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“Impariamo da San Cetteo ad essere responsabili gli uni gli altri”

"Rendo grazie al Signore – premette il cardinale -, con voi e per voi, per questa bella realtà ecclesiale così vivace e feconda che, sotto la guida del suo pastore e con l’apporto di molteplici carismi ed energie, annuncia e testimonia il Vangelo in questo angolo dell’Abruzzo e continua ad offrire ragioni a tutti per vivere e sperare. Oggi nuovamente l’affidiamo all’intercessione del suo patrono San Cetteo"

Lo ha affermato sabato il segretario di Stato Vaticano Parolin presiedendo, in Cattedrale a Pescara, la messa per il patrono San Cetteo

Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, fa ingresso nella Cattedrale di San Cetteo

È stata una visita intensa e ricca di spunti quella compiuta sabato a Pescara dal segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, in occasione delle celebrazioni del Santo patrono del capoluogo adriatico e dell’Arcidiocesi di Pescara-Penne San Cetteo vescovo e martire. Una visita che il porporato ha compiuto, accompagnato dall’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, presso le tante opere segno che negli ultimi anni sono sorte in città offrendo preziosi servizi alla comunità pescarese.

Il cardinale Pietro Parolin ospite a Radio Speranza

La prima tappa ha visto il cardinale Parolin conoscere il Tribunale ecclesiastico diocesano per poi, nel pomeriggio, visitare il Monastero di Santa Maria del Monte Carmelo, incontrare i curiali nella Biblioteca “Carlo Maria Martini” e inaugurare i nuovi studi dell’emittente radiofonica diocesana Radio Speranza (appartenente al circuito InBlu) salutando in diretta i pescaresi all’ascolto e ricordando l’importanza della radio: «In questo particolare periodo – esordisce il cardinale Pietro Parolin in onda -, approfitto per salutare tutti anche in nome di Papa Francesco, per manifestare la sua benedizione e la sua preghiera soprattutto per chi soffre. Voglio fare un augurio a questa radio. In questo particolare periodo di pandemia in cui abbiamo difficoltà ad incontrarci, la radio è diventata così uno strumento utile, come tutti i mezzi di comunicazione sociale e i mass media, anzi indispensabile per poter annunciare la Parola di Dio e il Vangelo».

Il cardinale Parolin in visita alla Cittadella dell’accoglienza Caritas

Quindi il segretario di Stato Vaticano si è recato presso l’Istituto superiore di Scienze religiose Giuseppe Toniolo, accolto dal direttore Padre Roberto Di Paolo e dal segretario Massimiliano Petricca, e successivamente alla Cittadella dell’accoglienza Giovanni Paolo II gestita in via Alento dalla Caritas diocesana, che sforna centinaia di pasti al giorno per sfamare decine di poveri e di nuovi poveri oltre ad ospitarli per la notte: «La Cittadella – osserva Parolin – manifesta il volto più vero della Chiesa. La Chiesa che va incontro alle necessità materiali e spirituali degli uomini. L’immagine che sta alla base dell’enciclica “Fratelli tutti” è proprio quella del Buon Samaritano e la Chiesa vuole essere il buon samaritano dell‘umanità facendosi carico, come fece Gesù, di tutti i dolori, di tutte le sofferenze e di tutte le necessità degli uomini».

Infine l’arrivo nella Cattedrale di San Cetteo, per presiedere la santa messa concelebrata dall’arcivescovo Valentinetti e dal vescovo di Isernia-Venafro, monsignor Camillo Cibotti: «Rendo grazie al Signore – premette il cardinale -, con voi e per voi, per questa bella realtà ecclesiale così vivace e feconda che, sotto la guida del suo pastore e con l’apporto di molteplici carismi ed energie, annuncia e testimonia il Vangelo in questo angolo dell’Abruzzo e continua ad offrire ragioni a tutti per vivere e sperare. Oggi nuovamente l’affidiamo all’intercessione del suo patrono San Cetteo».

La preghiera del cardinale Parolin davanti al busto argenteo di San Cetteo

Nell’omelia il porporato ha preso spunto proprio dalla vita del santo patrono, che secondo le cronache dell’epoca nel 597 dopo Cristo venne condannato a morte in quanto accusato di tradimentodopo che Papa Gregorio Magno l’aveva inviato come vescovo nella città di Amiternum a pacificare i signori locali in conflitto al tempo dell’invasione deli longobardi, per poi collegarsi all’enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale Fratelli tutti di Papa Francesco: «Credo non sia fuori luogo dire che nel promuovere la pace – osserva Parolin -, il vescovo Cetteo ha saputo realizzare l’immagine del buon pastore, richiamata dal versetto del canto al Vangelo. Egli fu custode attento del suo popolo in momenti difficili. I suoi atteggiamenti lo rivelano tale. Conosce le sue pecore con una conoscenza amorosa. Non permette che seguano falsi pastori, per esse dona la vita. Di fronte alle difficoltà che affliggevano il gregge a lui affidato, Cetteo non rimane inerme ma, vivendo nella concretezza della quotidianità il mistero di Cristo ben saldo, come dice la seconda lettura “cinto ai fianchi con la verità, rivestito con la corazza della giustizia e avendo come calzature ai piedi lo zelo per propagare il Vangelo della pace”, assunse fino in fondo i suoi doveri di responsabilità nei confronti della popolo che gli era stato affidato, nei confronti dei suoi fratelli e delle sue sorelle. Vorrei che cogliessimo questo aspetto della vita del nostro patrono, la capacità di essere responsabili nei confronti degli altri. Una responsabilità che nasce dall’amore».

