Religione cattolica: insegnamento ancora vitale con adesione al 90%
"In un contesto come quello italiano - riflette monsignor Galantino -, in cui si raccolgono gravi segnali di malessere, di disagio e di demotivazione tra insegnanti e studenti, questi dati sono sicuramente consolanti e non possono essere taciuti, dandone merito in buona parte agli insegnanti di religione, che in questi trent’anni si sono formati seriamente nelle Facoltà teologiche e negli Istituti superiori di scienze religiose
Non è l’ora dei cattolici e neppure è rimasta confinata in un angolo: «Sebbene all’epoca della firma del nuovo Concordato pochi avrebbero scommesso sulla tenuta di questo insegnamento, che oggi invece mostra di essere ancora vitale, con un tasso di adesione di poco inferiore al 90% nella media nazionale». A osservarlo è la “Quarta indagine nazionale sull’insegnamento della religione cattolica in Italia a trent’anni dalla revisione del Concordato”, edita da Elledici con il titolo “Una disciplina alla prova” a cura di Sergio Cicatelli e Guglielmo Malizia.
L’indagine, presentata lunedì nel Palazzo del Vicariato, a Roma, è stata promossa dall’Istituto di sociologia dell’Università salesiana e da alcuni Uffici Cei (Servizio nazionale per l’Insegnamento della religione cattolica; Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università; Centro studi per la scuola cattolica). Nel corso degli anni il calo è stato contenuto, con situazioni molto differenziate sul territorio nazionale.
Infatti, secondo i dati, a fronte di un Sud che in venti anni è rimasto stabilmente intorno al 98%, c’è un Nord sceso ultimamente fino all’82%; inoltre, mentre le scuole dell’infanzia e del primo ciclo si mantengono ancora intorno al 90% di adesioni, le scuole secondarie di secondo grado scendono sotto l’82%; un ulteriore fattore di differenziazione è poi costituito dall’urbanizzazione, dato che nelle città capoluogo l’Irc è scelto in misura nettamente inferiore rispetto alle scuole di provincia: «Dati che mostrano – riporta lo studio – come ci si trovi di fronte a un panorama variegato, che a seconda del punto di osservazione può suggerire valutazioni negative o rassicuranti».
Per quanto riguarda gli insegnanti, emerge il rifiuto dello stereotipo dell’anziano curato che fa “catechismo” a scuola. Infatti i docenti di religione sono per la stragrande maggioranza laici: il 96% nella scuola statale, il 65,7% in quella cattolica. E se questi ultimi lamentano, tra i punti di debolezza, la persistente confusione con la catechesi (46,3% degli intervistati), gli studenti invece hanno le idee ben chiare e in meno dell’1% dei casi fanno la medesima equazione. Rileva anche questo l’indagine che ha interpellato 2.982 insegnanti (2.279 nelle scuole statali, 703 in quelle cattoliche), osservando che più della metà valuta la propria esperienza professionale pienamente soddisfacente e l’86,9% non intende prendere in considerazione l’ipotesi di abbandonare questo insegnamento.
Tra i punti di forza dell’Insegnamento della religione cattolica (Irc), gli insegnanti di scuola statale individuano soprattutto la capacità di rispondere alle domande di senso degli studenti (67,4%), i rapporti che si creano tra insegnante e studenti (62,0%), la possibilità di affrontare problematiche morali ed esistenziali (61,5%), la promozione del dialogo interreligioso e del confronto interculturale (57,3%).
Per quanto riguarda gli studenti, tra i motivi della scelta di avvalersi dell’Irc prevale l’appartenenza religiosa: «Tuttavia – afferma lo studio – il 91,7% degli insegnanti di scuola statale e il 56,8% di quelli di scuola cattolica dichiarano di avere in classe anche alunni non cattolici».
