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“Dalla croce Gesù porta a sé i dolori del mondo, trasformandoli in gloria”

"La gente – conostata don Emilio Lonzi, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano - ha pregato per pregare. Noi siamo contentissimi, perché tutti hanno partecipato per pregare, per entrare in questa dimensione di dolore che Gesù trasforma in manifestazione d'amore, per donare a tutti una grande speranza. La speranza che ogni dolore, ogni situazione negativa può essere superata e, superandola, ci si ritrova dal salto nel buio ad una luce piena, ad una luce eterna"

Lo ha ricordato ieri l’arcivescovo Valentinetti, nell’Adorazione della croce che ha preceduto la Via Crucis del Venerdì santo a Pescara

L'arcivescovo Valentinetti conclude la Via Crucis in piazza Salotto a Pescara
Le effigi del Cristo morto e della Madonna trasportate

In un clima di raccoglimento e preghiera, nel silenzio quasi surreale di piazza Sacro Cuore, Corso Umberto e piazza Salotto di solito invase dal caos dello struscio, dello shopping e della movida, si è svolta la prima intensa, suggestiva e meditativa Via Crucis del Venerdì santo a Pescara. Un appuntamento, animato dal Coro diocesano diretto da Roberta Fioravanti, fortemente voluto dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, che ha curato le meditazioni della traccia elaborata dall’Ufficio liturgico diocesano, per rispondere da un lato alla richiesta di Papa Francesco di dar vita ad una preghiera più intensa per la pace, ma anche per restituire la giusta sobrietà, partecipazione e meditazione al giorno in cui la Chiesa ricorda la Passione di Cristo. E così, all’imbrunire, il corteo solenne aperto dalle effigi del Cristo morto e della Madonna trasportate dai guardiani d’onore e dai Vigili del fuoco, attraverso le quattordici stazioni, si è via via avvicinato fino a raccogliersi davanti al palco di piazza Salotto dominato dalla grande luce a led dalla quale si sprigionava un’intensa luce bianca: dall’abolizione della pena di morte al ricordo della sofferenza a causa della guerra e della pandemia, alla schiavitù del denaro passando per la distruzione del creato e la depressione. Questi i mali del nostro tempo ricordati dal presule stazione dopo stazione.

L’arcivescovo Valentinetti prega all’undicesima stazione (Foto Massimiliano Spiriticchio)

A conclusione del percorso, prima di impartire la benedizione finale, il presule ha voluto riproporre il messaggio di Fratel Enzo Bianchi, fondatore della Comunità monastica di Bose («Un profeta del nostro tempo», ricorda l’arcivescovo), pubblicato lo scorso lunedì 3 aprile dal quotidiano “La Repubblica” e intitolato “La Pasqua delle domande”: “Ogni anno – legge monsignor Valentinetti -, nella cosiddetta Settimana santa, si ripetono riti, parole e gesti in tutte le chiese cristiane, scandendo il susseguirsi dei giorni sugli eventi che sono iscritti nella passione e morte di Gesù di Nazareth. È questa una vera singolarità cristiana, quella di ripetere e tentare di rivivere ciò che ha vissuto Gesù nell’andare verso la propria morte. Gesti che, purtroppo, molto spesso, sono entrati a far parte del folklore fino ad attirare turisti, curiosi e, forse, non credenti. Nel cristianesimo si è sentito questo bisogno, che si è realizzato tra imitazione e sequela. Si imita Gesù che entra trionfalmente nella città santa Gerusalemme. Agitando palme e rami di ulivo e invocando la venuta del Regno di Davide, si celebra una cena, come ha fatto Gesù per dire addio ai suoi discepoli, donando loro nel pane spezzato e nel calice del vino condiviso i segni della sua vita, spesa nell’amore per gli umani fino all’estremo. Si fanno processionalmente cammini della croce, che vogliono ricordare i tormenti subiti da Gesù: la sua caduta, gli incontri da Lui fatti fino alla crocifissione. Infine, si venera la croce, non un patibolo, non uno strumento orribile di esecuzione, ma uno strumento di glorificazione dove Gesù è innalzato e glorificato fino ad attirare lo sguardo di tutti verso di Lui. Tentativo di immedesimazione? Necessario coinvolgimento dei corpi dei credenti nella memoria della passione? Esperienza di lutto e di tenebra da iscriversi nella fede? I cristiani vivono ancora la Settimana Santa così e da questa fatica dovrebbero, coerentemente con l’intenzione dei Vangeli, arrivare a farsi domande sul perché il giusto diventa vittima dei malvagi fino ad essere perseguitato, odiato ed eliminato. Dovrebbero chiedersi perché la violenza prevale dove c’è umiltà, debolezza, mitezza, solidarietà con tutti gli altri, in un atteggiamento che si vuole mai contro gli altri, mai senza gli altri, ma a favore degli altri. Chi è cristiano, come può non sentirsi ferito dal fatto che Gesù viene rigettato proprio dal potere religioso e legittimo, dall’autorità legittima del suo popolo santo?! Questo conflitto tra Vangelo e religione, che permane ancora oggi, non ci interroga? Sono forse certe sfavillanti e trionfali liturgie, più da corti imperiali che da piccolo gregge, che accecano e non permettono di vedere? Per secoli, per non farci queste domande, siamo stati. Abbiamo scaricato la colpa dell’assassinio di Gesù sui giudei, chiamati “perfidi e deicidi”, oggetto in nei tempi passati, in questa Settimana Santa, delle invettive come giuste vendette. Ma siamo doppiamente ciechi se non comprendiamo il dramma che si rinnova ancora oggi, nella storia e nel mondo in cui siamo coinvolti. La vittima è sempre il giusto, il povero che è senza diritti, chi viene chiamato in modi diversi, fuggiasco, migrante, vittima della guerra, esule, oppure semplicemente una persona che usa sentirsi responsabile di chi ha più bisogno di lui. La Settimana Santa, dopo tutta una vita nella quale la celebriamo con fedeltà e fervore, ci pone ancora questi problemi e ci obbliga a ripercorrere questo cammino di sofferenza, perché veneriamo, contempliamo, piangiamo Gesù, arrestato, torturato, condannato a morte dal potere religioso, grazie anche al potere politico, crocifisso e morto. Non è follia questa? Ma nella misura in cui i cristiani credono che Gesù è risorto, per avere tanto amato, allora la croce non è una follia, ma diventa speranza per tutti”.

