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“Oltre 357 milioni di bambini vivono in zone colpite dalla guerra”

"Stiamo assistendo - commenta Daniela Fatarella, vice direttore generale di Save the children Italia - a un aumento scioccante del numero di bambini cresciuti nelle aree colpite da conflitti e alla loro esposizione a forme di violenza immaginabili. I bambini stanno subendo sofferenze che non dovrebbero mai vivere sulla propria pelle, dagli stupri all’essere utilizzati come kamikaze"

Emerge dal rapporto “Guerra ai bambini”, curato da Save the children e lanciato in collaborazione con il Peace Research Institute di Oslo

Un neonato salvato dalla macerie lasciate dai bombardamenti

«Più di 357 milioni di bambini – 1 su 6 al mondo – vivono attualmente in zone colpite dai conflitti, un numero cresciuto di oltre il 75% rispetto all’inizio degli anni ’90, quando i minori in tali contesti erano 200 milioni. Circa 165 milioni– quasi la metà del totale – si trovano in aree caratterizzate da guerre ad alta intensità, costretti a fare i conti con sofferenze inimmaginabili».

Questa la denuncia del nuovo rapporto di Save the Children “Guerra ai bambini”, lanciato in collaborazione con il Peace Research Institute di Oslo: «La Siria – evidenzia il rapporto – è il Paese in cui è più difficile vivere per i bambini che si trovano in aree di conflitto, come testimoniato dall’ennesimo attacco che in queste ore si sta svolgendo nell’area di Ghouta, dove stanno perdendo la vita centinaia di civili, tra cui molti bambini. Bambini e bambine che vengono uccisi, mutilati, rapiti, stuprati, che vedono le loro scuole e le loro case distrutte dai bombardamenti, che vengono reclutati forzatamente nei gruppi e nelle forze armate e che sono tagliati fuori dall’educazione e dall’accesso a cure mediche».

Secondo l’organizzazione, la crescente urbanizzazione delle guerre, l’utilizzo di armi esplosive in aree popolate e la natura più complessa e protratta dei conflitti moderni, che hanno messo civili e in particolare i bambini in prima linea, rappresentano le cause principali del peggioramento delle condizioni dei bambini nei conflitti: «In particolare – spiegano gli attivisti -, vengono utilizzate tattiche sempre più brutali per colpire i più piccoli, come i bombardamenti diretti alle scuole o sugli ospedali, o l’utilizzo sempre più intenso di bombe a grappolo, a barile o ordigni esplosivi improvvisati, che vedono i bambini essere le prime vittime».

In base al rapporto Siria, Afghanistan e Somalia si trovano in cima alla classifica dei 10 Paesi segnati dalla guerra, dove è più difficile essere bambini e dove le conseguenze sulla loro vita sono ancora più gravi: «A seguire – precisano i dati – Yemen, Nigeria, Sud Sudan, Iraq, Repubblica Democratica del Congo, Sudan e Repubblica Centrafricana, mentre Medio Oriente e Africa risultano le macro-regioni che registrano i tassi più alti al mondo di minori che vivono in aree colpite da conflitti (più di 1 su 3 – 39% – nella regione mediorientale, 2 su 5 – 21% – nel Continente africano)».

Gli effetti di tutto sono stati resi noti dall’Onu che ha certificato come, dal 2010, i casi verificati di bambini uccisi e mutilati sono aumentati di quasi il 300%: «Un incremento particolarmente significativo – sottolinea Save the children -, dovuto anche al fatto che negli ultimi anni i minori sono sempre più diventati un bersaglio intenzionale, per infliggere un forte danno emozionale alle comunità o estirpare alla radice le future generazioni appartenenti a un determinato gruppo etnico o religioso».

In particolare, il rapporto ha reso noto come tra il 2005 e il 2016 oltre 73.000 bambini sono stati uccisi o hanno subito mutilazioni nell’ambito di 25 conflitti, con oltre 10.000 casi registrati nel solo 2016. E ancora: «Quasi 50.000 minori – denuncia il rapporto – sono stati forzatamente reclutati nei gruppi o nelle forze armate tra il 2005 e il 2016. Bambini e bambine, in alcuni casi con meno di 8 anni di età, costretti a combattere mettendo gravemente a rischio la propria vita, a trasportare pesanti provviste e forniture militari, spesso anche a uccidere o a compiere gravi atti di violenze e, nel caso delle ragazze, a diventare le mogli e le compagne di soldati e combattenti».

Daniela Fatarella, vice direttore Save the children Italia

Una situazione dai contorni sempre più gravi: «Stiamo assistendo – commenta Daniela Fatarella, vice direttore generale di Save the children Italia – a un aumento scioccante del numero di bambini cresciuti nelle aree colpite da conflitti e alla loro esposizione a forme di violenza immaginabili. I bambini stanno subendo sofferenze che non dovrebbero mai vivere sulla propria pelle, dagli stupri all’essere utilizzati come kamikaze. Le loro case, scuole e campi da gioco sono diventati veri e propri campi di battaglia. Crimini come questi rappresentano abusi intollerabili e sono una flagrante violazione del diritto internazionale. I leader mondiali, devono fare di più per assicurare alla giustizia i responsabili di questi abusi. L’incapacità di proteggere i bambini nei conflitti, infatti, non soltanto ha come conseguenza quella di negare il futuro agli stessi minori, ma anche ai loro Paesi. Occorre fare una scelta decisa. Vogliamo continuare a guardare mentre altri bambini muoiono sui banchi di scuola o nei letti d’ospedale, non ricevono aiuti salvavita e vengono reclutati nei gruppi armati? Oppure decideremo finalmente di affrontare la cultura dell’impunità e mettere fine una volta per tutte alla guerra ai bambini?».

Geer Cappelaere, direttore regionale Unicef Medio Oriente e Nord Africa

E una dura presa di posizione è arrivata anche dall’Unicef: «Nessuna parola – denuncia Geert Cappelaere, direttore regionale dell’Unicef per il Medio Oriente e il Nord Africa, in una nota diffusa dopo le notizie di uccisioni di massa tra i bambini nella zona orientale di Ghouta e Damasco – renderà giustizia ai bambini uccisi, alle loro madri, ai loro padri e ai loro cari». Si parla di circa 250 civili, di cui 57 bambini o adolescenti, uccisi a partire da domenica. Per l’Unicef non ci sono più le parole: «Per descrivere la sofferenza dei bambini – conclude l’organizzazione umanitaria – e la nostra indignazione».

About Davide De Amicis (4573 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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