“L’unità è una condizione necessaria perché il mondo possa credere”
"Apriamo gli occhi - esorta Padre Alin Iarca -, per scoprire vicino a noi pozzi d’amore e tornare a radunarci a piccoli gruppi, come facevano i cristiani delle origini. Persone che, radunandosi in casa alla luce del Vangelo, realizzavano un’unità profonda testimoniandosi a vicenda le meraviglie che Dio compiva in loro"
«L’unità è una condizione necessaria e sufficiente, perché il mondo possa credere». Lo ha affermato ieri sera l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, partecipando alla Veglia ecumenica organizzata dall’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, svoltasi presso la chiesa pescarese dello Spirito Santo.
Alla celebrazione, oltre al rappresentante della Chiesa cattolica locale, hanno preso parte gli esponenti locali della Chiesa Metodista, della Chiesa Avventista e della Chiesa Ortodossa di Romania. Dopo una preghiera corale introduttiva, ognuno di loro ha letto e commentato un passo biblico improntato sul dialogo ecumenico.
È stato l’arcivescovo Valentinetti ad esordire, commentando il Vangelo di Giovanni (17, 20-23): «Si tratta – spiega il presule cattolico – di un testo molto noto e centrale, nell’ambito del discorso che Gesù fa ai discepoli prima dell’ultima cena. In questo passo una prima affermazione che deve farci riflettere, è quella secondo cui la preghiera di Gesù non è rivolta solo a quei discepoli che in quel momento l’ascoltano, ma è una preghiera universale rivolta anche agli altri».
Un principio, questo, che può essere letto attraverso due interpretazioni: «Se è vero – osserva monsignor Valentinetti – che sostanzialmente la preghiera per gli altri è sottomessa all’affermazione “per quelli che crederanno in me dopo aver ascoltato la loro parola”, è anche vero che questa parola è diffusa talmente capillarmente nella realtà di ogni Chiesa e di ogni religione, per cui la preghiera di Gesù è davvero per tutti».
È stata poi la pastora della Chiesa Metodista Greetje van der Veer, a meditare il passo biblico tratta dal Vangelo di Matteo (5, 13-16): «Intorno a noi – osserva la pastora – vediamo tanta paura. Non è esagerato dire che siamo nei tentacoli della paura, ma è proprio in questo contesto che siamo chiamati ad annunciare le grandi opere di Dio».
Quando nell’Antico testamento si parla delle grandi opere di Dio, secondo la rappresentante della Chiesa Metodista, si parla della liberazione del suo popolo dalla schiavitù d’Egitto e quando si parla di popolo di Dio, si parla di persone in mezzo ad una schiera di persone che si inseriscono in cammino insieme al Signore: «Ma – ricorda Greetje van der Veer – Dio ci chiama tutti, così come siamo e questo è da tener presente quando parliamo di ecumenismo che non è un optional, ma è parte integrante del nostro essere componenti del popolo di Dio».
Il pastore della Chiesa Avventista, si è quindi soffermato su un estratto dalla lettera ai Romani (8, 15-24): «La consapevolezza della comune identità in Cristo – sottolinea Paolo Todaro -, ci chiama a rispondere alle questioni che ancora dividono i cristiani. In teoria, chi si chiama cristiano dovrebbe essere unito a un altro che sia chiama cristiano. Noi qui siamo tutti cristiani, perché crediamo in Cristo e dobbiamo impegnarci seriamente per promuovere la dignità umana, attraverso progetti sociali per aiutare poveri e bisognosi».
Credenti, dunque, che si adoperano per concretizzare la Parola di Dio: «Perché l’Evangelo – ammonisce Todaro – non dev’essere solo una bella pubblicazione, ma un’azione concreta».
Infine, attraverso il passo del Vangelo di Giovanni 13, 34-35, il sacerdote della Chiesa Ortodossa rumena ha condotto una riflessione sul comandamento dell’amore, legato all’ecumenismo: «Apriamo gli occhi – esorta Padre Alin Iarca -, per scoprire vicino a noi pozzi d’amore e tornare a radunarci a piccoli gruppi, come facevano i cristiani delle origini. Persone che, radunandosi in casa alla luce del Vangelo, realizzavano un’unità profonda testimoniandosi a vicenda le meraviglie che Dio compiva in loro».
Nasce, dunque, il bisogno di una carità che sia espressione di un Vangelo vivo: «Il nostro Signore – ricorda Padre Alin – ci offre un comandamento nuovo, perché la nostra vita sia una grande esperienza d’amore. Un amore che sperimenta la sofferenza e il tradimento, ma che dona la vera libertà».
Quindi la conclusione della veglia ecumenica, con la condivisione di una pagnotta di pane: «Ringraziamo il Signore – conclude don Achille Villanucci, direttore dell’Ufficio diocesano per l’Ecumenismo -, che ci ha riuniti e ci vuole tutti uniti. Questa è stata una prefigurazione di quella che sarà la Gerusalemme celeste. Là staremo tutti uniti, ma perché non cominciare già sulla Terra?».