Homo faber 3: Gutenberg e l’invenzione della stampa
La grande invenzione del tedesco ha innescato un processo che ha portato ad un irreversibile mutamento della società, aprendo così alla modernità.
Enea Silvio Piccolomini (il futuro Papa Pio II) rimase colpito da quel libro, da quei fascicoli incontrati a Francoforte nell’ autunno del 1454, porzioni di un testo che aveva visto, letto e meditato tante volte. Ma quel codice aveva qualcosa di particolare, quella Bibbia era affatto diversa: la piacevolezza nello scorrere i suoi caratteri cosi nitidi e precisi (mundissime ac correctissime litterae), in quei quinterni che aveva potuto visionare, non era quella solita, era amplificata, più grande; e poi riusciva a leggerli senza far uso di lenti. Com’ era possibile? La sua emozione
per quell’ incontro era tale che decise di scriverne poco tempo dopo (siamo nel marzo 1455) a un suo caro amico, qualcuno che poteva capire cosa aveva provato: il cardinale domenicano Juan de Carvajal. Alla richiesta di quest’ultimo di altre spiegazioni il Piccolomini si informò ulteriormente e scoprì di avere a che fare con il prodotto del lavoro di un uomo formidabile (mirabilis): Johann Gutenberg.
Chissà se l’orafo e proto-tipografo maguntino (era nato proprio a Magonza tra il 1394 e il 1399) aveva mai pensato che la sua opera avrebbe assunto proporzioni epocali per la storia dell’umanità quando a Strasburgo, intorno al 1434, cominciò a lavorare alla stampa a caratteri mobili.
Siamo in un momento storico fortemente dinamico soprattutto dal punto di vista culturale: gli studia (le Università) fioriscono in ogni città d’Europa, aumenta la sete di sapere e di conseguenza la domanda di libri. Si cercano metodi per aumentare la produzione libraria (si veda la cosiddetta pecie, cioè la contemporanea copiatura per diversi codici di fascicoli slegati fra loro provenienti da un unico esemplare), ma il risultato non è soddisfacente. Gutenberg arriva alla stessa conclusione alla quale erano arrivati in Estremo Oriente due secoli prima (i caratteri mobili erano stati ideati nel sec. XIII): sostituire la macchina alla mano dell’uomo, imprimere i caratteri sul foglio anziché scriverli. Ma il maguntino ha anche l’ambizione di gareggiare coi manoscritti in eleganza e qualità. Così grazie a una lega di antimonio, piombo e stagno produce i primi caratteri: tutti della stessa altezza e lunghezza, ma con larghezza diversa a seconda della lettera.
I preziosi segni, inseriti a formare la pagina da stampare all’ interno di un’ intelaiatura, legati assieme, vengono poi imbevuti d’inchiostro e posti sotto la platina del torchio che distribuiva la stessa pressione su tutto il foglio. Nasce così la prima pagina stampata, a due colonne, proprio a imitazione di quei manoscritti trecenteschi così eleganti e precisi nella loro composizione.
Quella prima pagina ha rappresentato una cesura netta tra un prima e un dopo, tra un mondo ove predominava, ad esempio, la lentezza e l’attenzione al particolare, ad uno caratterizzato dalla velocità, che diventa criterio basilare di produzione e simbolo irrinunciabile della società moderna. E come ricorda anche Marshall McLuhan nel suo famoso saggio La galassia Gutenberg. Nascita dell’uomo tipografico (1962), dall’ invenzione della stampa si è sviluppata la cosiddetta «cultura alfabetica», basata su un solo senso: la vista. Con tutto ciò che poi ne è conseguito, fino a giungere ad oggi, per dirla con Umberto Eco, al «twitto ergo sum».
Alla fine, visto dove siamo arrivati, era meglio la penna d’oca e la cultura orale? Il dibattito rimane ancora, nonostante tutto, aperto; ma non si può non ringraziare Gutenberg per la grandezza della sua immaginazione, messa però al servizio della realtà.