“Il Signore ci chiede concretezza per difendere i diritti degli ultimi”
Auguri – conclude il presule -, buona fine e buon principio a tutti, nel senso di un impegno personale e direi concreto e collettivo, perché di questo abbiamo bisogno. Buon anno a tutti
Con cinque parole l’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti ha riassunto il 2022 che terminerà tra poche ore, intervistato dal direttore della Caritas diocesana Corrado De Dominicis e dal responsabile dell’Osservatorio Povertà e risorse Giannicola D’Angelo, ospite nell’ultima puntata di Binario 1: la rubrica quindicinale, a cura della Caritas diocesana di Pescara-Penne, in onda su Radio Speranza InBlu il giovedì alle 10.03 e alle 18.30, il sabato alle 21.30 e il mercoledì successivo alle 10.30.
La prima parola, a quasi un anno dallo scoppio del drammatico conflitto tra Russia e Ucraina, è stata inevitabilmente “guerra” per provare a comprenderne le ragioni: «Il discorso – afferma il presule – è molto complesso e sicuramente, ancora una volta, dietro le guerre si celano dei grossissimi interessi. Un macro interesse potrebbe essere sicuramente quello di cambiare la stabilità della geopolitica nel mondo, dopo la pandemia e dopo alcune situazioni veramente complesse che hanno coinvolto un po’ il globo terrestre. Ma dall’altra parte c’è sempre il grande business delle armi e i produttori delle armi, in questo tempo stanno facendo business, si stanno arricchendo. Perché l’America manda armi, produce armi, continua a sfornare armamenti. Perché la Russia produce armi e usa armi e perché l’Europa, invece di svolgere un ruolo di mediazione che le sarebbe stato proprio visto che l’Ucraina è una nazione europea, si è accodata a al potente di turno. Si è accodata alla agli Stati Uniti e quindi, sostanzialmente, manda armi anche lei ora. Fin quando ci saranno queste logiche, il tutto avverse a disegni di pace perché sono logiche di business che preludono ad un altro business – quello della ricostruzione – la guerra non potrà finire. Oltretutto mascherata ideologicamente da interessi da una parte e dall’altra e, chiaramente, chi ne paga le conseguenze sono i più poveri, gli ultimi, gli indifesi, quelli che perdono la vita, che di per sé, in un anno di guerra, se fosse stata una guerra veramente totale, dovevano essere molto di più. Sono cinico in questa mia analisi… Invece sono molto pochi in confronto a quella che è la realtà della guerra in quanto tale. Il che vuol dire che è proprio uno smercio terribile che sta arricchendo i pochi che sono al centro di questa situazione. Un mondo che si trova davanti, appunto, l’orrore di una nuova guerra».
Una guerra esplosa dopo che il mondo ha già vissuto e subìto più di due anni di pandemia, ancora presente – con casi aumentati e ospedali in affanno – ma di cui si parla meno visto il ritorno alla pressoché totale normalità. Da qui la riflessione sulla seconda parola “indifferenza”: «Sicuramente – ironizza l’arcivescovo di Pescara-Penne – di fronte ai problemi, ai macro problemi, che assillano l’umanità bisogna far finta che il problema non esiste. Di fronte al problema della fame nel mondo, si fa finta che il problema non esiste. Si continua a discutere, si continua a parlare di fronte al problema ecologico, si fa finta che non esiste, si continua a discutere, si continua a parlare. Ma poi, in realtà, non abbiamo ancora impegni seri e decisivi che possono portare a soluzioni, non dico immediate perché chiaramente nessuno ha le soluzioni in tasca, ma perlomeno all’avviarsi di un cammino di impegno e di buona volontà per affrontare le questioni. Della pandemia dicasi la stessissima cosa se è vero, non sappiamo se questo corrisponde verità perché dalla Cina non trapelano notizie concrete, che lì purtroppo – in alcune situazioni – ci sono 400 mila malati e la pandemia sta riprendendo forza in una maniera incredibile. Che cos’è questa pandemia? Ce lo continuiamo a domandare, ce lo continuiamo a chiedere. Che cos’è questo vaccino? Ce lo continuiamo a chiedere, ce lo continuiamo a domandare. Ma sicuramente, di fronte a queste problematiche, ancora una volta – si dice in un vecchio proverbio abruzzese – “Vogliamoci bene che non costa niente”».
