Covid-19: “Non basta un approccio gestionale, serve fraternità globale”
"Non possiamo limitarci a discutere il prezzo delle mascherine o la data di riapertura delle scuole - lamenta monsignor Vincenzo Paglia -. Dovremo cogliere l’occasione per trovare il coraggio di discutere condizioni migliori per orientare il mercato e l’educazione"
Si intitola “L’Humana Communitas nell’era della Pandemia. Riflessioni inattuali sulla rinascita della vita” il secondo documento, il primo è del 30 marzo 2020, che la Pontificia Accademia per la Vita dedica alle conseguenze della crisi sanitaria mondiale e alla sua interpretazione: «Ancora non abbiamo dato sufficiente attenzione, soprattutto a livello globale, all’interdipendenza umana e alla vulnerabilità comune – denuncia il testo -. Il virus non riconosce le frontiere, ma i Paesi hanno sigillato i propri confini. A differenza di altri disastri, la pandemia non ha colpito tutti i Paesi allo stesso momento. Sebbene questo avrebbe potuto offrire l’opportunità di imparare dalle esperienze e dalle politiche di altri Paesi, il processo di apprendimento a livello globale è stato minimo. Addirittura, alcuni Paesi si sono, a volte, impegnati in un gioco cinico di reciproca accusa».
Secondo l’organismo vaticano, la crisi ha messo in evidenza le possibilità ed i limiti dei modelli focalizzati sull’assistenza ospedaliera: «Certamente, in tutti i Paesi – si legge nel testo -, il bene comune della salute pubblica deve essere bilanciato in rapporto agli interessi economici» e le case di cura e gli anziani sono stati duramente colpiti. «Discussioni etiche sull’allocazione delle risorse – aggiunge il documento – si sono soprattutto basate su considerazioni utilitaristiche, senza prestare attenzione alle persone più vulnerabili ed esposte a più gravi rischi. Nella maggioranza dei Paesi, il ruolo dei medici di base è stato ignorato, mentre per molti, sono il primo punto di contatto con il sistema assistenziale. Il risultato è stato un aumento di decessi e di disabilità provocate da cause diverse dal Covid-19».
Quindi, secondo la Pontificia Accademia per la Vita, la risposta che occorre dare alla pandemia di Coronavirus Covid-19, non può ridursi sul piano organizzativo-gestionale: serve una “conversione” che includa ed elabori esistenzialmente e socialmente l’esperienza di perdita, come parte costitutiva della condizione umana. Solo così, per l’organismo pontificio, sarà possibile un coinvolgimento della coscienza e una conversione che ci permettano di sentirci responsabilmente solidali in una fraternità globale: «In un momento in cui la vita sembra sospesa e siamo colpiti dalla morte di persone care e dalla perdita di punti di riferimento per la nostra società – osserva monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, in un’intervista pubblicata sul sito del dicastero vaticano -, non possiamo limitarci a discutere il prezzo delle mascherine o la data di riapertura delle scuole. Dovremo cogliere l’occasione per trovare il coraggio di discutere condizioni migliori per orientare il mercato e l’educazione. La pandemia ha mostrato la fragilità, delle persone e delle società. È una crisi globale che tocca Nord e Sud del mondo e gli scienziati non hanno ancora risposte sicure».
La verità, secondo l’altro prelato, non risiederebbe nella comparsa di un virus sconosciuto: «Si sarebbe infatti potuto circoscriverlo e sconfiggerlo localmente, limitando decisamente il danno – afferma monsignor Paglia -. Il fatto inedito è la velocità e l’ampiezza con cui si è propagato attraverso la rete delle relazioni e dei trasporti. Nuovo è anche il ruolo dei mezzi di informazione, che hanno deciso come doveva diffondersi la consapevolezza della crisi. Si è giustamente parlato di “infodemia”. La novità quindi è la strana mescolanza di conformismo e di confusione indotti dalle reazioni alla rappresentazione del pericolo nell’epoca delle società “iperconnesse”, che sono però anche “iper-individualistiche».
In questo punto emerge la debolezza della comunità: «La quale – aggiunge il presidente della Pontificia Accademia per la Vita -, dovrebbe offrirci assicurazione di sostegno e protezione nel pericolo, ci lascia esposti alle nostre incertezze e alle nostre vulnerabilità. Anche nelle società economicamente più benestanti, la pandemia ha sopraffatto l’efficienza delle strutture sanitarie e dei laboratori. È stato difficile prendere coscienza del fallimento della nostra efficienza e riconoscere il nostro limite». Inoltre, monsignor Vincenzo Paglia ha avanzato anche una proposta, per impedire lo sfruttamento commerciale dei vaccini ed evitare disparità nei trattamenti sanitari che: «Devono essere trasparenti e condivisi – ribadisce Paglia -, in modo che anche i benefici possano essere equamente distribuiti».
Quindi monsignor Paglia si espresso anche sul tema della sanità pubblica: «Occorre equilibrare meglio le risorse investite nella prevenzione delle malattie e quelle dedicate alla cura – sollecita -. Questo significa puntare non solo sugli ospedali, ma anche sulle reti territoriali, sia per l’assistenza, sia per la l’educazione sanitaria».
Nell’intervista, il presidente dell’organismo pontificio si è espresso anche in riferimento al ruolo da ipotizzare per le organizzazioni internazionali in un mondo post Covid-19: «È indispensabile – propone – un’organizzazione che possa essere sostenuta da tutti e che coordini le operazioni nella diverse fasi di monitoraggio, di contenimento e di trattamento delle malattie e che consenta una circolazione avvertita delle informazioni. In questo contesto, l’Oms appare indispensabile, anche se certamente ha avuto delle défaillances. Dobbiamo imparare dagli errori e migliorare il suo funzionamento».