Gaudete in Domino semper!
Nella solennità dell’Immacolata Concezione, la liturgia ci ha proposto il Vangelo dell’annunciazione (Lc 1,26-38). Esso ci immerge in due dei più grandi misteri della storia umana e della fede cristiana: quello di una vergine che concepisce nel suo grembo un figlio «senza conoscere uomo» (Lc 1,34), e quello di una donna che mette al mondo nientemeno che il Dio Salvatore del mondo.
Quali emozioni profonde e sconvolgenti dovette provare il puro cuore di Maria nel momento in cui le fu rivelato il progetto di Dio, che era tale da travalicare ogni umana attesa e speranza! «Entrando da lei, l’angelo le disse: Rallegrati, tu che sei la favorita di Dio, il Signore è con te» (Lc 1,28). Sì, queste parole risuonarono nelle orecchie e nel cuore della fanciulla di Nazaret (si suppone che Maria avesse allora quattordici anni o giù di lì): chaire, kecharitoméne, ho Kyrios metà sou. La versione italiana vulgata, troppo vincolata all’imperfetta resa latina (Ave, Maria, gratia plena, Dominus tecum), non rende appieno la pregnanza di questi termini (dei pericoli legati alla traduzione abbiamo già abbondantemente parlato – link e successivi). L’imperativo chaire non è un semplice saluto di circostanza, ma l’invito a rallegrarsi, a gioire perché quell’umile fanciulla di Nazaret aveva attirato su di sé lo sguardo amoroso del suo Signore. Lei stessa, nell’inno del Magnificat, osserverà con gioia mista a sorpresa: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta nel mio Dio, perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,46-7). Egli l’ha scelta tra tutte le donne per un destino e una missione che mai nessun’altra aveva né avrebbe ricevuto. Egli le è vicino, «è con lei». Non solo con lei, ma in lei, nel suo stesso grembo, e poi nella sua casa e nella sua vita, presente in carne ed ossa. Il Figlio che da lei nascerà «sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; e il Signore gli darà il trono di Davide suo padre, e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe, e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,32-33).
Davvero c’è da rallegrarsi ed esultare! Ma è pure pienamente giustificabile quel turbamento che attraversò Maria (dietarachte: “fu attraversata dal turbamento”, Lc 1,29) al primo saluto dell’angelo. È il turbamento inevitabile della creatura improvvisamente e inaspettatamente visitata dal suo Creatore, dell’umile guardata dall’Onnipotente, della donna che vede irrompere l’Infinito e l’Eterno nella propria vita con potenza e gloria. L’angelo comprende e, con paterna sollecitudine, la rassicura, quasi riformulando il suo saluto in termini più delicati: «Non temere (mè foboù), Maria, perché hai trovato grazia presso Dio» (Lc 1,30). Il verbo foboumai in greco possiede due accezioni tra loro collegate: “essere spaventato, impaurito” e, come conseguenza di questa paura, “darsi alla fuga”. L’ingresso potente di Dio nella storia umana e nella vita di Maria (non a caso Gabriele significa “Dio è potente”) rischia di turbare e intimorire fino a mettere in fuga.
Senza contare che il progetto di Dio oltrepassa i normali limiti della natura umana: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34). La risposta dell’angelo è chiara: non tu farai questo, ma «lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque Santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Alla creatura non è dato oltrepassare i propri limiti naturali, ma se questa è visitata e pervasa dalla potenza del Signore, non vi sono limiti che non possano essere superati. Il caso di Elisabetta, che, seppure anziana e sterile, ha da poco concepito un figlio, conferma che «nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37).
Non la donna Maria dunque compirà quanto l’Angelo annunzia, ma la potenza di Dio che scenderà su di lei. La risposta della vergine rivela che ella ha piena consapevolezza del proprio ruolo: «Ecco la serva del Signore: mi avvenga secondo la tua parola» (Lc 1,38). Anche nel Magnificat Maria si attribuisce la medesima funzione: «il Signore ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,48). Maria si mette al servizio del suo Signore, perché Egli possa compiere in lei il suo progetto. Forse in tutto questo andrebbe posto in maggior rilievo il termine rhema (“parola”), che l’evangelista adopera sia nel caso di Elisabetta, sia in quello di Maria. A proposito della prima l’angelo dice precisamente: «non sarà impossibile nessuna parola (che viene) da parte di Dio» (Lc 1,37; parà toù theoù pan rhema). Dio aveva infatti annunciato a Zaccaria attraverso il suo angelo cosa sarebbe accaduto a sua moglie; egli, inizialmente scettico, era rimasto muto, perché non aveva creduto alle parole di Gabriele, che si sarebbero compiute al tempo opportuno (Lc 1,20). Maria, invece, si apre e si rende disponibile affinché la parola di Dio si compia in lei (genoito moi katà tò rhema soù). Elisabetta stessa pronuncerà su Maria la prima tra le beatitudini che compaiono nel Vangelo: «Beata colei che ha creduto che si compiranno le cose a lei dette dal Signore» (Lc 1,45). Ciò che Dio dice non cadrà mai nel vuoto, e chi crede alla sua parola, in essa troverà la propria felicità.
Gioia e beatitudine dominano dunque il Vangelo dell’Immacolata, che ci introduce per via diretta nel clima di questa terza domenica di Avvento, la «domenica della gioia» (gaudete). L’invito a rallegrarsi risuona nelle parole del profeta Sofonia: «Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! … Non temere, Sion!» (Sof 3,14.16). La ragione di una tale esultanza è, come nel caso di Maria, la presenza viva del Signore: «Re d’Israele è il Signore in mezzo a te … Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente» (Sof 3,15-16). Similmente Paolo annuncia l’imminente venuta del Salvatore in questi termini: «Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi … Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5). È un’attesa carica di gioia quella che ci avvicina al Natale, una gioia che unisce chiunque sperimenti la presenza del Signore nella propria vita. Dai profeti, a Maria, a Paolo, ai fedeli di ogni tempo, il messaggio è sempre lo stesso: «Rallegriamoci, perché il Signore è con noi! Egli viene per salvarci!».