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“Vigiliamo, riprendiamo contatto con la nostra interiorità!”

"Se non ce la facciamo da soli - suggerisce l'arcivescovo -, in questa vigilanza invochiamo questa presenza, invochiamo questo Padre che ci vuole plasmare, perché noi siamo argilla, siamo nelle sue mani"

Lo ha affermato domenica scorsa l’arcivescovo Valentinetti, alla messa dei giovani, nella prima domenica di Avvento

L'arcivescovo Valentinetti pronuncia l'omelia della santa messa

Don Domenico Di Pietropaolo, direttore Pastorale giovanile, vocazionale e universitaria

A partire dalla scorsa ogni domenica alle 20 la chiesa del Sacro Cuore a Pescara, oggi Santuario della Divina misericordia, diverrà il luogo di ritrovo di tutti i giovani che vorranno condividere la santa messa. Un’iniziativa, quest’ultima, intitolata MessaGiovani e organizzata dal Coordinamento della Pastorale Giovanile, Vocazionale e Universitaria dell’Arcidiocesi di Pescara-Penne: «È stata un’idea del nostro vescovo mettere accentrare le attività di pastorale giovanile in un’unica chiesa, il Santuario della Divina misericordia – spiega don Domenico Di Pietropaolo, direttore degli uffici diocesani di pastorale Giovanile, vocazionale e universitaria -, a partire dalla messa per i giovani. Finora, essendo in zona rossa, c’è poco movimento ma ci auguriamo che in seguito questo diverrà il punto di riferimento di tutti i giovani, che potranno venire a conoscersi e a condividere l’Eucaristia. Nonostante la pioggia di questa sera, c’è stata una bellissima partecipazione e l’arcivescovo Valentinetti presiederà le prima quattro messe, più quella dell’Immacolata Concezione».

Quest’ultimo ha così voluto dare importanza a questa nuova iniziativa: «Con questa celebrazione eucaristica iniziamo il tempo d’Avvento e iniziamo questa celebrazione eucaristica particolarmente dedicata ai voi giovani universitari, ragazzi e ragazze in ricerca vocazionale, per continuarla per sempre possibilmente – conferma il presule -. Abbiamo scelto questa chiesa proprio perché desideriamo, essendo il Santuario della Divina misericordia, che sia la chiesa in cui – come Pastorale giovanile, vocazionale e universitaria – vogliamo vivere momenti forti, di grande esperienza di fede. Perciò camminiamo insieme nell’attesa del Signore che viene nella memoria della prima venuta, ma soprattutto nell’attesa del giorno in cui potremo cantare veramente “Maranathà, vieni Signore Gesù, vieni presto in mezzo a noi”».

I giovani presenti

A tal proposito monsignor Valentinetti ha poi commentato il Vangelo della prima domenica di Avvento: «“Fate attenzione, vegliate, vigilate” – riporta l’arcivescovo di Pescara-Penne -. Tutto il testo evangelico è improntato a questa dimensione dell’attesa, della vigilanza, del ritorno del Signore nella gloria di cui, oggettivamente parlando, il Vangelo lo dice chiaro, nessuno sa quando sarà “Voi non sapete se tornerà la sera, a mezzanotte, al canto del gallo o al mattino. Fate in modo che, giungendo all’improvviso, non ci trovi addormentati, sonnecchiando”. Ma credo che dobbiamo capire un po’ di più cosa significa questo vigilare, questo fare attenzione. Io credo che, fondamentalmente, significa una capacità di riprendere contatto con la propria interiorità, con se stessi. La vigilanza va a far fare attenzione alla parte più interiore della nostra vita, della nostra esistenza. Presi da tante attività, da tante situazioni particolari e difficili o anche da momenti di gioia e di consolazione, si corre il rischio di perdere contatto con se stessi, con la propria interiorità. Invece il Signore ci ricorda che siamo stati arricchiti di doni “Ha dato potere ai suoi servi, a ciascuno il suo e ha ordinato di vegliare, di vigilare”. Riprendere contatto con se stessi significa farsi la domanda fondamentale della vita, “Chi sono?”, “Da dove vengo?”, “Qual è il fine della mia esistenza?” “Qual è la mia vocazione, la mia chiamata da parte del Signore?”. Significa porsi gli interrogativi fondamentali della vita sia da una punto di vista umano, sia da un punto di vista spirituale per fare sintesi, unità. Perché a questo siamo stati chiamati, a fare questa armonia perfetta del nostro essere, perché come persona possiamo rispondere al Signore che certamente ci vuole suoi. In fondo l’esperienza di Sodoma e Gomorra, quando il Signore si affaccia su queste due città, era un’esperienza di non vigilanza, avevano perso contatto con se stessi e si erano abbandonati alle situazioni più complesse della vita cadendo, purtroppo, anche nei peccati».

