“In sofferenza come uomo forte che cammina nel tempo”
«Don Peppino, sentiremo la tua mancanza ma siamo sicuri che ci ritroveremo nella gloria dei cieli, dove ancora una volta potremo godere di una vita gioiosa e senza macchie di sofferenza». Con queste parole rotte dalla commozione, ieri mattina in una Cattedrale di San Cetteo gremita dai fedeli e di sacerdoti giunti dall’intera diocesi e non solo, l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti ha porto il suo ultimo saluto, presiedendone il rito funebre, al suo confratello e grande amico don Giuseppe Di Bartolomeo, conosciuto quando egli era un giovane studente presso l’Almo Collegio Capranica di Roma: «Lì – racconta monsignor Valentinetti, pronunciando l’omelia – abbiamo vissuto un comune cammino educativo e d’esperienza. Poi, ci siamo persi di vista perché ognuno ha seguito la propria strada ministeriale».
Una strada che, in seguito all’ordinazione sacerdotale avvenuta nel 1981, ha visto don Peppino, come tutti lo amavano chiamare, divenire parroco dapprima a Corvara, poi a Vicoli, Catignano e infine presso la chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo Crocifisso nel quartiere pescarese di Villaggio Alcyone: «È qui – sottolinea l’arcivescovo di Pescara-Penne – che il Signore ha bussato prepotentemente alla sua porta, al suo cuore, chiedendogli un ulteriore sacrificio di sofferenza dopo che la vita, in qualche modo, tante volte aveva segnato la sua anima ed il suo cuore ma lui dentro questa storia, così come precedentemente aveva vissuto, si è sempre abbandonato nelle mani della Provvidenza. A tutti non dava a vedere che nel suo cuore portava una pena, forte ed interiore, che ha segnato la sua vita e la sua esistenza seppur rimanendo gioviale e sempre capace di suscitare nel cuore degli altri simpatia e freschezza: lui è stato dentro questo mistero di sofferenza, come uomo forte che cammina nel tempo».
Un cammino, dunque, segnato da sofferenze personali e familiari, come la scomparsa dei genitori e del fratello, e ancora provato dalla malattia. Una vita, quella di don Peppino, che a volte ha assunto le sembianze di un calvario sul quale, però, ha saputo riflettere trovandone una ragione logica che ha compreso, insieme al suo caro amico don Tommaso: «In questi ultimi giorni – riflette il presule – stando, per quanto mi è stato possibile, accanto a don Peppino e vivendo con lui anche il sacramento dell’eucaristia e quello dell’unzione dei malati, ci siamo ricordati realmente che questo cammino è verso l’eternità, anche se ci siamo chiesti il perché di tanto dolore e tanta fatica di un agone che, in qualche modo, andava superato nell’esperienza cruenta di ciò che manca alla nostra carne per essere assimilata alla carne gloriosa che, un giorno, Dio darà ai suoi servi fedeli. Ma questa è stata sempre una ricerca di fede ed è stato sempre una abbandonarsi fiducioso nelle mani del Signore: in questa direzione vogliamo ripetere il nostro sì a Dio».
Con questa consapevolezza, ieri, il libro della Parola di Dio, il libro della sua vita, si è potuto richiudere sulla bara di don Peppino, avendo egli davvero raggiunto e meritato la gloria dei cieli.