Divorziati, tra sensi di colpa e “bizzoche”
Il percorso Samaria ha dato la possibilità a LaPorzione.it di raccontare, le scorse settimane, dell’esperienza ecclesiale di separati, divorziati e riaccompagnati, di accoglienza e pregiudizi, di “risurrezioni” e sofferenze, insieme al bisogno di non sentirsi ai margini della comunità, perché Dio Padre ama sempre e comunque le sue creature.
Abbiamo conosciuto l’atteggiamento della Chiesa divisa tra la celebrazione di un sacramento che non è solo consenso umano e l’attenzione, sempre crescente, all’esigenza di ogni uomo, comunque peccatore, di potersi sentire parte attiva di una comunità orante.
Ogni separazione è, comunque, un momento difficile, carico di sofferenze, di incertezze. E ogni storia d’amore che riinizia, un groviglio di paure e sensi di colpa.
«Subito dopo la separazione da mia moglie – racconta Lamberto – c’è stato l’incontro con Maria Rita. La conoscevo già e mi è stata particolarmente vicina in quella fase critica della mia esistenza. Un distacco, un cambiamento di vita dopo undici anni di matrimonio non è mai cosa semplice. Così come non è facile ricominciare una nuova storia d’amore. Per fortuna, però, non sono scappato e non ho ceduto alla paura di tornare ad amare».
Paradossalmente anche una convivenza o un riaccompagnamento “non consentito”, però, può aiutare a far crescere il germe della fede ricevuto nel Battesimo. «Ho scoperto il valore del sacramento – continua Lamberto – e ho compreso il senso dell’indissolubilità proprio con Maria Rita. Prima non mi era chiaro. Con lei invece ho iniziato una importante esperienza di fede».
Quanti preconcetti, quanti dubbi, quanta preoccupazione. Una donna “casa e chiesa”, innamorata di un divorziato? «Io non sono mai stata sposata – aggiunge con voce evidentemente felice e commossa Maria Rita – e vengo da una lunga esperienza ecclesiale. Animavo suonando la celebrazione eucaristica, facevo il catechismo, sono sempre stata impegnata in parrocchia. Nel momento in cui ho conosciuto Lamberto ho avuto una grande rottura con la Chiesa perché non mi sono più sentita parte di essa. Vedevo il mio futuro senza parrocchia, sapevo che l’unione con un divorziato mi avrebbe escluso da tutto, che non avrei potuto più far nulla. Rinunciare a Lamberto o continuare a stare nella “pienezza” della vita cristiana? Non potevo abbandonare il grande amore della mia vita. Pian piano, attraverso il percorso proposto dal nostro parroco, il Samaria, ho riapprezzato la gioia di poter condividere un cammino all’interno della Chiesa e di poterlo fare insieme a Lamberto».
Non tutti come Lamberto e Maria Rita, però, cercano accoglienza, non tutti la trovano nei momenti – anche casuali. Non si tratta di potersi accostare ai sacramenti, ma di poter vivere la propria fede, di poter ascoltare e annunciare la buona novella, di poter celebrare il mistero di Cristo che condivide l’umanità, soffre, muore e risorge. E quanti, tra parroci, religiosi e laici “impegnati” – circulini direbbe qualcuno, bizzoche altri – rischiano di fare delle chiese un raduno di finte perfezioni, di simulacri imbiancati.
«Non tutte le comunità sono uguali – sottolinea Lamberto che di esperienze negative ne ha fatte anche in tal senso – non tutti i parroci sono uguali e quante volte ci si sente giudicati! C’è troppa confusione, eppure vorremmo solo saper di essere la stessa persona in tutti i luoghi. Portiamo al Signore anche la sofferenza della nostra storia e sentirsi rifiutati a volte fa veramente male».