Da qui la domanda di monsignor Tommaso Valentinetti: «Ma ce la facciamo, da soli – s’interroga -, a vivere questa vigilanza? Ce la facciamo solo con la nostra forza? Purtroppo no. Il popolo d’Israele era stato chiamato tante volte ad essere vigilante. I patriarchi, i profeti, avevano richiamato il popolo d’Israele alla vigilanza, all’attenzione, ad essere il popolo santo chiamato ad essere il popolo che doveva rendere presente Dio in mezzo agli altri popoli. Noi siamo chiamati a rendere presente Gesù Cristo in mezzo a questo tessuto di società di fratelli, sorelle, altri giovani, delle nostre famiglie. È lì che dobbiamo rendere presente il Signore, così come il popolo d’Israele doveva rendere presente Jahvè in mezzo al suo popolo. E allora cosa diciamo, “Signore non ce la facciamo”. Nemmeno Israele ce la faceva tant’è vero che Isaia quando scrisse il testo che abbiamo ascoltato, mette al centro della riflessione una bellissima parola d’invocazione “Se tu squarciassi i cieli e scendessi”. Il grande desiderio di una presenza del Signore costantemente nella vita d’Israele. Una presenza attiva da poter vedere, constatare. Diciamocelo con verità, anche noi gradiremmo una tale presenza, ma siamo chiamati forse anche noi a dire al Signore “Se tu squarciassi i cieli e scendessi”. Il Signore continua a squarciare i cieli, continua a far sentire la sua voce e quella voce arriva a noi, alla nostra interiorità, a quel punto dove noi siamo chiamati a fare vigilanza». Ma ci sono altre due invocazioni che il profeta Isaia proclama “Tu Signore sei nostro Padre e da sempre ti chiami nostro redentore” e “Ma tu Signore sei nostro Padre  e noi siamo argilla e tu Colui che ci plasma. Tutti noi siamo opera delle tue mani”. Allora, se non ce la facciamo da soli, in questa vigilanza invochiamo questa presenza, invochiamo questo Padre che ci vuole plasmare, perché noi siamo argilla, siamo nelle sue mani. Dobbiamo avere la coscienza che non sempre abbiamo fatto tutto e che c’è ancora tanto da consegnare nelle mani del Signore, perché Lui ci possa modellare secondo il suo amore e la sua volontà. D’altra parte il ritornello del salmo ci ha fatto pregare “Signore fa risplendere il Tuo volto e noi saremo albi”. E saremo sicuri a quel punto (la lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi lo suggerisce) che la testimonianza di Cristo in noi si è stabilita saldamente, che non manca più alcun dono e che aspettiamo vigilanti – nel cammino della vita – la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo». Quindi l’auspicio finale: «Che sia per noi questo itinerario di Avvento – conclude l’arcivescovo Valentinetti -, questa grande attenzione, questa grande attesa, questo grande desiderio. Buon Avvento a tutti».

About Davide De Amicis (4558 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
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