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Giovani: “Non restate fuori da dove si genera il futuro o la storia vi passerà sopra”

"È tempo – rilancia Papa Francesco -, cari giovani economisti, imprenditori, lavoratori e dirigenti d’azienda, di osare il rischio di favorire e stimolare modelli di sviluppo, di progresso e di sostenibilità in cui le persone, e specialmente gli esclusi (e tra questi anche sorella terra), cessino di essere – nel migliore dei casi – una presenza meramente nominale, tecnica o funzionale per diventare protagonisti della loro vita come dell’intero tessuto sociale"

È l’ammonimento rivolto ieri da Papa Francesco ai giovani protagonisti di “Economy of Francesco”

Papa Francesco

È stato il videomessaggio di Papa Francesco, ieri pomeriggio, a chiudere la tre giorni “Economy of Francesco – Papa Francesco e i giovani da tutto il mondo per l’economia di domani”, che si è svolta ad Assisi – in diretta streaming – dal 19 novembre: «Questo incontro virtuale ad Assisi – esordisce il Papa – per me non è un punto di arrivo, ma la spinta iniziale di un processo che siamo invitati a vivere come vocazione, come cultura e come patto».

Ed è così che le parole indirizzate al Poverello di Assisi – “Francesco va’, ripara la mia casa che, come vedi, è in rovina” – per il Santo Padre «diventano un appello speciale per ognuno di noi. Quando vi sentite chiamati, coinvolti e protagonisti della ‘normalità’ da costruire, voi sapete dire ‘sì’, e questo dà speranza. Voi manifestate una sensibilità e una preoccupazione speciali per identificare le questioni cruciali che ci interpellano – aggiunge il Pontefice -. L’avete fatto da una prospettiva particolare. L’economia, che è il vostro ambito di ricerca, di studio e di lavoro. Sapete che urge una diversa narrazione economica, urge prendere atto responsabilmente del fatto che ‘l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista’ e colpisce nostra sorella terra, tanto gravemente maltrattata e spogliata, e insieme i più poveri e gli esclusi. Vanno insieme, tu spogli la terra e ci sono tanti poveri esclusi. Essi sono i primi danneggiati… e anche i primi dimenticati».

Da qui l’appello di Papa Bergoglio a «non lasciarsi convincere che questo sia solo un ricorrente luogo comune. Voi – ricorda – siete molto più di un ‘rumore’ superficiale e passeggero che si può addormentare e narcotizzare con il tempo. Se non vogliamo che questo succeda, siete chiamati a incidere concretamente nelle vostre città e università, nel lavoro e nel sindacato, nelle imprese e nei movimenti, negli uffici pubblici e privati con intelligenza, impegno e convinzione, per arrivare al nucleo e al cuore dove si elaborano e si decidono i temi e i paradigmi. Tutto ciò mi ha spinto a invitarvi a realizzare questo patto».

D’altra parte il contesto sanitario, sociale ed economico attuale è particolarmente critico: «La gravità della situazione attuale, che la pandemia del Covid ha fatto risaltare ancora di più – osserva Papa Francesco -, esige una responsabile presa di coscienza di tutti gli attori sociali, di tutti noi, tra i quali voi avete un ruolo primario. Le conseguenze delle nostre azioni e decisioni vi toccheranno in prima persona, pertanto non potete rimanere fuori dai luoghi in cui si genera, non dico il vostro futuro, ma il vostro presente. Voi non potete restare fuori da dove si genera il presente e il futuro. O siete coinvolti o la storia vi passerà sopra».

Per questo il Papa ha rivolto ai giovani imprenditori riuniti in videoconferenza un nuovo appello: «Abbiamo bisogno di un cambiamento, vogliamo un cambiamento, cerchiamo un cambiamento – ribadisce -. Il problema nasce quando ci accorgiamo che, per molte delle difficoltà che ci assillano, non possediamo risposte adeguate e inclusive; anzi, risentiamo di una frammentazione nelle analisi e nelle diagnosi che finisce per bloccare ogni possibile soluzione. Ci manca la cultura necessaria per consentire e stimolare l’apertura di visioni diverse, improntate a un tipo di pensiero, di politica, di programmi educativi, e anche di spiritualità che non si lasci rinchiudere da un’unica logica dominante. Se è urgente trovare risposte, è indispensabile far crescere e sostenere gruppi dirigenti capaci di elaborare cultura, avviare processinon dimenticatevi questa parola: avviare processitracciare percorsi, allargare orizzonti, creare appartenenze… Ogni sforzo per amministrare, curare e migliorare la nostra casa comune, se vuole essere significativo, richiede di cambiare ‘gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società’. Senza fare questo, non farete nulla».

