“I Neet rappresentano un’emergenza sociale in Italia”
"Il numero di giovani - osserva Rita Bichi, sociologa dell'Università Cattolica - che dopo essere usciti dal percorso formativo non sono riusciti ad entrare nel mondo del lavoro o si trovano impaludati in un’area grigia tra lavoro e non lavoro, è notevolmente cresciuto con la crisi soprattutto nei Paesi che presentano carenze sul fronte sia della domanda che dell’offerta di lavoro, assieme a una inadeguatezza degli strumenti di incontro tra domanda e offerta. In particolare, in Italia molti giovani si trovano, all’uscita dal sistema formativo, carenti di adeguate competenze e sprovvisti delle esperienze richieste dalla aziende"
«I Neet rappresentano in Italia un’emergenza sociale e questo ci impone alcune riflessioni sulle politiche da adottare per arginare questo problema. Bisogna comprendere se le nuove generazioni sono solo le vittime di un Paese destinato al declino o se, invece, vogliamo che diventino il punto di forza del nostro futuro».
Lo ha affermato Alessandro Rosina, demografo dell’università Cattolica e coordinatore dell’Indagine Rapporto giovani, intervenendo ieri a Milano nel corso della seconda giornata del convegno, organizzato dall’Istituto Toniolo di Milano in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e la Fondazione Cariplo, dal titolo “Neeting”.
L’iniziativa era dedicata al fenomeno dei Neet (Not in Education, Employment or Training), ovvero i giovani che non possiedono né cercano un impiego e non frequentano alcun tipo di corso di formazione o di aggiornamento professionale: «Il numero di giovani in questa condizione – spiega l’esperto – è notevolmente cresciuto con la crisi, soprattutto nei Paesi con un alto tasso di disoccupazione. Ecco perchè servono urgenti e adeguate politiche che possano migliorare il mondo del lavoro, soprattutto nell’economia giovanile».
A detta del demografo, per ridurre il numero di Neet bisogna agire sia su chi si trova già da tempo in questa condizione e fatica ad uscirne, sia su chi sta finendo gli studi e si appresta a entrare nel mercato del lavoro: «Ma – propone Rosina – va anche stimolata la capacità di intraprendenza dei giovani. E dobbiamo soprattutto capire se in Italia le nuove generazioni sono le principali vittime di un Paese rassegnato al declino o se, invece, vogliamo che siano le risorse principali di un Paese che vuole tornare a crescere e ad essere competitivo. In questo secondo caso, dobbiamo destinare ai giovani le maggiori risorse e le migliori politiche per metterli nelle condizioni di dare il meglio di sé in un Paese che dimostra con i fatti di credere nelle loro potenzialità».
A detta dello studioso, a mantenere elevato il numero di Neet in Italia contribuiscono i giovani in condizione di disagio sociale, a rischio di marginalizzazione permanente: «Ma anche neolaureati con buone potenzialità – sottolinea -, ma con tempi lunghi di collocazione nel mercato del lavoro per le difficoltà di valorizzazione del capitale umano nel sistema produttivo italiano».
E il tasso di Neet, può essere considerato una misura efficace di quanto uno Stato dilapida il potenziale delle nuove generazioni: «A scapito – denuncia Rita Bichi, docente di sociologia della Cattolica di Milano – non solo dei giovani stessi, ma anche delle proprie possibilità di sviluppo e benessere».
Determinante il contributo della crisi economica, nell’acuire il fenomeno: «Il numero di giovani – osserva la sociologa – che dopo essere usciti dal percorso formativo non sono riusciti ad entrare nel mondo del lavoro o si trovano impaludati in un’area grigia tra lavoro e non lavoro, è notevolmente cresciuto con la crisi soprattutto nei Paesi che presentano carenze sul fronte sia della domanda che dell’offerta di lavoro, assieme a una inadeguatezza degli strumenti di incontro tra domanda e offerta. In particolare, in Italia molti giovani si trovano, all’uscita dal sistema formativo, carenti di adeguate competenze e sprovvisti delle esperienze richieste dalla aziende».
Resta un tema, quello della condizione giovanile, di grande attualità che deve essere affrontato con molta attenzione da parte di tutte le istituzioni: «È evidente – riflette Francesco Botturi, prorettore dell’Università Cattolica – che la situazione dei giovani che non studiano e non lavorano, segnala un disagio particolare e complesso sull’oggi. Ma richiama allo stesso tempo l’attenzione sulle prossime generazioni, il cui futuro appare adesso come inceppato. Si tratta di un’emergenza che investe tutta la nostra società, sia a livello economico che sociologico. Ecco perché è compito anche dell’università di occuparsi di queste generazioni in modo efficace e puntuale, mettendo a loro disposizione tutti gli strumenti per crearsi un futuro dignitoso».