Dipendenza dal web: il 15% degli adolescenti è a rischio
"La dipendenza nasce dal fatto che sul web non c’è il rispecchiamento emotivo, non ci si guarda negli occhi per riconoscersi, mentre i bambini hanno bisogno di essere visti e considerati"
Il 15% degli adolescenti dopo un anno rischia di sviluppare una dipendenza da internet, con stato depressivo e consumo di nicotina e alcool. Lo ha rivelato un’indagine dell’università di Taipei su un campione di 2.315 studenti, riportata nella ricerca sull’Internetpatia a cura dell’Aiart (l’associazione di Spettatori cattolici onlus), presentata stamani a Roma, in Campidoglio, durante un convegno sulla dipendenza dal web, ossia la necessità di stare in rete e controllare in maniera compulsiva i messaggi.
In Italia, l’esperienza più significativa nel campo è quella dell’Ambulatorio dipendenza da internet del Policlinico Gemelli: in 5 anni ha preso in carico oltre 700 pazienti, di cui l’80% dagli 11 ai 24 anni, maschi, fruitori di chat, social network e giochi di ruolo. Alcuni sono connessi a internet anche 18 ore al giorno: «La dipendenza – spiega Federico Toniolo, psichiatra e responsabile dell’Ambulatorio dipendenza da internet del Gemelli – nasce dal fatto che sul web non c’è il rispecchiamento emotivo, non ci si guarda negli occhi per riconoscersi, mentre i bambini hanno bisogno di essere visti e considerati. L’impossibilità di vivere le emozioni causa il ritiro sociale, l’aggressività naturale si trasforma in rabbia e nasce il cyberbullismo».
Ma è interessante capire anche quali cause provocano questo disturbo: «I presupposti della dipendenza da internet – sottolinea Toniolo – si radicano nella mancanza di continuità nel vissuto affettivo, che lega ogni bambino all’ambiente in cui è chiamato crescere. Ma tutti noi, siamo diventati più compulsivi, costretti da un multitasking che distrae a rispondere a più stimoli che si sovrappongono». A monitorare, da sempre, questo fenomeno c’è l’Aiart, che proprio in questo mese compie 60 anni: «Abbiamo il dovere – puntualizza Luca Borgomeo, presidente dell’Aiart – di occuparci anche di questi temi, oltre che della televisione, pur sapendo che il web è molto più complesso. Dobbiamo impegnarci di più e fare un vero salto di qualità. Noi non abbiamo nessun atteggiamento ostile, sia chiaro, anche se il web ha introdotto modifiche paragonabili, secondo alcuni studiosi, alla scoperta del fuoco. Non vogliamo demonizzare il web, che è un formidabile strumento di sviluppo e mezzo di straordinaria importanza, ma va giudicato l’uso che se ne fa. Obiettivo del nostro rapporto è far crescere la consapevolezza che l’uso distorto o l’abuso dei mezzi può far nascere gravi danni».
E siccome il 61% delle famiglie ha accesso a internet, l’Aiart chiede di far entrare nei programmi scolastici, in modo più incisivo, la media education. Un tema, quello della dipendenza dal web, che ha richiamato anche l’attenzione dei vescovi italiani: «La Chiesa italiana – ammonisce monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, intervenuto al convegno – mette in guardia dai costi e dalle insidie della rete, ma invita ad abitare queste piazze virtuali senza battaglie di retroguardia, come una vera sfida educativa».
Una sfida davvero difficile: «Usufruisco abbastanza della rete – racconta monsignor Galantino -. Quando ho perso il mio tablet stavo perdendo la testa e mi sono reso conto che stava diventando una protesi. Quando mi sono tranquillizzato, l’ho ritrovato». Ma secondo il presule, oggi, la grossa novità portata dal web attraverso i social network è di natura antropologica: «Pensiamo alla smania – osserva il segretario generale della Cei – di fissare l’istante su Facebook e ricevere i “Mi piace”. Io di solito, tra il venerdì sera e il sabato mattina, posto l’omelia, dopo 5 secondi trovo 40 “Mi piace”, ma sicuramente lo fanno per simpatia, nemmeno la leggono. Oggi quello che postiamo è più condizionato dai “Mi piace” che dai contenuti. Nonostante questo restiamo tutti alla finestra, dirimpettai gli uni degli altri, tirati per la giacca da sensazioni senza giudizio. Ma così perdiamo la narrazione».