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Abitare se stessi: “La condizione da cui nasce la qualità della vita umana”

"Solo proporzionalmente allo sviluppo di questa vita interiore - sottolinea Enzo Bianchi -, avremo la possibilità di costruire la propria personalità, di trovare senso, significato alla vita, di giungere a una soggettività responsabile e autonoma, di arrivare a salvare la propria vita"

Lo ha affermato giovedì 3 maggio Enzo Bianchi, fondatore della Comunità di Bose, che nel Santuario della Divina misericordia ha pronunciato la Lectio divina di Pasqua

Fratel Enzo Bianchi, fondatore della Comunità monastica di Bose, durante il suo intervento

«La chiamata alla santità appartiene a tutti, perché l’immagine di Dio è presente in ogni persona. Santità che potremmo chiamare cammino di umanizzazione, in cui ognuno diventa veramente se stesso e in questa operazione si innesta la grazia, l’amore di Dio sempre gratuito e mai meritato». Con queste parole, giovedì 3 maggio scorso presso il Santuario della Divina misericordia di Pescara, il fondatore della Comunità monastica di Bose Enzo Bianchi ha introdotto il tema della Lectio divina del tempo di Pasqua dal tema “Abitare secum”, ovvero abitare se stessi, invitato dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti.

Un’introduzione che ha preso spunto dal modello di santità quotidiana, indicata dall’ultima esortazione apostolica di Papa Francesco Gaudete et exsultate: «Abitare secum – spiega il religioso – è un’espressione che risale ai primi secoli cristiani, ma che troviamo già nel mondo greco secondo il quale l’uomo aveva in sé anche una dimensione di profondità e interiorità. Una vita che noi sovente chiamiamo vita spirituale, ma che non va opposta alla vita materiale concreta del nostro corpo e alla vita nella storia in mezzo agli uomini. Abitare con se stessi, oppure l’altra espressione vita interiore, così come vita spirituale, è una dimensione dell’esperienza umana in quanto tale, ma nella quale non diciamo il senso della nostra vita. Ognuno di noi sa che è venuto al mondo, è cresciuto, si è umanizzato ponendo delle domande, dei perché, a quelli che lo precedevano nel mondo».

La vita interiore, l’abitare secum, nasce dunque così: «Ad un certo punto – osserva Bianchi – si diventa consapevoli che noi uomini abbiamo bisogno di una vita interiore, dovendo combattere quell’omologazione dell’intimo a cui tendono tutte le società conformiste e, soprattutto, quella nella quale siamo noi oggi immersi. C’è vita interiore quando uno non si lascia vivere, quando non permette agli altri di decidere e pensare per lui, quando non ci si accontenta di certezze già confezionate, ma ci si apre delle domande e si è disposti e si è disposti, anche a fatica, a tentare di dare una risposta personale. Una vera vita umana deve avvenire nella comunicazione con gli altri, ma non deve essere mai debitrice di comunicazioni prefabbricate che gli altri trovano o dicono per noi. Ognuno è chiamato a vivere in sé, abitando se stesso, un cammino di vita interiore per trovare senso alla vita. Insomma, senza vita interiore, senza abitare se stessi, non si ha nessun cammino di umanizzazione. E solo proporzionalmente allo sviluppo di questa vita interiore, avremo la possibilità di costruire la propria personalità, di trovare senso, significato alla vita, di giungere a una soggettività responsabile e autonoma, di arrivare a salvare la propria vita».

E tutti quelli che hanno fatto un’esperienza di vita interiore profonda e durevole, la descrivono come un viaggio, un itinerario, un cammino o un pellegrinaggio: «È questo un simbolismo – sottolinea il monaco – che si adatta molto per spiegare quello che accade dentro di noi. Perché nel cammino, nella via del pellegrinaggio, voi tutti sapete che ci sono degli indizi, poi c’è un camminare, a volte ci sono delle regressioni, a volte si trovano ostacoli. La nostra vita è un viaggio, è un peregrinare. Certo, nel simbolismo spirituale, questa vita interiore sembra un salire, un andare verso l’alto. Altre volte, e in certe spiritualità si ha il coraggio di dirlo, sembra una discesa profonda. Noi umani sentiamo dentro il nostro cuore un invito, una voce segreta che ci chiama ad uscire da noi stessi, ad abbandonare ciò che stiamo vivendo per intraprendere una strada. C’è una strada da percorrere».

