Da Ala Littoria ad Alitalia
La nostra prima compagnia di bandiera nazionale fu l'Ala Littoria. Nacque nel 1934, soprattutto grazie alla capacità degli amministratori di fondere le culture aziendali e di coordinare i diversi sistemi organizzativi che erano alla base delle precedenti gestioni. Oggi dobbiamo assistere alla vendita dell'Alitalia: cos'è che ha portato a questo disastro?
Quando quest’articolo sarà pubblicato, i tre commissari nominati per gestire l’amministrazione straordinaria di Alitalia – Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari – probabilmente avranno già avviato l’ultima fase delle trattative: trovare un potenziale compratore che acquisti «l’intera azienda in un contesto in cui si cerchi di rilanciarla», come ha dichiarato il ministro dello Sviluppo Economico Calenda. Alitalia non ha futuro perché è il suo «modello di business» che non funziona, affermano gli specialisti del settore. Sul mercato internazionale la Compagnia è divenuta pressoché irrilevante. Alitalia non può neppure trasformarsi in una Compagnia low cost, un mercato ormai saturo e poco appetibile. Vendere. Vendere. Vendere. Questa è la strategia scelta dal Governo – pur non essendo propriamente parte in causa, perché la Compagnia non è di proprietà dello Stato – al fine di minimizzare almeno i danni sui conti pubblici. A cosa serve avere una Compagnia aerea nazionale, in fondo, anche qualora riuscissimo a farla rinascere?
E allora facciamo un po’ di storia.
Con l’obiettivo di avere un’unica grande Compagnia che gestisse il trasporto aereo civile in Italia e nelle colonie, il 28 ottobre del 1934, giorno del XII anniversario della Marcia su Roma, nacque la prima compagnia aerea italiana statale, l’Ala Littoria S.A, il cui nome fu suggerito proprio da Benito Mussolini. Questa società di trasporti aerei nacque, con notevole sforzo da parte del regime fascista, cambiando la ragione sociale della SAM (Società Aerea Mediterranea), creata dal sottosegretario all’aereonautica Italo Balbo, ed assorbendo, nel giro di poco tempo, alcune piccole compagnie private che operavano sul territorio nazionale, come SISA, Transadriatica, AeroEspresso e SANA, o nelle nostre colonie, come la Società Nord Africa Aviazione. Un’azzurra rondinella, scelta già dalla SAM, accompagnata ora da un fascio, divenne il “logo” della neonata compagnia di stato.
A questo punto, lo sforzo maggiore che si impose agli amministratori fu quello di fondere le culture aziendali e di coordinare i diversi sistemi organizzativi che erano alla base delle precedenti gestioni. Il compito non fu dei più facili, ma i risultati non tardarono ad arrivare. Oltre al risparmio di ben 12 milioni di Lire per le casse dell’erario, vi fu un notevole potenziamento dell’attività, con un forte incremento dei km di volo che passarono da 1.630. 830 a ben 3.570.905 ed i passeggeri a circa 50.000 l’anno. Oltre alle merci e ai passeggeri, gli aerei dell’Ala Littoria avevano l’importante compito di trasportare la corrispondenza “da” e “per” l’Italia come attestato dalla pubblicità dell’epoca.
Fra le tante linee percorse, quella che allora destò più entusiasmo nel popolo fu la cosiddetta “Linea dell’Impero”, inaugurata nel dicembre 1935, che collegava con ben quattro voli settimanali Roma a Mogadiscio seguendo una rotta di circa 6.370 km. Nel 1937 la Compagnia arrivò a gestire 42 linee regolari. Nel 1938 lo sviluppo continuò senza soste e l’intensa attività pose l’Ala Littoria al primo posto in Africa superando l’Air France. Ormai la prima compagnia di bandiera italiana copriva tutte le linee dell’intera Europea. Il 20 marzo 1938 si sperimentò il primo collegamento tra l’Italia e l’America Latina; nel 1939, con lo scopo di collegare l’Italia e l’Europa con l’America Latina, nacque la Lati (Linee aeree Transcontinentali italiane), in pratica un’affiliazione dell’Ala Littoria, che iniziò il collegamento tra Roma-Siviglia-Rio de Janeiro, per un percorso totale di 10.876 Km.
