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Politica: “Fatta su contratto è distrutta, ma la gente ignorante non l’ha capito”

"Per recuperare il concetto di sviluppo umano integrale - sottolinea Zamagni -, bisogna dunque combattere ed eliminare l'individualismo libertario, la politica asservita agli interessi e la seconda secolarizzazione in atto: «Cambiando il nostro sguardo – continua l’economista -, le nostre mappe cognitive, abituandoci ad andare controcorrente"

Lo ha denunciato l’economista Stefano Zamagni, inaugurando l’anno accademico 2018-2019 dell’Istituto Toniolo di Pescara

Stefano Zamagni, presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali

«Nel momento in cui la politica è fondata su di un contratto la politica è distrutta, però la gente in Italia è talmente ignorante che non l’ha capito». Lo ha affermato martedì Stefano Zamagni, docente di Economia politica all’Università di Bologna, nella prolusione dal tema “Lo sviluppo umano integrale: un’economia a servizio della Comunità”, tenuta all’Auditorium Petruzzi di Pescara in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 2018/2019 dell’Istituto superiore di Scienze religiose “Giuseppe Toniolo”, collegato alla Pontificia Università Lateranense.

L’accademico ha condotto il suo approfondimento partendo da colui che per primo ha concepito il concetto di sviluppo umano integrale: «È stato Paolo VI – esordisce Zamagni – nella sua enciclica Populorum progressio del 1967, aprendo la fase della post-modernità e una nuova fase  nella Dottrina sociale della Chiesa, che tra l’altro ha iniziato il suo percorso nel quarto secolo con i padri della Chiesa e non con la Rerum Novarum di Leone XIII come si pensa. Un’enciclica contestata, la Populorum progressio, perché in piena epoca di divisione tra Est ed Ovest prese, invece, in esame quella tra Nord e Sud del mondo. Nella lingua latina mettere la lettera “s” davanti ad una parola vuol dire esprimere una negazione, così la parola “s-viluppo” vuol dire letteralmente togliere i viluppi, ovvero le catene come lo sono quelle della fame e dell’ignoranza. Del resto, ama lo sviluppo chi ama la libertà e il concetto di sviluppo è tipico della matrice culturale cristiana. Se uno non parte dal principio della libertà come antropologica dell’essere umano, non arriverà a capire il concetto di sviluppo».

Alcuni studenti dell’Istituto Toniolo

Un concetto, quest’ultimo, che a detta dello studioso viene erroneamente assimilato a quello di crescita: «Una colpa dei docenti e degli economisti – accusa -, che continuano ad insegnare cose sbagliate. La crescita non c’entra niente con lo sviluppo, essendo solo una delle tre dimensioni dello sviluppo umano integrale (che fa riferimento agli attributi quantitativi). Le altre due sono la componente socio-relazionale e quella spirituale. Sviluppo umano integrale, vuol dire che queste tre dimensioni sono legate fra loro da una relazione di tipo moltiplicativo, dove non può accadere che una delle tre dimensioni venga sacrificata. Ma qual è oggi l’indicatore sintetico che esprime la dimensione della crescita? Il Prodotto interno lordo (Pil). Così le persone si fanno idee sbagliate, perché pensano che svilupparsi voglia dire esclusivamente crescere. E, dunque, per aumentare il Pil si sacrificano le altre due dimensioni. Aver dimenticato e non aver fatto tesoro del concetto di sviluppo umano integrale, fa sì innanzitutto che nel Paese la classe politica abbia dimenticato che la relazione tra le tre dimensioni debba essere moltiplicativa. E allora si sacrifica la famiglia per aumentare il Pil, ma se per aumentare la produttività delle imprese tratto in maniera disumana le persone che ci lavorano, cioè non tengo conto della dimensione relazionale, il Pil aumenta, ma la condizione di benessere diminuisce. Ecco un punto fondamentale del magistero di Papa Francesco, che chiede uno sviluppo umano integrale dove le tre dimensioni vengano tenute in maniera armonica. Una politica che voglia essere saggia, dovrebbe essere di questo tipo, cosa che non avviene perché abbiamo un gruppo che punta su di un elemento solo, non essendo in armonia con gli altri».

