La guerra non risparmia neanche gli ospedali: 74 attacchi subiti nel 2016
Attacchi a mercati, a scuole e ai funerali: "Il primo obiettivo - spiega Eminente - è terrorizzare e rendere ancora più disperata la popolazione civile, per conquistare la zona dopo che è stata desertificata. Il secondo è subordinato al primo, le organizzazioni umanitarie danno anche fastidio"
Sono 74 gli attacchi agli ospedali registrati nel 2016, erano stati 75 nel 2015. Le strutture mediche, i pazienti civili e gli operatori sono sempre più a rischio, nonostante la risoluzione 2286 del Consiglio di sicurezza dell’Onu del 3 maggio 2016 abbia chiesto a tutte le parti in conflitto di rispettare il diritto internazionale. Però gli attacchi non si sono fermati.
È questa la situazione che ieri sera ha dato il via al dialogo condotto da Lucia Annunziata a Roma nella sede di Medici senza frontiere (Msf): «Il cambio di passo – denuncia Gabriele Eminente, direttore generale di Msf – è iniziato il 3 ottobre 2015 con il bombardamento dell’ospedale di Msf a Kunduz in Afghanistan, che ha causato 42 vittime tra cui 12 medici e molti bambini. Da allora c’è stata la crescita di queste guerre sporche, che fanno sempre meno distinzioni tra civili e combattenti».
Attacchi a mercati, a scuole e ai funerali: «Il primo obiettivo – spiega Eminente – è terrorizzare e rendere ancora più disperata la popolazione civile, per conquistare la zona dopo che è stata desertificata. Il secondo è subordinato al primo, le organizzazioni umanitarie danno anche fastidio».
Molti attacchi in Siria, ad esempio, erano doppi attacchi: «Prima al mercato e poi all’ospedale – racconta il direttore generale di Medici senza frontiere -, dove venivano portati i feriti. A causa dell’aumento dell’imbarbarimento dei conflitti, abbiamo dovuto adeguare il nostro modo di intervenire. In Siria operiamo indirettamente supportando le strutture locali. Un ospedale non va attaccato. Se facciamo passi indietro su questi principi, andiamo verso il baratro».
E a confermare la denuncia della nota organizzazione non governativa, sono anche i medici che vi collaborano: «Ho sempre detto alla mia famiglia – racconta Elda Baggio, chirurgo di Verona che dal 2010 presta servizio per Medici senza frontiere in molti luoghi di guerra, tra cui lo Yemen – che l’ospedale è un luogo sicuro, perché tutte le parti in causa vengono a curarsi lì. Non glielo posso più dire. Nell’ospedale per feriti di guerra di Aden, nello Yemen, arrivavano anche i ribelli, venivano dalle montagne dopo 10/12 ore di viaggio, molti non ce la facevano per le ferite agli arti inferiori e superiori. Li tenevamo separati dagli avversari. I bombardamenti sono stati tanti, le finestre erano schermate con lastre pesanti. Faceva effetto sentire sparare vicino all’ospedale».