Un po’ come, biblicamente, accadde ad Abramo chiamato ad uscire verso la terra promessa: «Un grande padre della Chiesa, Gregorio di Nissa – riporta Enzo Bianchi – diceva che la nostra vita umana è come il cammino di Abramo e che, rileggendo la vita di Abramo, ognuno di noi dovrebbe leggere la strada nella sua vita. Però nessuna illusione, il viaggio, il cammino non è mai assicurato e non si presenta sempre come un avanzare sicuro verso la meta. Nel cammino ci sono contraddizioni, a volte ci sono degli avanzamenti insperati e, alcune volte, delle cadute inaspettate, dei fallimenti. E questo cammino è contrassegnato dall’esperienza di una vita psicologica, affettiva, ma anche da una dimensione più profonda, quella spirituale».

E una vita interiore nasce sempre dal porsi delle domande: «È questa una delle esperienze decisive della nostra vita – osserva il fondatore della Comunità monastica di Bose -. Noi sovente pensiamo che siano decisive le risposte, ma attenzione, non sempre ci sono delle risposte e anche in questo noi cristiani siamo male abituati da tutta una tradizione, che aveva delle risposte prefabbricate, ce le dava e stavamo tranquilli. No, nella vita del cristiano e di chi ha fede ci sono degli enigmi, ci sono delle domande senza risposta. Ve ne faccio qualcuna Da dove viene il male? La Bibbia non ce lo dice, la fede neanche. Siamo testimoni che c’è il male nel mondo, nella storia, che il male è una potenza alla quale noi, qualche volta o spesso, siamo soggiogati. Ma chi ci ha introdotto il male nel mondo? Non lo sappiamo. Perché il dolore, perché la morte? È un altro enigma, non lo sappiamo. Questo solo per dirvi che non per tutte le domande ci sono risposte, ma ciò che contraddistingue la vita degli uomini da quella degli animali è che noi ci poniamo delle domande. Da dove veniamo? Dove andiamo? Chi sono gli altri per noi? Ci sarà una vittoria di qualcuno o di qualcosa sulla morte? E se nel mondo c’è tanta sofferenza, ci sarà una parola che giungerà a consolarla? Queste sono domande essenziali che accompagnano l’uomo di ogni cultura, di ogni secolo e di ogni terra. Ci facciamo delle domande e basterebbe ascoltare i giovani, invece di parlare sempre noi come siamo abituati».

Da qui un monito: «Impariamo ad ascoltare – esorta Bianchi – e vedremo che sono soprattutto abitati da domande quali “Che senso ha una storia d’amore? Posso sperare in una storia d’amore? Posso credere che c’è qualcosa di più forte della morte? C’è qualcosa che può dare senso e significato alla mia vita?”. Queste sono le domande che abitano tutti. Ecco, vedete, la vita interiore, abitare con se stessi, significa questo ed è un’operazione essenziale, decisiva, per cui poi possiamo abitare la città in mezzo agli uomini».

Ma prima c’è un lavoro che dobbiamo fare per abitare con noi stessi: «Che inizia – illustra il monaco – con una grammatica semplice di conoscenza di noi stessi. Conoscenza come processo psicologico, conoscere se stessi nell’appartenenza alla comunità, conoscere se stessi là dove noi siamo, ma per un giusto giudizio. E in questo cammino, in questo lavoro, ci è difficile distinguere lo psicologico dallo spirituale che non vanno mai confusi. Sono due aspetti che non possiamo scindere, ma che non possiamo confondere perché il conoscere se stessi come operazione psicologica è certamente necessario, ma il Cristianesimo ci permette anche un’altra conoscenza dovuta alla grazia, alla potenza di Dio e alla forza della fede, la quale dà una dimensione più profonda alla nostra vita interiore».

Quest’ultima appartiene ad ogni uomo: «Cristiani o non cristiani – precisa Bianchi – , credenti o no, tutti sono capaci di una vita interiore se acconsentono a questo cammino. Certo, c’è chi lo rifiuta. Sono le persone superficiali che non vanno in profondità, non sanno raggiungere il loro cuore e, se volete, non sanno abitare se stessi».

