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Lo strano caso del professore di religione francese

Il caso del professore sanzionato in Francia «essere andato troppo oltre nello studio del fenomeno religioso», è occasione per riflettere sulla libertà religiosa nelle società liberali dell'Occidente. La pacificazione politica e sociale tra le religioni non si raggiunge mediante la relativizzazione delle stesse, tanto più mediante la loro banalizzazione.

Guardare fuori dall’Italia può servire a far chiarezza anche su questioni che ci riguardano da vicino. Significa allargare la prospettiva per osservare la realtà con il distacco necessario, senza il quale è facile cadere nei pregiudizi e nelle roccaforti inespugnabili di certi convincimenti viscerali.

Apprendiamo dal giornale francese La Croix che un insegnante de L’Indre – un dipartimento francese della regione del Centro-Valle della Loira – è stato sanzionato, venerdì due giugno, con l’accusa di «essere andato troppo oltre nello studio del fenomeno religioso [du fait religieux]». L’avvocato difensore Jean Raphael Mongis ha comunicato l’intenzione di presentare ricorso contro la sentenza «priva di fondamento e viziata da considerazioni di carattere ideologico». L’insegnante era stato già sospeso alla fine di febbraio, dopo che alcuni genitori avevano inviato una lettera all’ispettore scolastico, con l’accusa di far leggere ai bambini passi della Bibbia [«d’avoir travaillé avec les enfants sur des passages de la Bible»]. Cosa prevedono i programmi scolatici francesi in merito all’insegnamento della religione? Oltre quale «misura» non sarebbe lecito andare?

Per rispondere a questa domanda ci avventuriamo in un territorio impervio quanto lacunoso, perchè gli obiettivi indicati dal Ministero della Pubblica Istruzione sembrano vaghi quanto le indicazioni su come perseguirne il raggiungimento. In linea di principio, dopo gli attacchi terroristici di gennaio 2015, il Ministro della Pubblica Istruzione Najat Vallaud-Belkacem si era detto deciso a rafforzare l’insegnamento della religione ritenendolo utile per promuovere il dialogo interreligioso in una società multiculturale come quella francese. Già nel 2005, il Ministero della Pubblica Istruzione si era espresso sulla necessità di valorizzare l’insegnamento della religione – come apprendiamo da circolare scritta in perfetto “burocratese” laico-francese: «Si dovrebbe, nel rispetto della libertà di coscienza e dei principi di laicità e neutralità del servizio pubblico, introdurre nell’istruzione pubblica la trasmissione di conoscenze e riferimenti sul fenomeno religioso e la sua storia». E allora, se queste sono le dichiarazioni del Ministero, com’è insegnato il «fait religieux» in Francia?

E qui la questione si fa più difficile. I programmi scolastici francesi, per gli ultimi due anni della scuola primaria e il primo anno di college [«cycle 3» qui regroupe le CM1, le CM2 et la 6], prevedono l’insegnamento della religione ma non contemplano ci sia un insegnante adeguatamente qualificato. Lo studio della religione è infatti incluso nei programmi di altri insegnamenti quali quelli di carattere letterario, storico, geografico, artistico. Per gli ultimi due anni della scuola primaria, sull’insegnamento della religione, i programmi raccomandano di studiare «racconti e leggende mitologiche» [des contes et légendes mythologiques]. Nel primo anno del college, leggiamo, gli studenti dovrebbero essere invece in grado di «identificare figure mitologiche e religiose» in un’opera d’arte; oppure essere capaci di realizzare trasposizioni visive, musicali, teatrali, di un testo letterario sia esso: «racconto, favola, poesia, testo religioso o mitologico». Il Ministero raccomanda poi che lo studio dei fatti religiosi, al fine di meglio «distinguere la storia dalla finzione», sia «sistematicamente ancorato nei rispettivi contesti culturali e geopolitici» perché, leggiamo nei programmi, solo in questo contesto gli studenti possono affrontare lo studio delle «storie mitiche e bibliche». Ad esempio, si consiglia di mettere a confronto la lettura di un passo della Genesi con «molte delle grandi storie della creazione di altre culture».

Ricapitoliamo. Il Ministero della Pubblica Istruzione, in Francia, riconosce il valore culturale del fenomeno religiosodu fait religieux –, ossia riconosce la religione come un elemento costitutivo della configurazione spirituale, culturale e morale dell’umanità. Tutte le grandi civiltà portano impressi i segni della sua presenza. Non esiste civiltà che non sia stata interessata dal fenomeno religioso. La religione merita di essere studiata e di avere un posto tra le materie di insegnamento della scuola pubblica: escluderne l’insegnamento è mortificante per la storia del pensiero e per la conoscenza completa delle diverse civiltà. Dopo i gravi fatti terroristici del 2015, il Ministero ha riconosciuto l’insegnamento nella scuola pubblica della religione utile anche al dialogo interreligioso contro ogni forma di radicalismo.