Questo il collegamento, a detta del segretario di Stato vaticano, tra la figura di San Cetteo vescovo e martire e la terza enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti”, firmata lo scorso 3 ottobre ad Assisi: «Nella sua ultima enciclica – ricorda il porporato -, Papa Francesco ci ricorda che dall’intimo di ogni cuore l’amore crea legami e allarga l’esistenza quando fa uscire la persona da se stessa verso l’altro. Qualcuno ha definito questa enciclica un manifesto per i nostri tempi. E mi sembra opportuno qui citarla e sottoporla alla vostra attenzione non solo perché fresca di pubblicazione, ma perché si tratta di un solco tracciato verso un futuro che dovrà essere modellato dall’interdipendenza (siamo legati gli uni agli altri) e dalla corresponsabilità (siamo responsabili gli uni degli altri) nell’intera famiglia umana. L’affermazione che “come esseri umani siamo tutti fratelli e sorelle”, se non è solo un’astrazione, ma prende carne e diventa concreta, ci pone una serie di sfide che ci smuovono, ci obbligano ad assumere nuove prospettive e a sviluppare nuove risposte. I tempi e le situazioni cambiano nel corso della storia, ma sempre e per tutti resta la grande questione di una scelta di fondo nella propria vita. Questa scelta di fondo, nella nostra situazione, mi pare riassunta dal Papa nella convinzione – resa più viva dalla tragedia globale del Covid-19 – che nessuno si salva da solo. È possibile salvarci solo se operiamo insieme, solo se camminiamo insieme. L’espressione che conosciamo, forse un po’ banale ma che rende bene l’idea, è che “siamo tutti sulla stessa barca”. Nessuno può disinteressarsi degli altri. Siamo responsabili gli uni degli altri. Per il credente, poi, si ripete il paradosso di cui parla l’anonimo autore della lettera a Diogneto “I cristiani sono pienamente inseriti nella storia della propria terra, sono partecipi delle vicende liete e tristi della propria storia, della storia del proprio territorio, dei problemi, delle difficoltà e anche, certo, delle gioie e dei successi. E come cittadini partecipano, giudiziosamente, a tutto, anche se tendono ad una cittadinanza superiore. E per questo sono chiamati ad essere per il mondo quello che è l’anima per il corpo”. Amore, dunque, che ci apre agli altri, che ci fa diventare responsabili gli uni degli altri».

Le autorità e i fedeli presenti in Cattedrale

A questo punto, il cardinale Parolin si è chiesto “dove attingere questo amore?”: «Ecco il Vangelo di Giovanni che abbiamo ascoltato – replica -. Un Vangelo che, se accolto profondamente nel nostro cuore, ci aiuta a maturare nel cammino di fede. Gesù ci ricorda che per essere noi discepoli e vivere il comandamento dell’amore, è necessario rimanere nella sua Parola. Rimanere, un concetto oggi abbastanza difficile, vivendo nella cultura dell’effimero e del mordi e fuggi. Rimanere nella Parola del Signore, perseverando nella fedeltà e vivendo in stretta relazione con Lui. Il vero discepolo è colui che accoglie, penetra e vive la Parola di Dio, dimorando in essa. L’unione con Gesù, nella comprensione della sua Parola e nel dono di questa ai fratelli nell’amore, è ciò che caratterizza il seguace del Maestro. Questo porta a conoscere la verità, cioè la rivelazione della persona di Gesù e permette di sperimentare la sua presenza salvifica e liberatrice. Essere discepoli di Gesù vuol dire, dunque, lasciarsi ammaestrare interiormente dallo Spirito di Cristo e dalla sua Parola. Ed è soprattutto in questo sacramento che stiamo celebrando, il sacramento dell’Eucaristia, che il cristiano sperimenta la presenza viva e salvifica di Gesù. Nell’Eucaristia abbiamo la gioia di contemplare la verità di un Dio che si dona a noi per amore, che si abbassa fino a farsi uomo e ad assumersi la condizione di servo e morire sulla croce per nostro amore. La presenza sacramentale, infatti, non resta accanto a noi estranea. È una presenza che ci coinvolge fino a costruire una vitale unita tra Lui e noi. Facendoci nostro cibo e bevanda, Cristo ci assume a sé, rendendoci conformi alla sua umanità e inserendoci nel dialogo della sua vita trinitaria».