Così la classe politica ha dimenticato il concetto di sviluppo umano integrale, generando tre paradossi: «Il primo – denuncia Stefano Zamagni – è che nella nostra società ci sono ancora tante sacche di fame e povertà e, in contemporanea, c’è un’abbondanza di cibo che viene buttato via (l’Italia è il Paese europeo che spreca e butta più cibo) o, ancora peggio, di obesità. Oggi gli obesi (1.800.000) sono il doppio di coloro che soffrono la fame (850 mila). Dunque la fame è uno scandalo perché coloro che muoiono di fame, potrebbero non morirne».

Il secondo paradosso è la distruzione sistematica dell’ambiente: «C’è il problema dei cambiamenti climatici – sottolinea l’economista romagnolo – con l’aumento dell’anidride carbonica (CO2) e soprattutto del tetrafluorometano (CF4), che a differenza del CO2 non viene assorbito dagli alberi, ma anche delle plastiche che vanno a finire in mare. Pensando solo sulla crescita, aumentando il Pil, ci si è dimenticati che la natura pone un limite perché le risorse naturali non sono infinite, ma anche se lo fossero ci sarebbe la presenza dell’uomo ad inquinare l’ambiente con i suoi consumi. Qui si crea il paradosso, perché una volta il livello di crescita era basso e non c’era la distruzione ambientale. Oggi le Nazioni unite dicono che se non si interverrà in maniera forte nel 2050 qualcosa accadrà, perché non c’è bisogno di essere esperti per capire che con i cambiamenti climatici ci sarà l’innalzamento del livello dell’acqua dei mari e popolazioni rivierasche, come la vostra, dovranno emigrare, divenendo migranti ambientali o ecologici. Questo in Bangladesh e in India sta già accadendo. Poi la gente emigra, viene da noi e ci dà fastidio, ma la maggior parte delle persone lo fanno perché sono costrette. A questo contribuisce anche il fenomeno dell’accaparramento delle terre in Africa o nei Paesi latinoamericani, dove da 20 anni a questa parte alcuni Paesi o multinazionali stipulano contratti a 99 anni con i governanti locali i quali, ricevendo il pagamento di un affitto, concedono loro la coltivazione dei terreni. Questo ha fatto sì che un terzo dell’Africa sub-sahariana non sia più degli africani, perché i terreni vengono affidati alla gestione di multinazionali o di Paesi, come la Cina, che adottando un’agricoltura ad alta tecnologia spazzano via quella tradizionale degli africani. Quindi, molti di loro arrivano qui perché sono migranti forzati».

E poi c’è il terzo paradosso, quello della felicità: «Scoperto dall’economista americano Richard Easterlin nel 1974 – spiega Stefano Zamagni -. Lui, correlando il reddito pro-capite degli americani e l’indice sintetico della felicità, aveva scoperto che i due parametri sono collegati da una parabola, una linea curva prima ascendente e poi discendente. Secondo questa se il reddito pro-capite è basso, l’indice della felicità è basso. Se invece il primo aumenta aumenterà anche il secondo, fino alla soglia di reddito pro-capite calcolata allora in 24 mila dollari annui (oggi corrispondente a 36 mila dollari pro-capite). Andando oltre questa cifra, lo studioso americano aveva scoperto che l’indice della felicità diminuisce. Insomma, come aveva già anticipato Aristotele, non è vero che avendo più soldi si è più felici. Una scoperta importante, in quanto mentre degli altri parametri si può fare a meno, nessuna persona umana dirà di non voler essere felice. È civile una società che fa alzare il Pil  e abbassare la felicità, che ti riempie lo stomaco rendendoti, però, sempre più triste e infelice? Questo ci fa comprendere la differenza tra l’utilità, che è la proprietà di relazione tra la persona e la cosa, e la felicità che è la proprietà di relazione tra una persona ed un’altra persona. Ognuno di noi per essere felice ha bisogno di essere riconosciuto e di riconoscere. Secondo l’indice sintetico della felicità, il ranking delle nazioni più felici stilato dall’Onu, l’Italia è scesa al trentesimo posto. Qui il tasso dei suicidi è aumentato e le coppie separate o divorziate hanno raggiunto il 40%. In un contesto del genere non c’è uno sviluppo umano integrale».

