pescara. Ha studiato Filosofia e Teologia a Milano, Chieti e Roma, conseguendo il titolo di Baccelliere in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana. Prosegue i suoi studi specializzandosi in Teologia e Scienze Patristiche presso l'Institutum Patristicum "Augustinianum" in Roma. Ha svolto attività di articolista e di saggista su testate locali e nazionali (come "Il Centro" e "Avvenire"), nonché sulle pagine della rivista internazionale di filosofia personalista "Prospettiva Persona", per la quale collabora anche in Redazione.
Contact: Website