“La santità è vivere alla sequela del Signore, cercando il suo volto”
"La santità - approfondisce monsignor Valentinetti - non è aver acquisito una volta per sempre una certezza, ma aver acquisito la possibilità e la comprensione che possa essere ferito, ma non rimarrò ferito per sempre, non rimarrò ferito illimitatamente. Se sarò capace di rimettermi in cammino e con la grazia sarò capace di salire il monte del Signore, poter stare nel suo luogo santo, sapere che realmente possa avere mani innocenti e cuore puro, allora sì, il cammino si farà bello, faticoso, gioioso, incespicante, ma sempre quel cammino che porterà a comprendere che siamo fin da ora figli di Dio"
Che cos’è la santità? A questa domanda ha risposto ieri sera l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, celebrando la Santa messa della solennità di Ognissanti nella chiesa del Cristo Re a Pescara colli: «Il cammino di santità – esordisce il presule – è un cammino di continua ricerca o, se volete, è un cammino dove si deve accettare che la stessa santità possa essere ferita».
Un concetto che, durante l’omelia, monsignor Valentinetti ha approfondito partendo dall’analisi della prima lettura, tratta dal libro dell’Apocalisse: «Non è facile – osserva – ascoltare la profezia di questo libro e mi sorgono nel cuore tante domande. Chi sono questi 144 mila segnati provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele? È sicuramente un numero simbolico, 12 mila, 12 mila e 12 mila per le 12 tribù d’Israele. Ma poi cos’era questa moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua? Ed era una visione paradisiaca, perché si parla di una lode continua in un canto senza termine di angeli che stanno intorno al trono e di anziani esseri viventi che s’inchinano con la faccia a terra dicendo “Amen, lode, gloria, sapienza, azioni di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli, amen”. E poi la mia, la nostra domanda è la stessa del libro dell’Apocalisse perché “Uno degli anziani si rivolse a me e disse, questi che sono vestiti di bianco chi sono e da dove vengono?”. L’enigma resta per noi così come all’interno del testo. La risposta è “Sono quelli che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello”. Sono quelli che nella vita hanno vissuto costantemente in tensione per seguire l’Agnello, tanto da arrivare a lavare le loro vesti nel suo sangue».
Che non significa necessariamente vivere l’esperienza cruenta del martirio: «No – conferma l’arcivescovo di Pescara-Penne –, è chi ha avuto il coraggio della sequela, è chi ha avuto il coraggio di star dietro al Signore, è chi ha avuto il coraggio di capire che doveva scoprire nella sua esistenza una logica di santità, perché doveva seguire il Signore».
Insomma, scoprire la logica di santità come sottolineato da un versetto del salmo responsoriale “Ecco non la generazione che ha trovato il Signore, ma che cerca il tuo volto o Signore. Egli otterrà benedizioni dal Signore, giustizie da Dio sua salvezza. Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe”: «Non una generazione che l’ha trovato – ribadisce l’arcivescovo Valentinetti -, ma che lo cerca perché il cammino di santità non è un cammino di staticità, non è un cammino dove abbiamo capito già tutto, dove abbiamo trovato acquiescenza e assuefazione. Siamo tutti santi? Assolutamente no. Ecco perché hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello, non tanto per rinunce e sacrifici, ma per l’accettazione anche di una ferita, di un tradimento, per aver capito che la santità non è scontata, non è una regola morale, non è fatta di certezze immediate, non è raggiungibile perché abbiamo delle regole, per aver capito che la santità è cercare il volto del Signore dovunque debba essere cercato e trovato».
Ma tutto questo, a detta del presule, probabilmente, contraddice qualche canone a cui siamo abituati a pensare relativamente ai santi: «Perché i santi – osserva monsignor Tommaso Valentinetti -, fino ad oggi, ci vengono sempre presentati come dei santini. Avete presente i santini con i santi dal collo torto? – ironizza – La santità non è quella, ma è la vita, è la storia, è la quotidianità, è la realtà di una comprensione di crescere e diminuire, di cadere e rialzarsi. La santità non è aver acquisito una volta per sempre una certezza, ma aver acquisito la possibilità e la comprensione che possa essere ferito, ma non rimarrò ferito per sempre, non rimarrò ferito illimitatamente. Se sarò capace di rimettermi in cammino e con la grazia sarò capace di salire il monte del Signore, poter stare nel suo luogo santo, sapere che realmente possa avere mani innocenti e cuore puro, allora sì, il cammino si farà bello, faticoso, gioioso, incespicante, ma sempre quel cammino che porterà a comprendere che siamo fin da ora figli di Dio».
Ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato: «E ciò che saremo sarà – precisa il presule -, perché saremo simili a Lui e lo vedremo così come Egli è. Ma per nostro merito, per le nostre capacità, per le nostre “santità”? No, no. Per la sua infinita misericordia! Solo e solamente per la sua infinita misericordia raccoglierà con molta pazienza, e con molta dolcezza, i brandelli della nostra vita, li metterà insieme e mettendoli insieme li trasformerà nel grande vestito della festa nuziale, quando sì, saremo ammessi per la nostra ferialità e per la nostra capacità di entrare dentro questa dinamica a quel banchetto eterno delle nozze dell’Agnello, di cui ha parlato il libro dell’Apocalisse».
La strada qual è?: «È quella delle beatitudini – ricorda l’arcivescovo Valentinetti -. Ma siamo sicuri che abbiamo capito sempre e accettato che è meglio essere poveri che essere ricchi? Abbiamo capito sempre che è meglio stare nel pianto? Abbiamo capito sempre che è sempre meglio essere miti? Abbiamo capito sempre che è meglio avere fame e sete della giustizia? Abbiamo capito sempre che dobbiamo essere misericordiosi, puri di cuore, operatori di pace, o perseguitati per la giustizia o insultati? L’abbiamo capito sempre tutto questo? Ma l’hanno capito già tutti i santi, sempre, dal primo momento che sono andati in paradiso? No fratelli, il risultato della santità è una sequela, il risultato della santità è continuare a stare dietro di Lui e non avere paura di niente. Il risultato della santità è ridire sempre “Il tuo volto Signore io cerco. Mostrami il tuo volto e in quel volto ci specchieremo”. E solo perché ci potremo specchiare, in quel volto saremo santi».
E a proposito di santità, monsignor Valentinetti, non ha mancato di ricordare la figura di San Nunzio Sulprizio, canonizzato lo scorso 14 ottobre da Papa Francesco, in onore del quale domenica 11 novembre, alle 10.30, presiederà una messa di ringraziamento al Santuario di Pescosansonesco: «Chiediamo al Signore – auspica il presule – che ci faccia santi, facendoci sperimentare non tanto la staticità della santità, quanto il cammino della santità».