«Ma cosa vogliono questi divorziati? Sono pubblici peccatori, hanno rinnegato un matrimonio», ci verrebbe da affermare orgogliosi delle nostre vite apparentemente “perfette”, come se quel Cristo così poco avvezzo a puntare il dito si fosse incarnato solo ed unicamente per gli insigniti di santità. «Vorrei semplicemente che la Chiesa valutasse ogni singola situazione – è il desiderio di Maria Rita – che riammettesse anche noi come lo fa con tanti altri peccatori, che, studiando un sistema, ci riabilitasse. Un po’ di tempo fa avrei aggiunto che avrei voluto aver la possibilità di accostarmi all’Eucaristia. Ho superato questa sofferenza, ma so che il Signore conosce il mio cuore e le mie difficoltà e sento forte questa comunione spirituale».
Sono divorziata e felicemente convivente con un separato finalmente viviamo una vera storia d’amore, entrambi ex cattolici romani., accolti dalla comunità cattolica romana ma dove non possiamo accedere ad una vita spirituale sacramentale piena, cioè niente Eucarestia, niente Confessione, etc.,pertanto presto ci sposeremo in chiesa nuovamente…negli ortodossi cattolici cristiani… il desiderio di vivere una vita spirituale in Cristo e una vita sacramentale piena ci ha fatto superare il dolore di lasciare la chiesa romana…dopo tante sofferenze vogliamo la nostra felicità…la falsa carità non ci interessa! Cristo ci vuole…
Ave maria!
Ma che grande confusione, non si capisce più cos’è il bene o il male, però se una
persona è cattolica e vuole sapere la Verità la trova ed è semplice.
Vi racconto una storia vera, la protagonista la chiamerò “Maria” non è il suo nomema siccome è ancora viva e non gli ho chiesto il permesso di raccontare la sua storia.
Maria era sposata felicemente con suo marito, era appena nato il settimo figlio quando il marito se ne va di casa con un’altra donna più giovane. Lei rimane con la casa e i 7 figli, il più grande faceva le medie, deve trovarsi un lavoro per mantenere la famiglia perchè il marito non le passa niente…
Ma diamo forza a chi può ancora evitare di trovarvisi, con l’aiuto della Madre Chiesa e di chi la rappresenta
E così anche per chi, non avendo potuto evitare la rottura con il coniuge, accettasse di vivere la castità? Vorremmo mettere da parte la ricerca dei beni eterni da anteporre alla felicità terrena? Io, al momento non mi trovo in nessuna situazione: sono nubile e non ho mai avuto relazioni. Se mi mancasse un chiaro orientamento sulla gravità del peccato, potrei essere anch’io indotta ad effettuare scelte di vita non coerenti con il cammino fatto finora. Mostriamo l’accoglienza e la Misericordia di Dio, ma non modifichiamo la Sua Parola: “Chi sposa una persona ripudiata commette adulterio”. Confortiamo chi si trova in certe…
Rischiamo che la nostra società metterebbe sotto psicoterapia, trattando come malato mentale, chi riuscisse ad effettuare una scelta d’amore verso Dio, anche rinunciando ad un affetto terreno e ad una libera scelta? Se qualcuno/a, pur innamorandosi di una persona divorziata, rinunciasse a quella felicità pur di avere l’Eucaristia, e, soprattutto, l’assoluzione dalle mancanze che si commettono quotidianamente, verrebbe curata da uno psicologo e fatta cambiare? O sarebbe lo stesso Padre spirituale ad esortarla/a a seguire i propri seguire i propri sentimenti, tanto la Grazia si può acquistare per vie traverse?
Veniamo incontro a tutti perchè nessuno si senta escluso dall’amore di Dio ma non abbattiamo i confini tra bene e male. Forse chi, avendo un cammino alle spalle come Maria Rita (e non mi permetto di giudicarla), a differenza di lei trovasse dalla preghiera e dalla fede, soprattutto dalla Grazia di Dio, la forza di rinunciare ad un amore e di non iniziare neppure una storia non acquisirebbe forse meriti davanti a Dio, che restituirebbe cento volte tanto? O vogliamo illudere chiunque si trovi in certe situazioni che non valga la pena di sacrificarsi, tanto si può avere botte piena e moglie ubriaca?