Tra gli studenti si dichiara cattolico oltre il 90% nella primaria, mentre alle superiori percentuali oscillanti tra il 15 e il 30% sentono di non appartenere ad alcuna religione. Inoltre, il sapere religioso degli studenti che si avvalgono dell’Insegnamento della religione cattolica (Irc) oscilla tra un sapere biblico con buone conoscenze – seppur alternate a lacune talora gravi – e la necessità di riflettere, dati alla mano, sulla solidità di alcuni principi teologici: «L’informazione sui racconti fondamentali della storia biblica – riporta l’indagine – appare buona, con percentuali oscillanti tra l’80 e il 90% nei diversi campioni degli alunni di quarta primaria, i quali sanno che è stato Mosè a guidare gli ebrei nell’uscita dall’Egitto o danno il giusto significato ai racconti della creazione, sanno chi ha battezzato Gesù e che il principale contenuto della sua predicazione era il Regno di Dio, conoscono il contenuto della parabola del padre misericordioso e sanno riconoscere i nomi degli evangelisti. Ancora in prima media circa l’80% sa cosa vuol dire essere profeta e pochi di meno conoscono i motivi della condanna di Gesù».
Buone prove si hanno anche con il sapere etico-antropologico, con le solite prevedibili oscillazioni. Invece, secondo lo studio, più deludenti sono i risultati in campo teologico-dottrinale, a partire da una domanda fatta agli studenti su quale fosse il nucleo centrale della fede cristiana, cui meno della metà ha dato risposta corretta. Deboli pure le competenze storiche e quelle linguistiche, con il termine “cattolica” applicato alla Chiesa interpretato spesso come sinonimo di cristiana, mentre solo quote oscillanti tra il 20 e il 45% nei diversi anni di corso sanno che cattolica vuol dire universale.
Ma al di là dei dati, sono stati i vescovi italiani a ribadire l’importanza dell’insegnamento della religione cattolica: «Se con il primo Concordato – osserva monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei – lo scopo dell’insegnamento religioso era la formazione cristiana degli alunni, oggi l’Insegnamento della religione cattolica mira alla formazione umana degli studenti, una formazione che non può dirsi completa senza essersi interrogata sulla dimensione religiosa della persona».
Galantino ha ricordato che con l’accordo firmato nel 1984 cambiava l’identità dell’insegnamento, che andava a collocarsi nel quadro delle finalità della scuola, mettendosi cioè al servizio di tutta la scuola e dei suoi alunni: «Il Concordato del 1984 – precisa il presule – dice espressamente che la cultura religiosa è un valore e dunque non può essere trascurata dalla scuola, che ha il fine precipuo di trasmettere e alimentare la cultura in tutte le sue dimensioni. D’altra parte, in quell’accordo venne trovata una motivazione solida per attribuire alla religione cattolica il compito di rappresentare la cultura religiosa nella scuola. Solida perché affidata all’oggettività della storia e della cultura italiane, ribadendo che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, ovvero non è possibile comprendere la cultura e la società italiane senza riconoscere nella Chiesa un soggetto che ha segnato in maniera decisiva l’identità collettiva dell’intero Paese. Una motivazione che non può essere messa da parte con superficialità e sotto i colpi di un ideologismo tanto cieco quanto arrogante».
In aggiunta, a detta del segretario generale della Cei, l’Insegnamento della religione cattolica, in questi ultimi trent’anni, ha retto bene alla prova della facoltatività con la soddisfazione di chi, al di qua e al di là della cattedra, si registra a proposito dell’insegnamento della religione cattolica: «In un contesto come quello italiano – riflette monsignor Galantino -, in cui si raccolgono gravi segnali di malessere, di disagio e di demotivazione tra insegnanti e studenti, questi dati sono sicuramente consolanti e non possono essere taciuti, dandone merito in buona parte agli insegnanti di religione, che in questi trent’anni si sono formati seriamente nelle Facoltà teologiche e negli Istituti superiori di scienze religiose».
Anche i percorsi di studio sono stati rinnovati: «Si tratta – conferma il segretario generale Cei Galantino – di percorsi di studio che hanno rinnovato il loro ordinamento richiedendo anche una specifica revisione dell’Intesa nel 2012 e le cui disposizioni andranno a regime proprio fra qualche mese, il 1° settembre 2017. E a volte sarebbe il caso che gli insegnanti di religione ricordino ai colleghi di avere tutti, come minimo, la stessa laurea».
Infine, l’alto prelato ha ribadito come gli insegnanti siano ormai quasi tutti laici: «Persone – ricorda – impegnate a tempo pieno nella scuola, docenti sulla cui competente collaborazione sempre di più la scuola italiana si è appoggiata e che le recenti disposizioni sulla scuola hanno dimenticato – chiosa il segretario generale della Cei, confidando in opportuni rimedi».