La terza parola presa in esame è stata “creato”, facendo riferimento al problema dell’approvvigionamento idrico e della siccità che ha caratterizzato la scorsa estate, sullo sfondo di una crisi climatica che sta per diventare la prima causa di migrazioni forzate. Quindi la sfida è quella di diventare custodi del creato: «Il problema è sicuramente macro e micro – spiega l’arcivescovo di Pescara-Penne -. È micro nella dimensione in cui ognuno di noi può fare qualcosa per custodire l’ambiente, per preservarlo, per custodirlo, per non renderlo peggiore di quello che è. Ma il micro può fare ben poco, o perlomeno può fare il 5%, il 3% il 4%. Cioè la buona volontà dei cittadini che si impegnano, magari, a fare una raccolta differenziata, a non innaffiare durante la siccità, a non lavare la macchina o non so che cosa. Anche se purtroppo anche queste cose fanno parte di un’educazione che ancora è lontana da venire. E c’è il macro, cioè c’è l’accordo che il riscaldamento globale non dovrebbe superare il grado e mezzo entro il 2030, ma ormai siamo già abbondantemente oltre la soglia, anche se nessuno lo dice. Ciò che sta succedendo in questi giorni in America, questa grande ondata di freddo polare, non è nient’altro che la conseguenza di una siccità, perché quest’ultima può essere di carattere “solare”, ma può essere anche di carattere glaciale. Io non so se gli scienziati hanno già valutato questo fenomeno, ma lo valutano sicuramente, e credo che anche qui la difficoltà che i potenti della terra e i Paesi – anche quelli in via di sviluppo – fanno per mettersi d’accordo su questi argomenti, la dice lunga perché ognuno pensa a un piccolo immediato interesse personale. In realtà qui stiamo rischiando non tanto la terza, perché è già in atto, ma la quarta guerra mondiale. Stiamo rischiando l’autodistruzione. I conflitti, fino a qualche tempo fa, si facevano per il petrolio. Ora pare che le fonti alternative, gradatamente, cambieranno le fonti energetiche, ma si faranno per qualcos’altro. Probabilmente si faranno per l’acqua, si farà per lo spostarsi di intere popolazioni, che addirittura poi non vogliamo nemmeno accogliere quando, in realtà, avrebbero tutti i sacrosanti diritti di essere rispettati e di essere accompagnati. Ma ancora una volta le grandi ingiustizie che ci sono sulla faccia della terra, non sono considerate da quella realtà che dovrebbe avere molto più potere sulla faccia della terra – e cioè l’Organizzazione delle Nazioni Unite – che ha delle organismi direi quasi “fantoccio” per poter affrontare queste tematiche e, molte volte, in un carrozzone anche molto corrotto, che certamente non crea quelle situazioni positive che ci aspetteremmo».
La quarta parola, partendo dallo spunto offerto dall’aumento esponenziale aumento delle tariffe di luce e gas che si sono abbattute sugli utenti, è stata “povertà”. Un tema, quest’ultimo, su cui monsignor Tommaso Valentinetti ha parlato dapprima in riferimento al fatto se ci sia, o meno, una presa di coscienza del fenomeno da parte degli amministratori pubblici: «Per i dati che ho io a mia disposizione, quelli della nostra Caritas diocesana – replica il presule – sicuramente no. Assistiamo a un vertiginoso aumento delle persone che vengono a mangiare alla mensa. Giorni fa ho parlato con l’operatore che conta i pasti, giorno per giorno, e mi diceva che non sono più ci sono più solo i soliti poveri, i cosiddetti barboni, ma ci sono anche ragionieri, geometri, qualche ingegnere che non ha la possibilità di sbarcare il lunario e quindi viene a mangiare alla mensa. Il che la dice lunga sulla situazione che si sta creando e, nonostante la richiesta fatta più volte anche alle pubbliche autorità di avere un rispetto per questo tipo di problemi, assistiamo ancora una volta ad un silenzio assordante. E soprattutto assistiamo ad un’incapacità di affrontare il problema. Si continua, probabilmente, a usare risorse per quello che non è corretto, non è giusto, e non si fanno politiche che possono essere non dico risolutive, ma che possono accompagnare queste situazioni. Gli organismi del terzo settore ne stanno risentendo in maniera molto chiara e hanno sicuramente ragione quando denunciano alcune difformità che sicuramente potrebbero essere cambiate». Insomma, il dubbio è che i politici agiscano esclusivamente sulla base del consenso elettorale, tralasciando il bene comune: «Questo – ricorda l’arcivescovo Valentinetti – io l’ho ribadito anche tempo fa in un’intervista, che mi è stata fatta da un quotidiano locale, e coloro che lavorano dentro nei settori politici, purtroppo, l’unica preoccupazione che hanno è trovare le strade per una eventuale rielezione. Quindi più si accontentano determinati settori capaci di esprimere un consenso elettorale, più si si sta bene, ma non dimentichiamo che la gente è totalmente lontana dalla politica. Se alle elezioni politiche ha votato, mi pare, il 60% dei cittadini, questo la dice lunga su come la gente considera il servizio politico. Chiaramente anche qui il servizio andrebbe ripensato e, soprattutto, i benpensanti dovrebbero darsi da fare».