Grazie a lei dello sfogo, Mariangela: il suo commento mi pare il più pertinente di tutti, nonché il più costruttivo. Con parole doloranti lei confessa che la separazione e il divorzio non sono quella favola che ci raccontano: l’importante, per la nostra società ipocrita, è che le cose si facciano “per bene”, ossia che la rottura sia “consensuale”. E “gli anni persi”? E “la fiducia tradita”? E una vita sbocconcellata e lasciata lì, a metà? In che misura, davanti al terremoto che scuote una persona dalle fondamenta, il primo pensiero va alla possibilità di fare la comunione o no? Povero me se stessi intendendo che questo è un pensiero superfluo, ma piuttosto: l’esperienza di Mariangela non testimonia che davanti alla perdita della fiducia promessa “per sempre” in un matrimonio anche l’affidabilità di Gesù traballa ai nostri occhi? E non a torto, se l’indissolubilità di due sposi poggia sulla fedeltà di Gesù alla sua Chiesa! Se a due persone viene assicurato che sposandosi in Cristo loro partecipano del sacramento che unisce per sempre Cristo alla Chiesa “in una sola carne”, come si fa a dare così per scontato che – venendo meno la fiducia coniugale – resti in piedi quella mistica (che chiamiamo brevemente “fede”)?
Ecco, forse in questo carosello perbenistico, in cui “dobbiamo” sempre dire che tutto va bene e che c’è posto per tutti e che una soluzione si trova comunque, va ribadito che – fermo restando il dovere dell’accoglienza senza giudizio verso chi arriva alla porta della chiesa con le ossa rotte – il divorzio è un adulterio legittimato, un grave disordine sociale, morale e spirituale.
Il Gesù caramelloso di frasi come “Dio ci ama come siamo” non regge a questa prova, e Mariangela lo denuncia. Le pagine in cui si diffidano gli uomini dal costruire la propria casa sulla sabbia – perché all’infuriare delle intemperie questa cadrà, e la sua rovina sarà grande (cf. Mt 7,21-28) – sono pagine di puro “Vangelo” (di buona notizia) perché dicono la verità della vita. Accogliendole si vive. Trascurandole si muore.
Anch’io ho avuto una separazione dopo un matrimonio durato 22 anni poichè gli ultimi tre fanno parte della separazione. A parte l’imbarazzo che provo ancora adesso visto che per il momento è una separzione in casa quindi vi lascio immaginare con quanta sofferenza io la viva: So perfettamente che lui ha un’altra persona e il mio risentimento è tutto per gli anni persi non pensavo che veramente quest’uomo mi odiasse così tanto ecc.ecc. Leggo i Vs commenti e mi auguro che siate tutti onesti nel dire quelle cose sembra quasi che laVs sofferenza visto il modo di come parlate di Gesù sia addirittura superiore alla media.Io ad esempio sono arrabbiata non lo chiamo come lo chiamate Voi, ma Signore,e pur essendo tornata in Chiesa,pur avendo fatto la confessione, pur avendo partecipato all’Eucarestia,non sono affatto entusiasta, mi sento svuotata, maltrattata, e presa a tradimento proprio da quello stesso Gesù da cui cercate conforto. Ho letto anch’io il Vangelo, ma abolirei la religione, forse nessuno me l’ha saputa spiegare beati Voi che ci credete. Penso sia la solitudine di cui mi hanno circondato .>Scusate lo sfogo
Quando si toccano questi tasti gli animi s’infiammano. In quest’unica matassa sono ingarbugliati fili di differenti gomitoli; facciamo attenzione. Da un lato abbiamo infatti il dramma, umanissimo, di chi s’è trovato a fare “un passo falso” (forse avventato) nella vita, o peggio è stato scaricato. A queste persone la Chiesa deve spalancare tutta la sua sollecitudine (e questo non significa in alcun modo allentare indiscriminatamente le maglie della sua disciplina); dall’altro abbiamo l’esigenza irrinunciabile di capire come un matrimonio possa costituire un “sacramento” (e che cosa un sacramento sia). Può darsi, ad esempio, che l’unico modo in cui ci sia stata trasmessa notizia della sacramentalità del matrimonio sia un vago cenno paolino all’indissolubile rapporto tra Cristo e la Chiesa (Ef 5,23-33), di cui l’Eucaristia è il concretarsi sensibile e misterico. Ecco perché, semplicemente, la Chiesa non ha il potere di ammettere alla comunione sacramentale chi si è volontariamente distaccato dal vincolo per cui vi era unito, pena il non capire più la portata sacramentale del matrimonio (chi vi aveva fatto cenno in questa pagina?).