La sede dell’Istituto superiore di Scienze religiose “Toniolo” di Pescara

Quest’ultimo invece può realizzarsi solo combattendo ed eliminando tre criticità che consentirebbero di superare i tre paradossi. La prima è la cultura dell’individualismo libertario: «L’individualismo in sé – osserva il docente di Economia politica – nasce con la Rivoluzione francese nella seconda metà del ‘700, mettendo la persona al centro della società come fa anche la Dottrina sociale della Chiesa, mettendo al centro la persona umana. Il problema è sorto invece quando l’individualismo si è sposato con il libertarismo, circa 40 anni fa, dando origine all’individualismo libertario. Il libertarismo è una corrente di pensiero filosofica, secondo cui la mia identità profonda dipende da quello che voglio e se io voglio essere in un modo, la società deve concedermelo. Per l’individualismo libertario è dunque vietato educare. Oggi per i genitori e gli insegnanti è impossibile educare figli e allievi, perché se facessero sul serio potrebbero essere denunciati e finire in galera, com’è accaduto l’anno scorso quando il Tribunale di Pisa ha condannato due genitori a sei mesi di carcere con la condizionale, dopo essere stati denunciati dal figlio che, a suo dire, veniva costretto ad andare al catechismo per la cresima. Anche a scuola, fino al liceo, gli insegnanti non possono educare perché se un bambino lo riferisce a casa, i genitori potrebbero fare scattare la denuncia. L’argomento è che oggi la scuola non deve educare, ma deve istruire. Infatti i docenti si definiscono insegnanti, mentre dovrebbero definirsi maestri. Ma se istruire vuol dire fornire delle nozioni, educare (dal latino educere, ovvero tirar fuori) vuol dire un qualcosa di estremamente diverso. Ecco perché se si tira fuori la figura del maestro dall’ambito scolastico, i risultati sono quelli che sono e poi ci si lamenta se gli studenti picchiano i professori. Basta che questi facciano un passo in direzione di un progetto educativo che scatta la ribellione, perché il professore deve insegnare la storia, la matematica e la geografia, non i valori. Questo accade nelle scuole statali e non in quelle non statali che, non a caso, vengono attaccate, in quanto i genitori in grado di mandarci i figli permetteranno loro di ricevere una progetto educativo. Ecco l’individualismo libertario, che si può combattere facendo vedere che esso porta alla solitudine e, quindi, all’infelicità. E siccome nessuno vuole essere infelice, questa è una leva potente».

Il secondo nemico da combattere, secondo lo studioso, è la politica che ha smesso di essere tale: «Divenendo – accusa Zamagni – una mera gestione di interessi, mentre dovrebbe tornare alle origini, essendo nata per gestire i conflitti tra persone e gruppi a favore del bene comune. Ma negli ultimi decenni la politica ha smesso di parlare il linguaggio dei valori e del bene comune, per parlare solo di interessi. Siamo arrivati al punto da farla diventare un contratto, che è un concetto legato al diritto privato, ma nel momento in cui la politica è fondata su di un contratto, essa viene distrutta. Ma gli italiani sono talmente ignoranti da non averlo capito e la colpa è di chi, avendo avuto la responsabilità di educare ed acculturare, non lo ha fatto. Perché se la politica diventa una gestione di interessi, si riduce ad uno scambio di mercato».

Il terzo ed ultimo nemico da abbattere è la seconda secolarizzazione: «La prima – ricorda Zamagni – è quella avvenuta all’inizio del secolo scorso, che ha affermato nella nostra società il principio di laicità. Un concetto nato in chiave cristiana, quando Gesù ha detto “Date e a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. La distinzione tra i piani è così nata 2 mila anni fa con il cristianesimo e le altre religioni non affermano questo principio. Dunque, la prima secolarizzazione è nata secondo il concetto in base al quale la Cosa pubblica va governata come se Dio non esistesse. Lo stato laico non può fare leggi a partire dall’assunto che tutti debbano credere a Dio, sarebbe una violazione del principio di libertà. La seconda secolarizzazione, invece, è iniziata 40 anni fa basandosi sul principio che bisogna comportarsi come se la comunità non esistesse e da qui, l’individualismo libertario. Non possiamo più basare l’insegnamento, l’azione sociale e politica sull’idea di comunità. Una parola che viene usata ugualmente, ma in maniera impropria. Con la seconda secolarizzazione, ognuno deve comportarsi come se la comunità non esistesse partendo dalla famiglie e dalla parrocchia. In tal senso va inquadrata anche la crisi vocazionale, perché una vocazione religiosa non può essere fondata sul principio che la comunità non deve esistere».

