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La donna: umana, femminile, particolare.

Riflessioni sulla donna nel pensiero di Edith Stein.

La riflessione sulla donna – sulla specificità dell’essere femminile e del suo valore peculiare – è uno dei temi più caratteristici ed apprezzati della produzione di Edith Stein. I contributi su questo tema risalgono soprattutto agli anni della sua attività di conferenziera – tra gli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta dello scorso secolo – ma sono sempre attuali, e di grande fascino, perché fondati su un’articolata ed originale “filosofia della persona”.

In Edith Stein la tesi della differenza specifica fra essere femminile e essere maschile è sostenuta accanto alla tesi dell’unità specifica dell’essere umano: la donna e l’uomo sono esseri umani e in ciò consiste la loro uguaglianza, ma sono anche diversi. Questa unità nella differenza è la vera vocazione (Berufung, vocazione, o “chiamata”) umana, che viene dallo stesso Creatore: «E Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina lo creò» (Genesi 1, 26-28). Già nella prima narrazione della creazione dell’uomo si parla subito della differenza in maschio e femmina. Il triplice compito che ad essi è assegnato, essere immagine di Dio, procreare una posterità e dominare la terra, non è affidato specificamente all’uno o all’altro, ma che ci sia una diversità, lo si può considerare eminentemente enunciato dalla stessa distinzione in sessi. Quando si parla della vocazione della donna come tale – nota sapientemente la Stein, dando così un suo contributo originale alla “filosofia della persona” cristiana –, si cade in sospetto di volerle contestare ciò che le spetta di diritto in quanto personalità individuale. A tale proposito, bisogna dire espressamente che la vocazione della donna è triplice: è quella comune ad ogni essere umano, è quella del tutto individuale della singola persona, e quella specifica della donna. Per la Stein, sul fondamento di questa triplice vocazione, vanno riconosciuti alla donna tutti i diritti – e rispettivi doveri – che le competono come essere umano, come donna, e come persona individuale – con i propri talenti, le proprie aspirazioni e le proprie inclinazioni. Sul riconoscimento di questa triplice vocazione, nel pensiero della Stein, e solo nel Suo pensiero, si trova un equilibrio ed un’armonia perfetta tra tutto ciò che una donna è per natura e tutto ciò che può essere per scelta.

La specificità dell’essere femminile, quindi, è basata innanzitutto sulla sua vocazione originaria – così come è espressa nella creazione: essere sposa e madre. Sono due cose intimamente connesse. Il corpo della donna è formato in modo da essere «un’unica carne» con un altro e per nutrire in sé una nuova vita umana. A ciò corrisponde il fatto che l’anima della donna ha disposizione – scrive la Stein – ad essere sottomessa ad un capo in premurosa obbedienza e, nello stesso, a essergli di valido appoggio, così come un corpo ben disciplinato per lo spirito che lo vivifica è uno strumento docile, ma è anche per lui una sorgente di forza, e gli offre la possibilità di occupare una propria salda posizione nel mondo esterno. Questa vocazione naturale può e deve accordarsi, però, anche con le personali attitudini e aspirazioni di ciascuna donna. Ecco che le due cose, l’essere in spirito compagna e madre, non sono limitate ai rapporti del matrimonio e della maternità fisica, ma si estendono a tutti gli esseri umani che entrano nel suo orizzonte; ogni donna ha disposizione ad essere asilo e dimora di altre anime che in lei possono svilupparsi: «L’anima della donna deve, perciò, essere ampia e aperta a tutto ciò che umano; deve essere silenziosa, perchè nessuna tenue fiammella sia spenta dal soffio della tempesta; deve essere calda, per non raggelare i teneri semi; deve essere luminosa, perché, negli angoli bui e nelle pieghe oscure, non allignino, erbe cattive; deve essere riservata, perché le irruzioni dall’esterno non mettano in pericolo la vita nell’intimità; deve essere vuota di sé, per lasciare in sé ampio spazio alla vita altrui; infine deve essere padrona di sé e del proprio corpo, così che tutta la sua personalità sia sollecitamente disponibile a ogni appello». (Edith Stein, La donna. Questioni e riflessioni., trad. it. di O. Nobile – A. M. Pezzella sulla base del testo della ESGA, (a cura di) A. Ales Bello – M. Paolinelli, Città Nuova, 2010, p.48).

L’anima femminile, conformemente alla triplice vocazione della donna, deve avere – nell’ambito privato, famigliare, ed anche professionale – i seguenti attributi: ampia, silenziosa, vuotà di sé, calda e luminosa. Come si può giungere a possedere tali qualità?

