Rigopiano 5 anni dopo: “Lo Spirito di Dio ci invita ad essere cercatori di verità”
"Ci siamo recati al totem con un po’ di rabbia dentro per via del processo - racconta Gianluca Tanda, presidente del Comitato familiari delle vittime -. Viviamo con la paura di non arrivare a trovare i colpevoli, di dover lottare anche contro le istituzioni. È difficile andare avanti e avere la speranza di questa giustizia, dopo che il processo (a Pescara) ha già subìto 13 rinvii. Oggi non dovremmo essere arrabbiati, dovrebbe prevalere l’amore per i nostri cari, ma non ci riusciamo perché noi saremmo voluti tornare sul totem sapendo di aver fatto tutto il possibile"
La pandemia, ieri pomeriggio, ha contenuto ma non fa fermato la commemorazione delle 29 vittime dell’Hotel Rigopiano di Farindola, nel quinto anniversario dalla tragedia che vide una valanga di neve travolgere il resort con gli ospiti isolati al suo interno. Così, alle 15, una breve fiaccolata ha visto i parenti delle vittime e le autorità raggiungere il totem dell’albergo, dove il parroco di Farindola don Luca Di Domizio ha celebrato una santa messa: «Ci ritroviamo per il quinto anniversario di questa ferita – premette il presbitero nell’omelia – che ancora sanguina nelle nostre menti, ma soprattutto nei nostri cuori. Sempre di più, quando si pensa a Rigopiano, notiamo sotto i riflettori questa verità che ostenta ad uscire fuori, e che porta confusione, aumenta il dolore e incentiva illusioni».
Una confusione che don Luca ha paragonato a quella rappresentata in Israele nel Vangelo di ieri (Mc 2,23-28), legata al rispetto della regola del riposo nel giorno del sabato: «Nel Vangelo – conferma il parroco di Farindola – troviamo la stessa situazione, che viene riportata a Gesù. Le regole, le burocrazie religiose di quel tempo sono più importanti della verità che hanno davanti, e che non la sanno riconoscere, anzi la criticano, fanno paragoni per offuscare la verità. Forse è la stessa cosa che viviamo ancora oggi a distanza di 2022 anni, ma Gesù risponde con l’esempio dello sposo, e soprattutto con il fatto che “l’uomo è fatto per il sabato”. Questo discorso del sabato è strettamente collegato ai nostri 29 cari che oggi ricordiamo, ma è collegato alla vita di ognuno di noi. Sabato, che noi intendiamo come un giorno della settimana, in ebraico si dice Shabàt e vuol dire “riposo”. Praticamente Cristo in questo vangelo dice che l’uomo è fatto per il “riposo”, è il “riposo” e la tranquillità nell’eternità di Dio. Tutto ciò ci è donato mediante il battesimo ad ognuno di noi. È il riposo che oggi vivono i nostri cari, che in questo luogo, in modo traumatico hanno sbattuto o meglio sono stati travolti da questa verità di fede, che richiama alle nostre coscienze che anche noi siamo fatti per il Sabato, e che siamo chiamati a iniziarlo a vivere quel “riposo” già da oggi vivendo, come loro lo vivono nella vita eterna in modo diverso».
Da qui il ritorno all’attualità: «È vero che le falsità che ci circondano, e che circondano questa vicenda ci fanno essere inquieti – osserva don Luca Di Domizio -, ci fanno stare sempre in agitazione, ci fanno scontrare molte volte anche tra di noi, come avviene nel vangelo dove diverse burocrazie si oppongono tra di loro creando discussioni, ma è vero anche che ognuno di noi, ha quello Spirito di Dio che chiama allo Shabat, che ci invita ad essere cercatori di verità, cercatori della luce che illumina l’assurdo anche di questo evento che stiamo commemorando, perché il Signore, nostro Padre, vuole illuminare l’assurdo che ognuno di noi vive, e ha già sicuramente illuminato l’assurdo dei nostri 29 amici che sì, non vediamo più, ma vivono non solo nella nostra memoria, ma anche nella memoria eterna di Dio come figli». Quindi l’auspicio finale: «Che il Signore – conclude il parroco di Farindola – ci doni la grazia di saper vivere quest’attesa e questo cammino verso la verità con lo Spirito del riposo, della tranquillità, della pace che i nostri cari avvolti dalla Sua grazia già stanno vivendo».
Al termine della Santa messa, all’ora esatta della tragedia, il Coro di Atri ha intonato il canto “Il Signore delle cime”, sono stati pronunciati i nomi delle 29 vittime e sono stati liberati in aria altrettanti palloncini. Un ricordo commovente che, per un attimo, ha alleviato il dolore dei loro familiari ancora in cerca di giustizia, della verità processuale: «Il ricordo dei nostri cari – racconta Gianluca Tanda, presidente del Comitato familiari delle vittime dell’Hotel Rigopiano, intervistato da Radio Speranza – è sempre presente ogni giorno nelle nostre cose. Le mamme e i papà non escono dal dolore. Sembrano tanti 5 anni, ma noi contiamo li contiamo giorno per giorno. Ci siamo recati al totem con un po’ di rabbia dentro per via del processo. Viviamo con la paura di non arrivare a trovare i colpevoli, di dover lottare anche contro le istituzioni. È difficile andare avanti e avere la speranza di questa giustizia, dopo che il processo (a Pescara) ha già subìto 13 rinvii e il prossimo 28 gennaio rischiamo il quattordicesimo. Ogni volta affrontiamo 3-4 ore di viaggio per assistere all’udienza e, dopo 5 minuti, ci veniamo rimandati a casa per un cavillo legale. Siamo colmi di rabbia».
Una rabbia che i familiari delle vittime non vorrebbero avere: «Oggi non dovremmo essere arrabbiati – riconosce Tanda -, dovrebbe prevalere l’amore per i nostri cari, ma non ci riusciamo perché noi saremmo voluti tornare sul totem sapendo di aver fatto tutto il possibile». Vicino al luogo delle tragedia, i familiari delle vittime vorrebbero realizzare un giardino della memoria per ricordare perennemente i propri cari: «Ma non ci riusciamo – lamenta il presidente del Comitato familiari delle vittime di Rigopiano -, ci chiedono documenti su documenti. Un eccesso di zelo che se ci fosse stato prima, durante e dopo la valanga, forse, i nostri cari sarebbero ancora qui. Noi quel posto vorremmo trasformarlo in un luogo sacro per tutti, perché va bene che sia meta di un pellegrinaggio di preghiere, ma non di pic-nic. È vero, la vita continua, ma lo si può fare anche qualche metro più in là. Lasciate solo a noi il ricordo dei nostri cari, lasciate che quel posto sia silenzioso, raccolto. Poi, una volta l’anno, facciamo festa insieme a loro per ricordarli».