«Quale Dio è come il nostro?»
«Ma siamo nel 2011, Giova’, e stiamo ancora a pensare ai dogmi?!»: così una signora a me molto cara, più e più volte (diciamo ogni volta che ho il piacere d’intrattenermi con lei). Proseguiva poi così: «Qua dobbiamo pensare a orizzonti globali, abbattere le barriere, unire i popoli, le civiltà, le religioni…».
Ed è vero: il dato positivo del fenomeno della globalizzazione è che ormai nessun popolo può più seriamente considerarsi totalmente autonomo e indipendente dagli altri – non solo le migrazioni (fenomeno certo non nuovo), ma soprattutto la velocissima possibilità di contatto globale, l’informazione planetaria in tempo reale e l’effetto-domino della politica mondiale (con i crescenti e ben noti pesi del mercato comune), tutto questo dice la necessità di un abbattimento delle frontiere e di un serrato impegno all’integrazione culturale. Il che implica lingua, usi, costumi e, naturalmente, religioni.
Però è falso: le uniche “religioni senza dogmi” sono quelle di chi non ha religioni, perché una religione ha necessariamente una dottrina (ossia un “dogma”), per quanto semplice e/o rozza. Sorprende – lo abbiamo già detto, qualche volta – come gli stessi che s’impegnano per l’abolizione dei dogmi poi s’indignino al sentir fare una graduatoria della raffinatezza, della bontà e della verità dei dogmi delle diverse religioni (in realtà simili “gerarchie delle verità” si dànno pure nel bagaglio dogmatico delle singole religioni). Nulla di contraddittorio, ai loro occhî, perché ciò che vieta di dire che un dogma è migliore o peggiore di un altro è ciò per cui si pretende che essi siano eliminati: sarebbero di fatto “tutti uguali”, ossia tutti falsi. È impensabile ritenere che il contenuto dogmatico delle singole religioni sia veramente identico: una simile assurdità si potrà sostenere solo al bar (e neanche in tutti i bar), perché è evidente che credere che Dio sia uno solo è incompatibile col credere che vi siano molti dèi; credere che Dio sia Creatore e Padre è incompatibile col credere che s’identifichi col creato. «Tutte le religioni in fondo dicono la stessa cosa» è una frase tanto odiosamente insulsa quanto spudoratamente falsa.
Il problema teologico sotteso, però, è un vizio sul piano metodologico: si inferisce l’impossibilità di riconoscere la verità e di distinguerla non solo dalla falsità ma anche dalle verità parziali a partire dal fatto della pluralità dell’offerta religiosa al mondo. Questo passaggio è illecito e improduttivo per due ragioni: anzitutto pretende di essere insieme la domanda e la risposta (ossia c’è una petizione di principio); in secondo luogo, introduce elementi da sempre noti alla riflessione teologica, ma tutt’altro che vincolanti sul piano delle possibilità speculative, come delle novità assolute necessitanti in ordine alla dimensione veritativa. In sintesi, sotto il tappeto delle sensibilità per le quali un simile pensiero deviato germoglia (anche nella Chiesa) ci sono le sabbie mobili del relativismo.
Per questo il batticuore era alle stelle, al pensiero del venticinquesimo anniversario del primo incontro mondiale delle Religioni ad Assisi – gesto di spericolata profezia del beato Giovanni Paolo II. A fronte dell’entusiasmo mediatico per l’indiscutibile novità, non erano mancate le rimostranze, da più parti, per quello che era distintamente sembrato un vivaio del sincretismo religioso mondiale. Cosa vuol dire “sincretismo”? È presto detto: che valore bisogna dare al gesto dello sgozzamento di un galletto, venticinque anni or sono, a Santa Chiara? Che divinità è onorata dallo spargimento di sangue animale, da quando Cristo ha versato il suo nel sacrificio “nuovo ed eterno”? O non è vero che lo ha versato, o che esso è appunto “nuovo ed eterno”? Ancora, che significa far recitare le parole del “Padre nostro” a persone che – per quanto religiose – non credono che la divinità sia padre di alcuno (e tantomeno di noi mammiferi), o pensano che la divinità non sia neanche una persona? E poi – fermo restando che ogni uomo è creato a immagine del Figlio di Dio – se tutti gli uomini possono dire “Padre nostro” che significa che i cristiani credono di essere stati introdotti alla dimensione della figliolanza divina tramite l’incorporazione al Cristo crocifisso-risorto nel battesimo?
Queste preoccupazioni, forse inavvertite dai media e dai superficiali, nonché strumentalizzate dai nemici della Chiesa e della verità (entrambe ne hanno molti, e “curiosamente” tanti di questi sono nemici di entrambe), sono tuttavia chiaramente percepite da quanti – semplici o progrediti, incolti o eruditi – hanno il vivo senso della fede. Tutti questi guardavano perciò con un misto di fiducia e trepidazione alla conduzione che Benedetto XVI avrebbe dato alla faccenda.