«Credo – scrive la Stein – che non si tratti di una molteplicità di qualità a cui si possa por mano e acquisire una per una; si tratta, piuttosto, di uno stato complessivo dell’anima che non possiamo acquisire con la sola volontà, ma deve essere frutto dell’opera della grazia: porre nelle mani di Dio tutta la nostra anima, pronta ad accettare e a lasciarsi formare. Per natura l’anima è ricolma di molte cose, e l’una scaccia l’altra, spesso nella tempesta e nell’agitazione. Quando la mattina ci svegliamo, subito i doveri e le cure del giorno cominciano ad assediarci e si affaccia l’interrogativo: “Come si può sistemare tutto in un giorno? Quando farò questo, quando farò quello? Come affrontare questo dovere, come porre mano a questa faccenda?”. Ci si vorrebbe alzare d’impeto e cominciare a correre. Allora è necessario prendere in mano le redini e dirsi: Calma! La mia prima ora del mattino appartiene al Signore. Il lavoro quotidiano che Egli mi affida voglio affrontarlo, ed Egli mi dirà la forza per portarlo a termine. Così voglio andare all’altare del Signore. E quando il Signore viene a me nella santa Comunione, Gli potrò chiedere: “Che desideri da me Signore?” E ciò che, dopo il silenzioso colloquio con Lui, mi si presenterà come il compito più immediato, darà inizio al mio lavoro. Se comincio la mia giornata lavorativa dopo la Messa mattutina, vi sarà in me un sacro silenzio e la mia anima sarà vuota da ciò che vorrebbe inquietarla e affaticarla e sarà, invece, piena di santa gioia, di coraggio ed energia. Essa è divenuta grande e spaziosa, perché è uscita da sé entrando nella vita divina. Poi comincia il lavoro quotidiano. Magari l’insegnamento – 4 o 5 ore consecutive. Ciò significa: attenersi all’argomento, in un’ora o nell’altra si può non ottenere ciò che si vorrebbe, stanchezza, interruzioni impreviste, ragazzi intrattabili. Oppure lavoro burocratico: rapporti con superiori intrattabili, pretese inaccettabili, rimproveri ingiusti, meschinità umane. Giunge la pausa di mezzogiorno. Si torna a casa esauste, affrante. E qui si trovano nuove prove. Allora si rischia di entrare in agitazione e di esplodere: indignazione, rabbia, rimorso. E c’è ancora tanto da fare fino a sera! Non si deve dunque ricominciare subito? No! Non prima di aver trovato almeno per un istante un po’ di silenzio. Ciascuna deve conoscersi o imparare a conoscersi per saper dove e come trovare un po’ di calma. Il miglior modo, se è possibile, sarebbe tornare al tabernacolo per un breve tempo, per riversarvi tutte le preoccupazioni. Chi non può farlo, chi forse ha anche bisogno di un po’ di riposo fisico, si prenda un momento di respiro nella propria stanza. Ma se non è possibile un momento di calme esteriore, se non c’è uno spazio in cui potersi ritirare, se doveri improrogabili impediscono un’ora di silenzio, sarà necessario almeno chiudersi in sé per un istante, separandosi da tutte le cose e rifugiandosi nel Signore. Egli è certo là e può concederci in un solo istante tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Quando verrà la notte, e, guardando indietro, vedremo quanto è rimasto incompiuto e che molto di quanto ci eravamo proposto non lo abbiamo fatto, allora prendiamo ogni cosa così come è, e mettiamo tutto nelle mani di Dio, abbandoniamolo a Lui. In Lui potremo così riposare, veramente riposare, per cominciare il giorno nuovo come una nuova vita». (Ivi, pp. 60-63).

Ecco solo un semplice accenno a come una donna potrebbe, secondo Edith Stein, organizzare la giornata, per far posto alla Grazia di Dio e realizzare il proprio essere femminile nel modo rispondente alla propria triplice vocazione: essere umano, individuo, donna. Ciascuna dovrà applicarla nel modo migliore alle concrete circostanze della propria vita. È compito di ciascuna riflettere su come debba ordinare i propri giorni e il proprio anno, secondo le proprie attitudini e le situazioni che si trova a vivere.  È importante trovare, di volta in volta, il mezzo che giova e saperne trarre profitto.

La via per portare a compimento il proprio essere femminile – sia che una donna viva in casa come madre di famiglia, sia che occupi un posto importante nella vita pubblica, o che trascorra i suoi giorni tra le mura silenziose del chiostro, è una sola: «Ovunque ella deve essere una serva del Signore, come lo è stata la Madre di Dio in tutte le situazioni della sua vita – da giovanetta nel sacro recinto del tempio, nell’operosità silenziosa di Betlemme e di Nazareth, come guida degli apostoli e della prima comunità cristiana dopo la morte del Figlio. Ogni donna un’immagine della Madre di Dio, ognuna una sponsa Christi, ognuna un’apostola del Cuore divino; ogni donna, allora, adempirebbe pienamente la sua vocazione femminile, indipendentemente dalle condizioni in cui vive e dall’attività che occupa la sua vita esteriore». (Ivi, p. 266).

Essere umano, femminile, particolare. Semplicemente donna, perfettamente sponsa Christi.

 

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