Una problematica che vale ancor di più guardando alla vita dei millenials, coloro nati intorno all’anno duemila che stanno approdando alla giovinezza: «Per loro – puntualizza Enzo Bianchi – è uno dei problemi più decisivi. E a dirvelo non sono io, ma dei sociologi come Bauman. Dicono “Attenzione, il grande pericolo per le nuove generazioni è l’esproprio della vita interiore”. Questo non per dare delle colpe a loro, ma eventualmente per risvegliare la responsabilità di quelli che li hanno fatti venire al mondo, dei genitori essendo venuto il tempo che si che cosa hanno trasmesso. Io vi dico che mi sento affaticato dal fatto che si continua a parlare male dei giovani, i quali sono il frutto della generazione che adesso ha 40-50 anni. Non si addossino colpe ai giovani, si chiedano i genitori cos’hanno trasmesso non tanto in termini di trasmissione della fede, la rottura è avvenuta qui, ma a livello di umanità».

Le conseguenze di tutto ciò appaiono evidenti: «C’è una cattura dell’interiorità – accusa il monaco laico – ,  un esproprio e si finisce per attestare che alla fine ogni uomo è un’isola. Non abita con gli altri, non comunica con gli altri e non ha il tempo di porsi delle domande nel difficile mestiere di vivere che esige una risposta». Da qui una precisazione importante sull’abitare con se stessi: «Non è – ammonisce Enzo Bianchi – una bella formula spirituale romantica, ma è la condizione per cui vivere una vita con consapevolezza da cui nasce la responsabilità, dalla quale nasce la qualità della vita umana».

Il Santuario della Divina misericordia gremito dai fedeli

Da questa premessa, il fondatore della Comunità di Bose ha elaborato un piccolo vademecum per vivere in pienezza la propria interiorità: «Per abitare con se stessi – raccomanda -, bisogna essere assolutamente capaci di solitudine, di silenzio e di libertà. La solitudine, voi lo sapete, può essere molto cattiva come quella che avvolge gli anziani e i giovani, ma c’è una dimensione di solitudine che si deve imparare, che non è una condizione predominante della vita, ma che è quel momento in cui si abita con se stessi. È necessaria non la solitudine cattiva dell’isolamento, ma una dimensione in cui uno si dà del tempo per pensare, in cui uno combatte le distrazioni. E accanto a questo capire che un silenzio, non mortifero in cui le voci vanno assolutamente ascoltate ma su di loro si fa discernimento e quindi le si dominano. Proprio dalla solitudine e dal silenzio, nasce la libertà di ciascuno di noi. Libertà di non essere assolutamente allineati a quello che impone la maggioranza, a quelli che impongono messaggi più forti che sono quelli che ci tolgono la soggettività per mancanza di libertà. Ecco, nell’abitare secum, ci sono queste condizioni che sono assolutamente necessarie. Sono il momento per cui noi possiamo respirare la vita interiore. Questo è un itinerario per tutti. Ognuno lo farà con dei mezzi diversi dagli altri, avendo tutti facoltà diverse e doni diversi, ma può essere fatto da tutti».

Del resto, anche i non credenti parlando di vita spirituale e allora in cosa si differenzia quella vissuta dai cristiani?: «In questa vita interiore umana – spiega Bianchi -, per noi cristiani è possibile – in modo consapevole – l’inserimento dello Spirito Santo. C’è una frase di San Paolo apostolo che mi sembra molto chiara, senza fuorvianti tragitti teologici difficili. Paolo dice “È lo Spirito che si unisce al nostro spirito”. C’è come un innesto dello Spirito Santo, il quale entra nel cristiano, illumina tutte le facoltà, le sostiene, le rafforza e gli dà una particolare luce. Certo, la libertà dello Spirito Santo è fare questo anche su non cristiani, ma nello spazio della comunità cristiana questo è ciò che attraversa il Battesimo, attraverso i doni dello Spirito, diventa un respirare lo Spirito Santo ogni giorno. Nulla della vita interiore è escluso, ma in quella vita interiore lo Spirito Santo dà la possibilità di una spiritualità, di una vita interiore cristiana, di un abitare con se stessi, ma in un’atmosfera che è quella della vita dello Spirito Santo».