I principali aerei utilizzati dall’Ala Littoria furono soprattutto l’idrovolante Cant Z.506 “Airone”, i Savoia -Marchetti S.73 e S.75, i Caproni Ca.133 e Ca.148. La flotta poteva contare su idrovolanti e apparecchi terrestri, capaci di trasportare fino a 18 passeggeri alla velocità di 200 km/h. Per le linee internazionali, invece, l’Ala Littoria disponeva di quadrimotori capaci di trasportare fino a 24 passeggeri alla velocità di 300 km/h. Il Siai S.74, un quadrimotore, quasi un Jumbo dell’epoca, disponeva di una lussuosa cabina, un bar e una toilette. Fu costruito in tre soli esemplari e fu il più grande velivolo della Compagnia di bandiera. L’S.73 era un elegante trimotore ad ala bassa a sbalzo e carrello fisso, primo di una famiglia di aeroplani che diventerà tipica dell’aviazione italiana per oltre un ventennio. Fu considerato, ed a ragione, come il più veloce trimotore di linea del mondo, in grado di raggiungere i 340 km/h. La fusoliera era notevolmente capace ed i piloti avevano un cabina chiusa, con doppi comandi affiancati. L’arredamento interno comprendeva 18 posti su due file, con dotazione di toilette, riscaldamento, ossigeno per le alte quote e bagagliai.
Alla vigilia della seconda Guerra Mondiale, l’aviazione italiana era una realtà di tutto rilievo: la flotta dell’Ala Littoria era costituita di 132 apparecchi di vario tipo, tutti di primissima qualità e di produzione nazionale, e di equipaggi con un buon bagaglio tecnico-professionale. Il volume di traffico ci poneva al quinto posto nel mondo dopo Stati Uniti, Unione Sovietica, Germania e Gran Bretagna. Considerate le dimensioni raggiunte, si rese necessario un adeguamento della struttura organizzativa della società, con la creazione di sei Direzioni di rete (Roma Lido, Roma Aeroporto del Littorio, Trieste, Bengasi, Spagna, Addis Abeba) e 3 Scali principali, il più importante dei quali era quello di Tirana, dove faceva capo l’intera rete albanese. Lo sviluppo raggiunto dall’aviazione commerciale italiana, grazie all’ottima capacità organizzativa e gestionale degli amministratori, al valore della flotta aerea e alla preparazione dei piloti e del personale tutto, mutò destinazione solo con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale. Allo scoppio delle ostilità, infatti, lo Stato Maggiore dell’Aeronautica emanò le disposizioni per la militarizzazione dell’aviazione civile, che passò alle dipendenze del Comando Servizi Aerei Speciali (CSAS).
Alla guerra sopravvisse comunque la Lati (Linee aeree Transcontinentali italiane), e, sopratutto, non sembra azzardato sostenere che l’Alitalia stessa nacque dalle ceneri dell’Ala Littoria. Il 16 settembre 1946, infatti, quando venne fondata a Roma con capitali privati la Alitalia-Aereolinee Internazionali Italiane, la Compagnia adottò come simbolo una “freccia alata” che non può non richiamare alla memoria la “rondinella” scelta dall’Ala Littoria. E il 6 luglio dello stesso anno sarà proprio un “erede” dei gloriosi Savoia-Marchetti dell’Ala Littoria – il Savoia-Marchetti S.M 85 “Marco Polo” – ad effettuare il primo collegamento internazionale, da Roma a Oslo.
Se così ebbe inizio la storia di Alitalia, oggi dobbiamo assistere alla vendita della nostra Compagnia aerea nazionale. Cos’è che ha portato a questo disastro? Considerando il breve periodo, tutto questo sembrerebbe l’ultimo atto di una crisi iniziata già nel 2015, quando l’Alitalia, divenuta al 49% di proprietà del socio arabo Etihad Airways Partner, cominciò ad essere gestita dalla lontana città di Abu Dhabi per scelta del management operativo della Società. Da allora la compagnia ha chiuso sempre in rosso, fino a quando nel 2016 le perdite sono state di 600 milioni di euro. Nell’aprile 2017, preso atto del bilancio disastroso, dopo aver tentato un accordo tra sindacati e amministrazione per evitare il fallimento, il Referendum del personale ha bocciato tale accordo con il 67% di “no”. I tre commissari da poco nominati per gestire l’amministrazione straordinaria di Alitalia, ormai è deciso, avvieranno le procedure per la vendita della società entro 15 giorni. I sindacati promettono tutela per i 12 mila dipendenti, ma il trattamento sarà quello riservato a qualsiasi società in fallimento – né più né meno.
Quando questo articolo verrà stampato, ripeto, probabilmente già sarà finito il presente della nostra Compagnia aerea nazionale: quello che spereremmo è che non andasse a pezzi anche la memoria degli anni d’oro della nostra aviazione civile. Quando anche la letteratura riservava una particolare attenzione alle imprese aviatorie italiane, e l’aereo stesso, meravigliosa creatura tecnologica, divenne Musa di quel Movimento Futurista che indicava espressamente, fin dal suo primo Manifesto (1909), tra gli oggetti e le situazioni che i futuristi si proponevano di prendere ad ispirazione della loro arte, «il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta». Quando l’aeroplano era una bandiera nazionale.
Interessante articolo e molto importante per la nostra storia proprio in questo periodo in cui stanno cercando di nasconderla o addirittura cancellarla.