La quinta e ultima parola, ispirata dalla riflessione natalizia di Papa Francesco, è stata “concretezza” in quanto – come ha affermato il Papa – “Dio non vuole apparenza, ma concretezza nel chiederci di far rinascere un po’ di speranza in chi l’ha smarrita”. Da qui la domanda all’arcivescovo di Pescara-Penne, se nel 2022 siamo stati una comunità legata all’apparenza oppure concreta: «Ci sono sicuramente delle belle concretezze, delle belle attive iniziative, un impegno deciso da parte di tanti e ci sono ancora tante apparenze. Questa è una dimensione, forse, un po’ farisaica della fede che – qualche volta – attanaglia un po’ tutti. Forse ognuno di noi tende alla concretezza e qualche volta all’apparenza e qualche volta all’apparenza e qualche volta alla concretezza. Per cui sicuramente è una domanda o una considerazione che sta un po’ a metà. Certo è che Gesù è stato molto concreto. È stato molto concreto con i poveri, è stato molto concreto con gli ammalati, è stato molto concreto con i peccatori, è stato molto concreto con le prostitute, è stato molto concreto con i pubblicani, è stato molto concreto anche quando si è trovato di fronte alla morte, di fronte al momento supremo della sua esistenza. E il Signore ci chiede questa concretezza, cioè ci chiede questa coerenza di vita, ci chiede questa credibilità. È una parola, quest’ultima, che in questi tempi sto usando moltissimo, perché se non c’è questa credibilità – soprattutto su noi cristiani – noi come credibilità vogliamo sempre difendere sempre i diritti degli ultimi, vogliamo sempre difendere i diritti di chi non ha voce, di chi dovrebbe avere delle attenzioni e purtroppo molto spesso non ce l’hanno. Noi stiamo discutendo moltissimo, in questi giorni, su come assistere i nostri 13 pazienti sieropositivi ospiti della Casa del “Buon samaritano”. Non abbiamo più risorse per poterli aiutare da parte della Regione, da parte della Asl. Abbiamo delle risorse esigue che risalgono al 1999, e stiamo chiedendo concretezza alle istituzioni e vorremmo che ci dessero questa concretezza, perché sono gli ultimi degli ultimi e devono essere accompagnati, devono essere assistiti, hanno diritto di essere assistiti. Ma se il progetto generale è quello di smantellare il welfare, o se il progetto generale è quello di non impiegare risorse per la sanità pubblica, sicuramente le cose non andranno bene. Allora chiediamo concretezza a noi stessi, alla nostra vita. Chiediamo concretezza al nostro impegno e al nostro difendere i diritti degli ultimi, perché la carità è coniugata con la giustizia e la giustizia è coniugata con la carità. Guai quando ci vogliamo nascondere dietro l’idea della carità per non fare giustizia, ma la giustizia è sempre quella che è il massimo della carità e il massimo della carità è proprio la giustizia».
Infine, gli auguri di buon anno dell’arcivescovo Valentinetti: «Auguri – conclude il presule -, buona fine e buon principio a tutti, nel senso di un impegno personale e direi concreto e collettivo, perché di questo abbiamo bisogno. Buon anno a tutti».