Non si tratta di “indissolubilità” come semplice valore morale: quella c’è perché il matrimonio di due cristiani instaura tra i due una comunione “di vita e d’amore” che – perché non sia capita in modo semplicemente, di nuovo, “morale” – direi quasi “d’identità”.
Ecco perché certe semplificazioni – «Gesù ha insegnato l’amore», «Gesù ha amato indistintamente» – sono indebite e pericolose per il chiarimento dei nostri equivoci: Gesù, anzi, ha imposto con la sua legge di grazia un rigore enormemente superiore a quello della legge mosaica (Mt 5,27-28), ed è di una chiarezza irreplicabile quanto al fondamento e alla portata dell’indissolubilità matrimoniale (Mt 19,3-9). Gesù ha proposto a tutti il suo amore, ma a ciascuno ha comandato: «D’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11).
Una volta dissipati gli equivoci (faziosi) sulle parole di Gesù, torniamo a noi, alla Chiesa (sposa inseparabile di Cristo). Noi non abbiamo alcun modo di ergerci giudici gli uni sugli altri, e per questo – pur dovendo necessariamente e giustamente distinguere il vero dal falso in questioni di fede e di morale – non possiamo mai arrogarci il potere di rigettare chi, nonostante una situazione di oggettiva debolezza e disordine, chiede di non essere completamente separato dalla nostra comunione, che «è con il Padre e con suo Figlio» (1Gv 1,3). Paolo raccomanda (Rm 15,1) di sostenere senza fare storie, e viceversa senza insuperbirsi, quelli che la vita, le situazioni e naturalmente la loro libera volontà hanno posto in situazioni di disordine (anche grave). Del resto nessuno può vantare di aver meritato la grazia e il perdono che da Dio ha ricevuto quando era (ancora) un miserabile (Rm 5,6).
I nostri errori riguardo a questa materia derivano dall’aver sottoscritto oppure semplicemente negato il contenuto di questi versi di De Andre’: «Ancora una volta / abbracciamo la fede / che insegna ad avere / ad avere diritto al perdono / sul male commesso / nel nome di un Dio / che il male non volle». Uno solo è invece l’errore di questi versi – ed è il punto d’Archimede su cui fanno leva le spinte ideologiche che cerchiamo di fronteggiare – : nessuno ha “diritto” al perdono, perché il perdono è pura grazia, e la grazia non si può meritare, non si può esigere; quello che è vero è che la fede insegna ad avere “dovere” al perdono, perché il dono gratuito che ciascuno di noi ha ricevuto nessuno può negarlo a chicchessia dei suoi fratelli.