Il Papa non ha deluso le attese, organizzando un incontro che aveva tutte le caratteristiche del pellegrinaggio eccetto la preghiera comune: al di là dell’apparente paradosso, l’evento del 27 ottobre scorso ad Assisi è stata una magistrale sintesi di verità teologica, carità fraterna, forza della ragione e umiltà condivisa. Niente preghiera comune, dunque, ma pranzo senza carne e senza vino; niente riti animisti, allora, ma il pellegrinaggio proprio di ebrei e animisti alla tomba del Poverello. La pace di Assisi – ben lungi dalla sua caricatura zeffirelliana – è la pace di Dio, e di questa pace i rappresentanti delle religioni mondiali hanno voluto riaffermare il primato, riconoscendone pure nella pace sociale e politica un effetto mirabile.
La mistificazione di Dio (tendenza sempre in atto in tutte le religioni) e la sua negazione (piano dichiarato dell’ateismo moderno) sono state indicate dal Santo Padre come due motivazioni speculari e ugualmente diaboliche del dilagare della violenza nel mondo. L’affermazione sulla potenziale degenerazione delle religioni è stata umilmente declinata nella ferma e fiera professione della specifica fede cristiana: «Il Dio in cui noi cristiani crediamo è il Creatore e Padre di tutti gli uomini, a partire dal quale tutte le persone sono tra loro fratelli e sorelle e costituiscono un’unica famiglia. La Croce di Cristo è per noi il segno del Dio che, al posto della violenza, pone il soffrire con l’altro e l’amare con l’altro. Il suo nome è “Dio dell’amore e della pace” (2 Cor 13,11). È compito di tutti coloro che portano una qualche responsabilità per la fede cristiana purificare continuamente la religione dei cristiani a partire dal suo centro interiore, affinché – nonostante la debolezza dell’uomo – sia veramente strumento della pace di Dio nel mondo». All’inaudita franchezza sul decadimento cui la debolezza della natura umana espone il senso religioso si aggiunge il terribile monito circa l’oblio di Dio: «I nemici della religione – come abbiamo detto – vedono in questa una fonte primaria di violenza nella storia dell’umanità e pretendono quindi la scomparsa della religione. Ma il “no” a Dio ha prodotto crudeltà e una violenza senza misura, che è stata possibile solo perché l’uomo non riconosceva più alcuna norma e alcun giudice al di sopra di sé, ma prendeva come norma soltanto se stesso. Gli orrori dei campi di concentramento mostrano in tutta chiarezza le conseguenze dell’assenza di Dio».
L’audacia cui nessuno avrebbe spinto l’immaginazione, però, è stata raggiunta al vedere che coi rappresentanti delle religioni erano stati invitati anche i personaggî più considerevoli della cultura atea o agnostica: Odifreddi si sarà offeso che non si sia pensato a lui, ma Julia Kristeva (la celebre psicanalista e filosofa del linguaggio all’Université de la Sorbonne), Remo Bodei (professore di filosofia alla UCLA di Los Angeles), Anthony Grayling (che ha istituito il New College di lettere e filosofia di Londra) e Guillermo Hurtado, (fondatore del secondo periodo della rivista di storia e filosofia Dìanoia) non ci hanno fatto rimpiangere il nostro Voltaire da operetta: «Accanto alle due realtà di religione e anti-religione esiste, nel mondo in espansione dell’agnosticismo, anche un altro orientamento di fondo: persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio. Persone del genere non affermano semplicemente: “Non esiste alcun Dio”. Esse soffrono a motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono, sono interiormente in cammino verso di Lui. Sono “pellegrini della verità, pellegrini della pace”. Pongono domande sia all’una che all’altra parte. Tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale pretendono di sapere che non c’è un Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista e che noi possiamo e dobbiamo vivere in funzione di essa. Ma chiamano in causa anche gli aderenti alle religioni, perché non considerino Dio come una proprietà che appartiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri».
Quello che è sommamente notevole sul piano delle relazioni ecumeniche è che l’opportunità di dare un seguito all’esperimento di Giovanni Paolo II è stata discussa col Papa anche da pastori cristiani non cattolici: così Peter Beyerhaus, pastore luterano e amico di vecchia data di Ratzinger, gli aveva confidato per lettera le sue perplessità. La risposta, privata, fu pubblicata col permesso degli Autori del carteggio in occasione di un convegno romano (organizzato dall’associazione “Catholica Spes”) in vista dell’incontro di Assisi: «Comprendo molto bene – sono le parole del Papa all’amico – la sua preoccupazione rispetto alla partecipazione all’incontro di Assisi. Però questa commemorazione doveva essere festeggiata in ogni modo e, dopotutto, mi sembrava la cosa migliore andarvi personalmente, per poter provare in tal modo a determinare la direzione del tutto. Tuttavia farò di tutto affinché sia impossibile un’interpretazione sincretista o relativista dell’evento, e affinché resti fermo che sempre crederò e confesserò ciò che avevo richiamato all’attenzione della Chiesa con la Dominus Iesus».
Il coraggio del Magistero, l’umiltà del ministero: la via del dialogo interreligioso è quella del ritrovarsi tutti discepoli della Verità. Ma di una verità veramente vera.