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Somalia e Whatsapp: l’ingegno umano per salvare dalla carestia

La rete di messaggistica di Whatsapp abbinata alla rete tribale del Paese è diventata un'arma potente contro la carestia che sta colpendo la Somalia e il Corno d'Africa. Un'emergenza mondiale di cui la comunità internazionale sembra non curarsi, lasciando tutto all'iniziativa dei volontari religiosi e delle organizzazioni non governative.

Tribù del web e tribù tradizionali si sono alleate, per contrastare la carestia che sta causando la morte di centinaia di migliaia di persone in Somalia. Di fronte all’indifferenza della comunità internazionale, impermeabile anche all’appello del segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, i somali – all’interno del paese e all’estero – si stanno ingegnando alla ricerca di nuovi modi per sostenere la comunità. Il più originale e praticato sembra essere quello che combina i tradizionali rapporti tra tribù con l’utilizzo di Whatsapp. Risorse umane e tecnologiche unite, come prolungamenti di un’unica esigenza dell’uomo: fare rete con i propri simili per vivere.

Come funziona questo modello di fusione tra diverse “reti”? I membri di ogni clan aprono una chat collettiva su Whatsapp, in genere composta da molte persone, poi scelgono in base alle necessità espresse le famiglie che hanno più urgente bisogno di aiuto e, basandosi sul calcolo che ognuna di esse necessita all’incirca di sessanta dollari al mese, versano l’equivalente su un conto bancario della Dahabshiil, la compagnia internazionale per il trasferimento di denaro creata nel 1970 da un imprenditore somalo, e infine inviano sulla chat la foto della ricevuta di avvenuto versamento. A quel punto un comitato di cinque persone preleva i soldi dal conto e compra i beni necessari alle famiglie, di solito riso, latte in polvere e acqua.

«Così facendo siamo sicuri di prenderci cura delle persone del nostro clan, delle quali conosciamo le reali necessità», spiega Jamal Abdi Sarman, somalo, che lavora in una organizzazione umanitaria. I gruppi di Whatsapp somali si sono diffusi velocemente grazie al passaparola – l’antico “tamtam” tribale –, così come accade da quest’altra parte del mondo libera da fame, sete e guerre. Qualcuno aggiunge un altro membro del clan, che aggiunge un altro ancora, e in pochissimo tempo centinaia di persone si ritrovano nel medesimo gruppo. Del network somalo fanno parte anche molti membri già fuoriusciti dal Paese, di cui circa 45.000 residenti nel solo Canada.

Se solo in Somalia ci sarebbero circa 6.2 milioni di persone a rischio carestia – senza cibo, acqua e medicine –, è tutto il Corno d’Africa a morire di fame e sete. Le migrazioni sono continue e vedono migliaia di uomini fuoriuscire dai Paesi di origine in cerca di cibo e soprattutto d’acqua. In sud Sudan alla carestia si aggiunge il conflitto armato: 1.5 milioni di persone sono a rischio, secondo le stime ufficiali, e 100 mila persone stanno morendo di fame. Vivere nei villaggi è diventato pericoloso così si rifugiano nelle paludi e si spostano in canoa, l’unico mezzo a loro disposizione. Il Kenya ha dichiarato lo strato di disastro nazionale: attualmente 2,7 milioni di persone in 23 distretti patiscono la fame, ma la siccità resta l’emergenza principale. Per la Somalia i casi di malnutrizione sono talmente tanti che, se non saranno forniti aiuti con emergenza, la carestia non potrà essere evitata. I bambini non sono numeri, è vero, come del resto gli adulti e gli anziani, eppure la condizione dei più piccoli può dare un’idea terribilmente chiara della portata del disastro: 363 mila minori sono già stati colpiti dalla malnutrizione, e secondo le Nazioni Unite più di 50 mila bambini rischiano di perdere la vita. L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha chiesto alla comunità internazionale lo stanziamento di oltre 850 milioni di dollari per fornire aiuto alle popolazioni che vivono del Corno d’Africa. Si attende ancora, per ora. Unica consolazione sono le migliaia di volontari di organizzazioni non governative –molte italiane, di missionari e religiosi che recano sollievo a queste popolazioni provate attraverso un lavoro quotidiano, costante, silenzioso nella sua dignitosa operosità.

“Rete del web” e “rete di tribù” alleate, modernità e tradizione fuse insieme a testimoniare che la risorsa più grande dell’umanità è solo una: la connessione tra persone, l’interdipendenza creativa delle idee, la volontà di ciascuno e di tutti. Speriamo che la comunità internazionale impari ad usare Whatsapp!