Fame: “750 mila persone rischiano la morte, 400 mila solo in Etiopia”
"Siamo profondamente preoccupati – afferma Qu Dongyu, direttore generale della Fao - per l’impatto combinato di crisi sovrapposte che mettono a repentaglio la capacità delle persone di produrre e accedere agli alimenti, spingendo altri milioni di persone a livelli estremi di grave insicurezza alimentare"
Crisi alimentari ripetute provocate da guerra, cambiamenti climatici, conseguenze della pandemia di Covid-19, debito pubblico aggravato dagli effetti concatenati del conflitto in Ucraina, hanno portato ad un aumento dei prezzi del cibo e del carburante nel mondo. Etiopia, Nigeria, Sud Sudan e Yemen restano così in stato di “massima allerta”, mentre a preoccupare ora sono anche Afghanistan e Somalia, con «750.000 persone che rischiano la fame e la morte. 400.000 di questi si trovano nella regione del Tigray in Etiopia». Inoltre, Repubblica Democratica del Congo, Haiti, Sahel, Sudan e Siria restano “altamente preoccupanti”, così come anche Kenya, Sri Lanka, Benin, Capo Verde, Guinea, Ucraina, Zimbabwe, Angola, Libano, Madagascar e Mozambico.
Lo hanno denunciato la Fao e il Programma alimentare mondiale delle Nazioni (Wfp) nel rapporto “Hunger Hotspots – Fao-Wfp early warnings on acute food insecurity” pubblicato ieri, con il quale è stato chiesto un’azione umanitaria urgente in 20 “hunger hotspots” (punti caldi della fame), dove si prevede un peggioramento della fame acuta da giugno a settembre 2022. Le conseguenze potrebbero essere particolarmente pesanti per via del combinato disposto tra l’instabilità economica e della spirale dei prezzi con il calo della produzione alimentare dovuto a sconvolgimenti climatici, come siccità ricorrenti o inondazioni: «Siamo profondamente preoccupati – afferma Qu Dongyu, direttore generale della Fao – per l’impatto combinato di crisi sovrapposte che mettono a repentaglio la capacità delle persone di produrre e accedere agli alimenti, spingendo altri milioni di persone a livelli estremi di grave insicurezza alimentare».
È sulla stessa linea anche il direttore esecutivo del Wfp David Beasley: «È una corsa contro il tempo – conferma – per aiutare gli agricoltori nei Paesi più colpiti, anche aumentando rapidamente la produzione alimentare potenziale e la loro resilienza di fronte alle sfide. Stiamo affrontando una tempesta perfetta che non solo danneggerà i più poveri tra i poveri, ma travolgerà anche milioni di famiglie che fino ad ora sono riusciti a tenere la testa fuori dall’acqua. Abbiamo già visto cosa sta succedendo in Indonesia, Pakistan, Perù e Sri Lanka. Questa è solo la punta dell’iceberg. Abbiamo soluzioni. Ma dobbiamo agire in fretta». Nel rapporto viene illustrata una “nuova normalità” in cui siccità, inondazioni, uragani e cicloni devastano ripetutamente l’agricoltura e l’allevamento, provocano lo sfollamento della popolazione e portano milioni di persone sull’orlo della fame.