Per recuperare il concetto di sviluppo umano integrale, bisogna dunque combattere ed eliminare questi tre nemici: «Cambiando il nostro sguardo – continua l’economista -, le nostre mappe cognitive, abituandoci ad andare controcorrente. Se continueremo ad essere vittime dell’ondata dominante, è ovvio che quello che ho descritto non potrà mai essere rimediato e i tre paradossi non potranno essere superati. Ma dei segnali positivi non mancano, a partire dalle conclusioni del Sinodo dei giovani».

In conclusione, Stefano Zamagni ha lanciato un messaggio di speranza, citando la massima del poeta indiano Tagore “Quando il sole tramonta non piangere, perché le lacrime ti impedirebbero di vedere le stelle”: «Noi oggi – conclude lo studioso – viviamo una stagione di profonda trasformazione, con problemi di varia natura, ma non dobbiamo indulgere al pianto perché, altrimenti, nelle notti di sereno non vedremo il luccichio delle stelle che, anche di questi tempi, è possibile vedere».

Padre Roberto Di Paolo, direttore Istituto Toniolo

Una presenza, quella dell’economista romagnolo, fortemente voluta dall’Istituto superiore di Scienze religiose Toniolo: «Da tempo sentivamo necessaria la presenza di un’economista – conferma il direttore, Padre Roberto Di Paolo -, perché quello dello sviluppo umano integrale è un argomento che sentiamo molto molto forte. Infatti, nell’area metropolitana Chieti-Pescara siamo circondati da banche e centri commerciali, senza vedere un orizzonte di valori in questo panorama che ci attanaglia».

Quanto al numero degli studenti iscritti al primo anno, per conseguire dapprima il baccellierato in Scienze religiose (laurea breve) e la successiva licenza in Scienze religiose (laurea specialistica), questo è aumentato di 11 unità rispetto allo scorso anno: «Quest’anno – annuncia Di Paolo – abbiamo 15 nuovi studenti, che si aggiungono a 20 studenti uditori e agli altri studenti iscritti, per un totale di 150 studenti. Anche l’età media degli iscritti si è abbassata».

Del resto, la speranza dei candidati è quella di ottenere un pronto impiego in qualità di insegnanti di religione: «L’approccio accademico-scientifico alla studio della teologia è complesso – conferma il direttore dell’Istituto Toniolo -, ma porta i suoi frutti».

Mons. Tommaso Valentinetti, moderatore dell’Istituto Toniolo e arcivescovo di Pescara-Penne

Al termine della prolusione è stato il moderatore dell’Istituto superiore di Scienze religiose Toniolo, l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, ad aprire ufficialmente il nuovo anno accademico: «Alcuni impegni mi mantengono fuori diocesi – precisa il presule in un video -, ma comunque sono con voi a godere, gioire ed esultare non solo per la prolusione del professor Zamagni, non solo per quanto ci dice di un impegno nel cammino del servizio sociale, nella realtà del bene comune. Ma anche perché la riflessione teologica, la riflessione filosofica, delle scienze umane possa essere realmente messa al servizio della comunità, perché possa elevarsi culturalmente dato che più si eleva culturalmente, più seriamente si riesce a comprendere la logica di un servizio reciproco e la logica del bene comune. Auguri carissimi, studenti, un grazie grande ai docenti, al preside e al segretario che si adoperano instancabilmente per il bene dell’istituto. Auguri a tutti voi che siete stati presenti ad ascoltare le parole della prolusione, ma anche a godere con noi per questo cammino progressivo dell’istituto, che ci consola e ci dà tante soddisfazioni».

About Davide De Amicis (4378 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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