Monsignor Valentinetti pronuncia l’omelia (Foto Massimiliano Spiriticchio)

L’innovativo e suggestivo momento della Via Crucis è stato anticipato dalla liturgia eucaristica dell’Adorazione della croce, sempre presieduta dall’arcivescovo di Pescara-Penne, che si è svolta – come da tradizione -, nel Santuario della Divina Misericordia attraverso la lettura della Passione di Cristo tratta dal Vangelo secondo Giovanni. Nell’omelia, monsignor Tommaso Valentinetti ha voluto sottolineare, innanzitutto, la differenza che intercorre tra la narrazione della Passione ascoltata nella Domenica delle Palme, dell’evangelista Matteo, e invece la narrazione di ieri dell’evangelista Giovanni: «Molto più completa, molto più complessa – denota il presule -, dove emergono alcuni elementi che brevemente mi piace sottolineare. Innanzitutto, Gesù viene condannato per un accordo tra il potere politico, l’imperatore romano rappresentato da Ponzio Pilato, e il potere religioso, il sommo sacerdote Caifa, il suocero Anna, il Sinedrio. Forse non era sopportabile per il popolo d’Israele, per la religione israelitica, che qualcuno potesse manifestare una potenza tale da poter essere identificato come il Messia, o ancora come il Figlio di Dio. Così come non era assolutamente sopportabile che qualcuno potesse dichiararsi re dei giudei. Ecco allora l’accordo tra il potere politico e il potere religioso: “Deve morire. È la parola di Caifa, “Ma non capite che è meglio che muoia un uomo solo, più che tutto il popolo perisca?” Ma lo svolgersi nel cammino della Passione non ha la drammaticità che abbiamo ascoltato nel Vangelo di Matteo. Ha piuttosto i tratti caratteristici di una consegna. Gesù si consegna nell’orto dei ulivi, Gesù si consegna nelle mani di questo potere politico e religioso, Gesù si consegna e consegna. Si consegna perché il Padre per questo lo aveva mandato, per disigillare il giardino del primo peccato. Notate, Giovanni dice che la tomba di Gesù è in giardino. Il primo peccato comincia nel giardino dell’Eden, la soluzione di tutti i peccati avviene in un giardino, nella Risurrezione, che contempleremo a Pasqua. Dunque, si consegna per questo motivo e celebra la sua morte, la celebra in maniera gloriosa. La croce diventa non uno strumento di patibolo, come nei vangeli sinottici (i Vangeli di Matteo, Marco e Luca in quanto accomunati da diverse somiglianze), ma un segno di gloria. E da quella croce, Gesù emette lo spirito. Da quella croce Gesù affida i suoi discepoli alla Madre, da quella croce continua ad attirare a sé tutta l’umanità e continua a portare a sé tutti i dolori e tutte le morti del mondo, per nasconderli dentro quella tomba e da quella tomba, alla fine dei tempi, tutto trasformare in gloria e in paradiso. È questa la nostra speranza ed è questa la nostra fede. Fra poco, adorando la croce, non adoreremo il segno della morte del patibolo, ma adoreremo il segno della gloria, amen».

Le autorità e i tanti partecipanti alla Via Crucis

Al termine di questa giornata così intensa, intrisa di dolore, preghiera e speranza per tutti i credenti, culminata con la Via Crucis, è emerso un dato di fatto incoraggiante: «La gente – conostata don Emilio Lonzi, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano – ha pregato per pregare. Noi siamo contentissimi, perché tutti hanno partecipato per pregare, per entrare in questa dimensione di dolore che Gesù trasforma in manifestazione d’amore, per donare a tutti una grande speranza. La speranza che ogni dolore, ogni situazione negativa può essere superata e, superandola, ci si ritrova dal salto nel buio ad una luce piena, ad una luce eterna».

About Davide De Amicis (4360 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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