Partendo da questo presupposto, il cardinale Parolin ha rivolto un auspicio ai fedeli in Cattedrale: «Da Lui – esorta – attingiamo la forza per amarci tra di noi, come egli ci ha amati, per metterci concretamente al servizio gli uni degli altri. Da Lui impariamo ad essere responsabili gli uni degli altri, come il nostro patrono San Cetteo. Anche noi, infatti, siamo chiamati a fare della nostra vita un sacrificio vivente unito a quello di Cristo. E questo sacrificio appartiene alla pienezza del culto reso a Dio».

Da qui un riferimento al diciannovesimo Congresso eucaristico nazionale, che si svolse proprio a Pescara nel 1977: «Come non ricordare – riporta il segretario di Stato Vaticano – le parola di Papa Paolo VI nell’omelia della santa messa di chiusura “Cristo con noi pare a noi il pensiero dominante al quale tributiamo ora l’omaggio dei nostri spiriti. Espressione, questa, che riflessa come sole su questi medesimi nostri spiriti, resi più tersi dalla tensione di fede e d’amore di una eccezionale circostanza, come quella di questo congresso, si ripercuote nel cielo che ci sovrasta e, diciamo meglio, nell’atmosfera stanca che ci circonda in una risposta beata ‘Noi con Cristo’”». Infine, l’augurio lasciato dal cardinale Parolin alla Chiesa di Pescara-Penne: «Il mio augurio – conclude – si fa sincera preghiera per il suo vescovo, per i suoi sacerdoti, religiosi e religiose, per ciascuno dei suoi fedeli affinché, uniti a Cristo, secondo la raccomandazione dell’apostolo Paolo, non si stanchino mai di fare il bene».

L’arcivescovo Valentinetti pronuncia i ringraziamenti finali

Prima della benedizione finale, è stato l’arcivescovo Tommaso Valentinetti a prendere la parola per ringraziare il porporato della sua presenza: «Questa celebrazione non può concludersi – afferma il presule, rivolgendosi al cardinale – senza una parola di gratitudine per quanto oggi la sua presenza ha fatto vivere e sperimentare a questa Chiesa diocesana. Innanzitutto ci ha fatto sperimentare fortemente, anche attraverso le parole dell’omelia, la presenza viva di Papa Francesco nel suo ministero pontificale, che si sta irraggiando in una maniera bella e forte e, soprattutto, con grande chiarezza in questo tempo in cui abbiamo bisogno del sostegno di tutti e di tanta chiarezza, per riconfermare ancora una volta quando il Papa aveva detto tante volte durante il tempo di pandemia, che “Siamo tutti sulla stessa barca”, così come lei ha amato ripetere. E ancora, siamo interdipendenti gli uni dagli altri, forse non solo perché obbligati ad una prudenza onde evitare il contagio, ma perché forse stiamo sperimentando quanto sua vero che i popoli, le nazioni e i continenti oggi siano interdipendenti l’uno dall’altro e i popoli gli uni dagli altri. Se avrà occasione di dire al Santo Padre la nostra devozione filiale, la nostra obbedienza sempre, perché più di una volta ho amato ripetere che vogliamo essere “Cum Petro e sub Petro” senza se e senza ma. Una Chiesa che cammina nel tempo della verità, nella ricerca della fede, del lembo giustizia, così come ci è stato ripetuto nella Parola di Dio proclamata, se ha il coraggio di rimanere Cum Petro e sub Petro. E lei, che ne è il primo collaboratore, ci ha fatto risperimentare – con l’ccasione – questa devozione e questo attaccamento. La seconda motivazione di gratitudine è per la paternità che lei oggi ci ha dimostrato semplicemente – oserei dire umilmente – facendosi pellegrino in questa Chiesa diocesana, visitandone i luoghi significativi in relazione al cammino di fede, dell’evangelizzazione e della testimonianza della carità. Grazie per la sua paternità, che abbiamo sperimentato quasi come una dolce carezza in questo momento. E soprattutto grazie, perché non ci ha fatto mai mancare in ogni circostanza, specialmente in questi ultimi tempi, i suoi consigli e la sua attenzione».

L’ultimo ringraziamento, invece, l’arcivescovo Valentinetti l’ha riservato per la nomina a nunzio apostolico in Angola, São Tomé e Principe di monsignor Giovanni Gaspari, prelato pescarese in servizio nella Segreteria di Stato Vaticana: «Ha custodito un figlio di questa Chiesa – ricorda – nel servizio diplomatico e sabato prossimo (17 ottobre), per imposizione delle sue mani e indegnamente anche delle mie giacché sarò vescovo con-consacrante, sarà elevato alla dignità episcopale e mandato da lei e dal Santo Padre come nunzio apostolico. Grazie, perché un figlio di questa Chiesa può essere servo, ma veramente servo, e che sia servo della Chiesa per essere Cum Petro e sub Petro. Ma soprattutto servo di quelle Chiese a cui il Papa lo ha mandato, perché possano realmente radicarsi sempre di più e sempre meglio intorno alla Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Grazie tante eminenza».

About Davide De Amicis (4378 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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