Dunque, una forma di vita interiore umana è la vita spirituale cristiana: «Quella vissuta dai cristiani in comunione con Gesù Cristo – aggiunge il religioso -, che i cristiani confessano come il loro Signore, come colui che salva la loro vita. I cristiani credono che la loro vita spirituale abbia una specificità, ma con questo non vogliono affermare che la vita interiore umana sia esclusa dall’esperienza della fede. Solo una persona capace di vita interiore umana è capace di accogliere una vita spirituale cristiana, ma non viceversa. Ai giovani, sovente, dico una frase che può scandalizzare “Meglio un giovane che pensa anche se non prega, di un giovane che prega ma non sa pensare”. Ricordatevelo, perché solo se uno sa pensare prega con profondità e consapevolezza. Uno può anche fare tanti esercizi religiosi, ma se non sa pensare tutto questo resta molto sterile in lui».

Ma la vita spirituale cristiana, fondata sul riconoscimento dell’amore di Dio che ci precede e che non va meritato, trascende la vita interiore umana: «Perché in essa – ribadisce Enzo Bianchi – si innesta la forza dello Spirito Santo. E questa forza è tale che può irrompere nella vita di una persona, se questa persona è disponibile». Ma la persona in questione può essere anche piena di peccato: «Nel  Cristianesimo – ricorda il monaco – l’innesto della grazia, che è lo Spirito Santo secondo la formula del Concilio di Trento, può avvenire anche in una vita che deve saper il dono di Dio, ma che a volte è una vita piena di peccato».

Il riferimento biblico va al ladrone che, sulla croce nonostante fosse un delinquente, chiede e ottiene da Gesù di ricordarsi di lui quando saranno nel Regno dei cieli. Alla domanda di come ciò sia possibile, Sant’Agostino ha immaginato una risposta da parte del ladrone: «“Gesù mi ha guardato – riporta il fondatore della Comunità di Bose  – e il suo sguardo mi è bastato”. Vedete come vita interiore non significa subito vita etica, vita morale, per cui anche in un peccatore come il ladrone è possibile che la grazia arrivi e in quel momento gli cambi la vita, salvandolo rispetto agli altri».

Avviandosi alla conclusione, il monaco ha poi individuato le tappe da affrontare all’interno della vita interiore: «La prima – afferma – è la necessità della conversione, quando arriva un momento della nostra vita interiore in cui capiamo che dobbiamo prendere un orientamento, dobbiamo uscire dalla strada dettata semplicemente dalla mondanità. C’è un momento in cui bisogna certamente cambiare strada, uscendo dal potere degli idoli – che sono una falsità antropologica – per tornare a Dio. La conversione è una dinamica continua. Guai a chi pensa che sia qualcosa che appartenga al passato, perché significherebbe che si è talmente abituati ad essere fuori strada, da non capire più la strada che si percorre».

La seconda tappa all’interno della vita interiore è poi la sequela: «Quando uno – evidenzia Fratel Enzo Bianchi – nella sua vita interiore ha fatto il passo della conversione, deve poi seguire semplicemente Gesù Cristo così come i Vangeli ci descrivono che Lui ha vissuto. Dalla scoperta delle sequela, noi verifichiamo come la vita umana di Gesù alla quale ci vogliamo confermare, sia stata una vita buona segnata dall’amore, ma sia stata anche una vita bella segnata dalla bellezza e beata perché piena di senso. Una vita che meritava di essere vissuta».

Infine, il noto monaco laico ha dato l’esito di quello che il cammino di vita interiore: «In Occidente, soprattutto nel mondo cattolico – denota – si è parlato di una tale comunione con Cristo, per cui Lui abita in noi e noi abitiamo in Cristo. Questo è il linguaggio di San Paolo apostolo, e di tutta la tradizione cattolica. Attraverso la sequela, l’imitazione di Cristo, giungere ad una comunione per cui possiamo dire “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. O secondo un’espressione cara a una padre della Chiesa, Ireneo da Lione, “Io e Cristo viviamo insieme”».

Al termine della Lectio divina, Bianchi ha quindi rivolto un invito alla comunità ecclesiale pescarese, prendendo spunto da quanto fatto da Papa Francesco nell’esortazione apostolica Gaudete et exsultate: «Che ciascuno – conclude – trovi un po’ di tempo, pochi minuti nella solitudine e nel silenzio per porsi le domande che possono darvi la forza di vivere ogni giorno e trovare, soprattutto all’interno della Parola di Dio, quel senso che vi dà la possibilità di una vita buona, bella e beata come l’ha fatta Gesù Cristo».

About Davide De Amicis (4378 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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