Se il punto di partenza è buono, i programmi ministeriali francesi mostrano evidenti lacune su cui riflettere. Innanzitutto, da un punto di vista metodologico, ci sembra contraddittorio riconoscere il valore di un insegnamento e poi affidarlo ad una pluralità di insegnanti senza competenza specifica. Maggiore perplessità desta vedere come l’insegnamento della religione sia limitato allo studio dei fenomeni religiosi, ossia alle manifestazioni storiche, e, cosa ancor più grave, che la religione sia confusa con la mitologia: la religione contemplata dai programmi ministeriali francesi sembra infatti limitarsi alla «religione naturale», al «Dio dei miti». La religione coinciderebbe solo con le risposte primordiali che l’uomo ha trovato alla propria strutturale ed eterna domanda di senso, al «senso religioso»; sulla «religione naturale» sono appiattite indistintamente e arbitrariamente la religione rivelata, l’Incarnazione, i monoteismi e le religioni orientali. Insomma: per la Francia la religione coinciderebbe solo con la storia delle religioni e, quest’ultima, sarebbe solo una grande “rivisitazione” del «Dio dei miti» nei secoli.

Di fronte ad un’idea così rozza e approssimativa di religione come quella presentata dai programmi scolastici francesi, si avrebbe voglia di rispondere con uguale rozzezza: se è insegnata così, la religione, è meglio non insegnarla soprattutto se si aspira a migliorare il dialogo interreligioso. In un paese come la Francia, caratterizzato dalla coabitazione di credenti appartenenti a religione diversa, evidentemente, andrebbero studiate e prese in considerazione le diverse manifestazioni storiche della religione, ma, queste, non dovrebbero certo essere ridotte a delle varianti della «religione naturale» per la semplice ragione che non lo sono. Tutte le religioni sono degne di essere prese in considerazione, certo, ma non tutte le religioni sono uguali – è una falsità e un’ipocrisia insegnarlo – tanto meno sono tutte «storie mitiche». La pacificazione politica e sociale tra le religioni non si raggiunge mediante la relativizzazione delle stesse, tanto più mediante la loro banalizzazione. Che senso ha studiare le manifestazioni storiche della religione, se non si studia prima l’essenza della religione? Se non si risponde prima alla domanda: “che cos’è la religione?”, che senso ha studiarne le manifestazioni storiche mescolandole tutte indistintamente nel gran calderone dei “racconti” e delle “storie”. Che senso ha studiare le religioni senza ricercarne e insegnarne l’essenza, tanto più evitando di confrontarsi sulla pretesa di verità che ognuna di esse avanza? Ogni religione offre una verità perché esprime una propria visione della vita, dell’uomo, della felicità, della morte, del bene e del male: le diverse religioni danno risposte diverse, a volte anche contraddittorie, alle domande di senso dell’uomo e, quindi, non sono tutte uguali tra di loro né vogliono esserlo.

Non salveremo le nostre società pluraliste e globalizzate percorrendo la via del relativismo. Il relativismo ammette la pretesa di verità di tutte le religioni, e quindi di qualsiasi concezione della divinità, anche quella più assurda, e ugualmente anche di qualsiasi pratica religiosa, anche la più crudele. Non ci salveremo neppure banalizzando la religione, perché solo il pregiudizio da molti secoli tenta di negare, invano, che la domanda religiosa è in ogni uomo per quanto le risposte siano diverse – compresa quella che esclude “Dio” e idolatra “IO”.

Nelle scuole, ripartiamo dallo studio dell’essenza della religione e confrontiamoci sulla pretesa di verità di ognuna. Solo allora, le religioni, si mostreranno per quello che sono: diverse ma non uguali. Ci auguriamo che il professore francese non incorra in alcuna sanzione per aver tenuto lezioni «sulla Bibbia, con riferimenti espliciti alla religione cattolica». Si può insegnare la religione, forse, senza riferirsi anche all’una o all’altra? Sicuramente non sarà il relativismo e la banalizzazione della religione a garantire la libertà religiosa nello Stato laico, tanto più a realizzare nelle società liberali dell’Occidente la pacificazione tra le religioni. La Francia insegna, l’Italia impàri.