Ma per far questo, a detta del Pontefice, servono persone libere: «Abbiamo bisogno – precisa – di gruppi dirigenti comunitari e istituzionali che possano farsi carico dei problemi senza restare prigionieri di essi e delle proprie insoddisfazioni, e così sfidare la sottomissione – spesso inconsapevole – a certe logiche (ideologiche) che finiscono per giustificare e paralizzare ogni azione di fronte alle ingiustizie. “La fame – afferma citando Benedetto XVI – non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale». E l’attuale crisi, per il Santo Padre, va affrontata secondo un’ottica complessiva ed inclusiva, senza fare figli e figliastri: «La crisi sociale ed economica – continua -, che molti patiscono nella propria carne e che sta ipotecando il presente e il futuro nell’abbandono e nell’esclusione di tanti bambini e adolescenti e di intere famiglie, non tollera che privilegiamo gli interessi settoriali a scapito del bene comune. Dobbiamo ritornare un po’ alla mistica – allo spirito – del bene comune».

Quindi Bergoglio ha contrapposto la cultura dell’incontro a quella dello scarto, oggi “alla moda”: «Questo esercizio di incontrarsi al di là di tutte le legittime differenze – sollecita – è il passo fondamentale per qualsiasi trasformazione che aiuti a dar vita a una nuova mentalità culturale e, quindi, economica, politica e sociale. Così il futuro sarà un tempo speciale, in cui ci sentiamo chiamati a riconoscere l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta. Un tempo che ci ricorda che non siamo condannati a modelli economici che concentrino il loro interesse immediato sui profitti come unità di misura e sulla ricerca di politiche pubbliche simili che ignorano il proprio costo umano, sociale e ambientale. E non basta neppure puntare sulla ricerca di palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare. Infatti, non si tratta solo o esclusivamente di sovvenire alle necessità più essenziali dei nostri fratelli. Occorre accettare strutturalmente che i poveri hanno la dignità sufficiente per sedersi ai nostri incontri, partecipare alle nostre discussioni e portare il pane alle loro case. E questo è molto più che assistenzialismo, stiamo parlando di una conversione e trasformazione delle nostre priorità e del posto dell’altro nelle nostre politiche e nell’ordine sociale». Poi il Papa ha ammonito: «Con l’esclusione – afferma – resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. È la cultura dello scarto, che non solamente scarta, bensì obbliga a vivere nel proprio scarto, resi invisibili al di là del muro dell’indifferenza e del confort».

Ricordando quando per la prima volta vide un quartiere chiuso nel 1970, visitando dei noviziati della Compagnia di Gesù, ha poi affermato: «Dentro c’erano dei muri, e dentro c’erano le case, le strade, ma chiuso: cioè un quartiere che viveva nell’indifferenza. A me colpì tanto vedere questo. Ma poi questo è cresciuto, cresciuto, cresciuto…, ed era dappertutto. Ma io ti domando: il tuo cuore è come un quartiere chiuso?». In seguito, nel videomessaggio di Papa Francesco, c’è posto per una nuova esortazione: «È tempo – rilancia -, cari giovani economisti, imprenditori, lavoratori e dirigenti d’azienda, di osare il rischio di favorire e stimolare modelli di sviluppo, di progresso e di sostenibilità in cui le persone, e specialmente gli esclusi (e tra questi anche sorella terra), cessino di essere – nel migliore dei casi – una presenza meramente nominale, tecnica o funzionale per diventare protagonisti della loro vita come dell’intero tessuto sociale. Questo non sia una cosa nominale: esistono i poveri, gli esclusi… No, no, che quella presenza non sia nominale, non sia tecnica, non funzionale. È tempo che diventino protagonisti della loro vita come dell’intero tessuto sociale. Non pensiamo per loro, pensiamo con loro. Da poveri ed esclusi impariamo a far avanzare modelli economici che andranno a vantaggio di tutti, perché l’impostazione strutturale e decisionale sarà determinata dallo sviluppo umano integrale, così ben elaborato dalla dottrina sociale della Chiesa. Senza la centralità data alla vita umana, rimarremo prigionieri di una circolarità alienante che perpetuerà soltanto dinamiche di degrado, esclusione, violenza e polarizzazione».

