Appunti dal passato sulla scuola del futuro
Da quella macchina all'idroscalo di Ostia appunti per una scuola migliore.
Due novembre, 1975.
Il corpo è lì, disteso sulla sabbia; la macchina nella quale poco prima era seduto conserva le tracce della sua storia, del suo essere poeta, intellettuale ma anche insegnante; tra i segni di questa sua “alt(r)a vocazione”… i libri, e tra questi, un numero della rivista cultuale e politica Il Politecnico, fondata da Elio Vittorini. Il segnalibro è su un articolo in particolare, scritto da un professore: Concetto Marchesi. Quasi fosse un’ultima volontà, un ultimo appello, di colui che è stato uno dei massimi profeti (ovviamente inascoltato) dell’abbruttimento sociale del nuovo millennio …
Le oramai quasi quotidiane tragedie che vedono protagonisti gli adolescenti mostrano chiaramente quanto sia oggi necessario una vera e propria renovatio dell’istituzione scolastica; se la povera Desirée Mariottini, ad esempio, vittima di una violenza inenarrabile, non avesse abbandonato la scuola forse si sarebbe potuta salvare. O quantomeno, non avremmo oggi il dubbio che la scuola avrebbe potuto contribuire alla sua salvezza.
Al di là di ogni facile retorica è oramai un atto imprescindibile e improcrastinabile ripensare la scuola e provare a cambiarla, ma meno scontato sarebbe farlo partendo anche da quanto di buono (ce n’è tanto …) è stato scritto e detto da studiosi, professori e intellettuali – anche del passato- i quali hanno profetizzato già da tempo gli esiti a cui oggi siamo arrivati.
Nel numero 6 de Il Politecnico del novembre del 1945 (quello nella macchina del poeta), c’è un articolo di Concetto Marchesi, quello in cui il poeta ha lasciato il segnalibro e di cui si parlava sopra; Marchesi è stato professore di latino nei licei e poi di filologia classica all’ Università di Padova.
Questo suo pezzo potrebbe entrare a pieno diritto tra le fonti a cui guardare per provare a cambiare la scuola; il pezzo ha un titolo che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni: Nella scuola, la nostra salvezza.
Marchesi delinea con molta lucidità la fase che in quei tempi si trova a vivere e l’ obiettivo primario dell’Italia post-bellica: la caduta del fascismo deve determinare una ricostruzione della società basata sulla scuola, che definisce «presidio della nazione» e che: «dovrà essere nello stesso tempo educatrice e severa selezionatrice dei valori individuali […] affidata più che ai programmi agli insegnanti, i quali devono a loro volta essere educati e selezionati». In queste righe sono due i temi che Marchesi propone chiaramente e che dovrebbero essere posti all’ attenzione dei governanti odierni: il valore del percorso scolastico come mezzo di orientamento utile allo studente
per scoprire le proprie inclinazioni; e poi la formazione degli insegnanti, i quali non devono solo essere valutati sulla base di meri titoli d’accesso, ma anche “educati” al ruolo nobile che sono chiamati a svolgere.
Un altro tema messo sul piatto dal grande latinista catanese è l avanzamento della tecnica rispetto al sapere umanistico: «Ricordo che la crisi profonda della nostra scuola, soprattutto universitaria, è cominciata da quando il predominio e il fascino della tecnica moderna ha sovrapposto i fini della utilità a quelli della scienza, i valori materiali a quelli del pensiero, i progressi tecnici a quelli spirituali, ciò che serve per la prepotenza dell’uomo a ciò che serve per la sua elevazione. Sulla base della utilità e della ricerca interessata si impedisce o si arresta il processo della intima formazione individuale». Quanto di quello che dice Marchesi è ancora valido nell’epoca della didattica per competenze e della scuola-azienda?
Bisognerà allora ripartire dalla persona umana e dalla sua dimensione interiore che sole possono indicare la strada giusta ai ragazzi perché, come dice Massimo Recalcati: o la scuola è in grado di riaccendere il desiderio o è morta. E magari, finalmente, si concretizzerà ciò che Marchesi dice in chiusura del suo articolo e che magari stuzzicava il poeta disteso sulla sabbia, che : «Di là [dalla scuola, ndr.] uscirà la generazione che darà l’Italia agli italiani».