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“Ogni cosa alla sua stagione”

L’ultimo libro di Enzo Bianchi su Terza Web

Enzo Bianchi, fondatore della Comunità monastica di Bose

L’ultimo libro di Enzo Bianchi, priore e fondatore della comunità di Bose, continua ad avere un alto riscontro di vendite, per il suo essere altro, rispetto ai libri che solitamente scalano le classifiche. Non ci sono situazioni al limite, non ci sono prodigiose rivelazioni. C’è una cella, luogo eletto di osservazione meditativa, che diventa una finestra sul mondo e un monaco che ripercorre la sua vita, per ritornare nella cella e rispondere con saggezza alla domanda: «che ne è dei miei giorni?».

Solo il titolo è già una meditazione sul valore del tempo: «Ogni cosa alla sua stagione», non «Ogni cosa ha la sua stagione». Una frase, volutamente ellittica del verbo, è sufficiente a Enzo Bianchi per spiegare che noi, come tutte le cose esistenti, apparteniamo al tempo. Non il contrario. Noi non possediamo il tempo, noi lo abitiamo. Nel tempo è il ciclo della vita, scandito dall’avvicendarsi delle stagioni naturali che sono, a loro volta, fatte di giorni. I giorni di Enzo Bianchi soni «i giorni degli aromi e quelli del focolare, i giorni del presepe e quelli della memoria», attraverso i quali il priore di Bose, alle soglie dei 68 anni, ripercorre momenti suggestivi della sua vita, luoghi dell’anima e figure che l’hanno accompagnato nel cammino.

Questo libro non è però un «De Senectute», un guardare nostalgico al passato, di chi sente di doversi presto congedare dalla vita. E’ tutt’altro. Questo libro è l’inno alla vita di chi sa far resuscitare i ricordi, con il vigore del rispetto per la vita vissuta e la gratitudine per la terra che bacia ancora, ogni sera, dopo aver pregato. Da giovani, scrive l’Autore, siamo creditori: la vita ci deve dare! Poi viene la vecchiaia, l’ora in cui sentiamo di avere dei debiti da pagare: ai luoghi che ci hanno ospitato, alle persone grazie alle quali siamo diventati quelli che siamo. E così Bianchi si racconta e racconta, prima di tutti, della sua mamma, persa a soli otto anni, cui è grato per la vita; di suo padre Pinèn, socialista, ateo eppure amico del parroco, cui deve la libertà, l’onestà e il senso di giustizia. Un padre che inizialmente non capì perchè il figlio, appena laureato e con una carriera politica avanti, scelse la vita monastica ma che alla fine volle morire a Bose, riconoscendo al figlio di aver fatto della propria vita quanto di meglio un padre potesse volere. Le figure più belle sono, però, quelle di Etta e Cocco, rispettivamente la maestra e la postina del paese, che si presero cura del piccolo Enzo dopo la morte della madre, lo fecero studiare e lo educarono alla fede comprandogli, a 13 anni, la prima Bibbia. Per Etta e Cocco, che si spensero a Bose, Bianchi sente gratitudine perché hanno avuto fiducia nelle sue capacità. Gratitudine, ancora, per gli amici d’infanzia, sua prima scuola di umanizzazione: «L’amicizia è una grande avventura in cui si conosce cosa significhi volere il bene dell’altro; è esercizio di accordo, di armonia, a volte vera e propria scuola in cui si impara a smussare  e valorizzare alcuni aspetti del proprio carattere; in un certo senso si impara a diventare più autentici e buoni». Gratitudine, infine, per i fratelli e le sorelle della sua comunità, perchè gli hanno insegnato che il percorso cristiano non è facile, come qualsiasi percorso d’amore sensato: «Occorre esercitare la pazienza, accettare la fatica come il prezzo di tutto ciò che si acquisisce in umanità, non avere paura di vivere l’amore anche quando presenta la fatica del sacrificio per l’altro. Sì, per amore, ci si può sempre curvare, sapendo che comunque la vita ci curva e che ognuno se ne va portando con sé un segreto: come ha potuto trovare senso nella propria esistenza».

Questi i giorni, tutt’altro che facili e spensierati, delle stagioni della vita di Enzo Bianchi, dentro le quali si trova racchiusa la risposta alla domanda iniziale: «che ne è dei miei giorni?».

I giorni di una vita ti conducono a comprendere che il mestiere non è tanto vivere, quanto imparare a vivere ogni giorno, fino all’autunno della vecchiaia. La stagione, questa, in cui il rispetto e la gratitudine per la vita vissuta, non devono farci guardare con rimpianto al passato, ma con fiducia al futuro, perché «la vita continua e sono gli uomini e le donne che si susseguono nelle generazioni, pur con tutti i loro errori, a dar senso alla terra, alle nostre vite, a renderle degne di essere vissute fino in fondo». E come atto di fiducia in tutti quelli che verranno, scrive Bianchi: «Quest’anno ho piantato un viale di tigli, li ho piantati per rendere più bella la terra che lascerò, li ho piantati perché altri si sentano inebriati dal loro profumo come lo sono stato io da quello degli alberi piantati da chi mi ha preceduto».

Riappropriati del valore del tuo tempo (fuge, tace e quiesce) e guarda con rispetto e gratitudine la tua vita («leggi la vita con il Vangelo»). «Che ne è dei miei giorni?»: sarà ciò che lascerai a quelli che verranno dopo di te, per rendere i loro giorni migliori.