Per questo, secondo il Pontefice, «la prospettiva dello sviluppo umano integrale è una buona notizia da profetizzare e da attuare – e questi non sono sogni: questa è la strada – , una buona notizia da profetizzare e da attuare, perché ci propone di ritrovarci come umanità sulla base del meglio di noi stessi: il sogno di Dio che impariamo a farci carico del fratello, e del fratello più vulnerabile. “La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente – la misura dell’umanità –. Questo vale per il singolo come per la società”; misura che deve incarnarsi anche nelle nostre decisioni e nei modelli economici. Molti di voi avranno la possibilità di agire e di incidere su decisioni macroeconomiche, dove si gioca il destino di molte nazioni. I sistemi creditizi da soli sono una strada per la povertà e la dipendenza. Questa legittima protesta chiede di suscitare e accompagnare un modello di solidarietà internazionale che riconosca e rispetti l’interdipendenza tra le nazioni e favorisca i meccanismi di controllo capaci di evitare ogni tipo di sottomissione, come pure vigilare sulla promozione dei Paesi più svantaggiati e in via di sviluppo; ogni popolo è chiamato a rendersi artefice del proprio destino e di quello del mondo intero».

In conclusione, Papa Francesco ha chiesto ai giovani di incarnare il valore e il sentimento della compassione: «Cari giovani – invita – ‘oggi siamo di fronte alla grande occasione di esprimere il nostro essere fratelli, di essere altri buoni samaritani che prendono su di sé il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti’. Un futuro imprevedibile è già in gestazione; ciascuno di voi, a partire dal posto in cui opera e decide, può fare molto; non scegliete le scorciatoie, che seducono e vi impediscono di mescolarvi per essere lievito lì dove vi trovate. Niente scorciatoie, lievito, sporcarsi le mani. Passata la crisi sanitaria che stiamo attraversando, la peggiore reazione sarebbe di cadere ancora di più in un febbrile consumismo e in nuove forme di autoprotezione egoistica. Non dimenticatevi, da una crisi mai si esce uguali, usciamo meglio o peggio. Facciamo crescere ciò che è buono, cogliamo l’opportunità e mettiamoci tutti al servizio del bene comune. Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più ‘gli altri’, ma che impariamo a maturare uno stile di vita in cui sappiamo dire ‘noi’. Ma un ‘noi’ grande, non un ‘noi’ piccolino e poi ‘gli altri’, no, questo non va. La storia ci insegna che non ci sono sistemi né crisi in grado di annullare completamente la capacità, l’ingegno e la creatività che Dio non cessa di suscitare nei cuori. Con dedizione e fedeltà ai vostri popoli, al vostro presente e al vostro futuro, voi potete unirvi ad altri per tessere un nuovo modo di fare la storia».

E di nuovo un incoraggiamento: «Non temete di coinvolgervi e di toccare l’anima delle città con lo sguardo di Gesù – incoraggia Bergoglio -; non temete di abitare coraggiosamente i conflitti e i crocevia della storia per ungerli con l’aroma delle Beatitudini. Non temete, perché nessuno si salva da solo. A voi giovani, provenienti da 115 Paesi, rivolgo l’invito a riconoscere che abbiamo bisogno gli uni degli altri per dar vita a questa cultura economica, capace di ‘far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani, e ispiri ai giovani – a tutti i giovani, nessuno escluso – la visione di un futuro ricolmo della gioia del Vangelo’».

About Davide De Amicis (4483 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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