Al primo commentatore che cerca risposte, mi sento di rispondere non con una mia opinione, ma con la Parola di Dio là dove ci dice che una donna peccatrice non si è SALVATA perchè ha “puntato” alla santità ma perchè ha “puntato” ad amare:
“Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. A quella vista il fariseo che l’aveva invitato pensò tra sé. “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice”. Gesù allora gli disse: “Simone, ho una cosa da dirti”. Ed egli: “Maestro, dì pure”. “Un creditore aveva due debitori: l’uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?”. Simone rispose: “Suppongo quello a cui ha condonato di più”. Gli disse Gesù: “Hai giudicato bene”. E volgendosi verso la donna, disse a Simone: “Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco”. Poi disse a lei: “Ti sono perdonati i tuoi peccati”. Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: “Chi è quest’uomo che perdona anche i peccati?”. Ma egli disse alla donna: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!”” (Lc 7,36-50)
Innanzitutto complimenti per l’articolo,; poi volevo aggiungere che , a mio avviso, Dio guarda il cuore e non l’apparenza, parlare di famiglie “normali” non ha senso. Come sempre Dio scrive “dritto sulle righe storte” e anche da una coppia che non si trova nella condizione definita come “normale” è possibile rinvenire una grande testimonianza del Suo Amore per noi.
Una domanda a Rocco….a parte che non ho capito bene il senso della tua domanda, ma cosa intendi quando parli di famiglie “normali”??
perchè il divorzio o la separazione viene definito sempre un fallimento, una partita persa, un qualcosa di cui vergognarsi, non potrebbe essere un occasione di rinascita x ripristinare i propri valori, per riscoprirsi persona. Allontanare dalla eucarestia una persona che già ha avuto il suo calvario non mi sembra una cosa positiva. Un castigo della chiesa, perchè? Quali sono questi grandi peccati che gli si attribuisce? Non è più peccato uccidere, rubare, spacciare droga, prostituirsi,ecc? L’elengo potrebbe essere chilometrico. Come mai queste persone non vengono allontanate dalla eucarestia ?
Sono d’accordo sul fatto che ognuno di noi è prezioso agli occhi di Dio…infatti voglio condividere una frase che si trova proprio in un canto “Il canto dell’Amore”: *Perchè tu sei prezioso ai miei occhi,vali più del più grande dei tesori,Io sarò con te,dovunque andrai!!!*
Non so se ho imparato male, ma sono certa che Gesù è venuto a salvare tutti gli uomini… sia quelli che vivono nelle condizioni “evangeliche”, sia le famiglie “normali” ma anche i peccatori, di cui sono piene le pagine dei Vangeli!!!!!! E Gesù è il Vero Amore!!!!!!!! Ed io credo che ognuno di noi è prezioso agli occhi del Signore, occhi che non sono “umani” come i nostri!!!!!!!!
L’Amore non ama a condizioni, non distingue. Questo mi sembra insegni il Vangelo!
Noi siamo sempre con voi
….mi permetterei….se possibile…..se non sono “bigotto”: ma l’amore non viene dall’Amore? Ma perchè nell’amore ci sia l’Amore non si richiedono delle condizioni…per così dire…evangeliche? Sarebbe quindi possibile a chi non vive nelle condizioni “evangeliche” collegare il proprio amore all’Amore…se, sempre evangelicamente, non passa la “corrente? Non bisognerebbe, forse, suggerire, a chi si trova di fronte al proprio matrimonio fallito, di vivere puntando di più sulla santità. Non so, tutta questa attenzione, spero almeno uguale all’attenziione riservata alle nostre famiglie “normali”, mi fa riflettere molto. E’ vero amore ecclesiale? Vorrei capire un po’ di più …e si che ho assistito(i ministri sono gli sposi) diverse centinaia di matrimoni. Chi mi risponde?
Non avevo ancora letto il Suo commento, Sig. Rocco, ma ho scritto qualcosa di simile: sono d’accordo con Lei. Cristo non fece lapidare l’adultera ma la esortò a non peccare più, non la autorizzò a continuare su quella strada. Così come fu benevolo con la samaritana (progetto Samaria) ma non mostrò approvazione per la sua condotta. Non prendiamo solo quelle parti di Vangelo più comode.
Io e Lei siamo voci fuori coro, anche contro Simone Chiappetta, che, per quanto so, è un Sacerdote. Coraggio, non dobbiamo aver paura di andare controcorrente. Lo diceva S. Paolo ed oggi celo conferma il Beato Giovanni Paolo II