Ultime notizie

Chiesa: “Errore usare i laici come manovali. Siamo tutti corresponsabili”

"È un cammino complesso - ammette l'arcivescovo Valentinetti -, anche perché richiede una grossa revisione interiore e soprattutto richiede che sul serio vescovo, presbiteri e laici, ci reimmergiamo nelle profondità, primo, dell'ascolto della Parola di Dio. Se non ci immergiamo, con le nostre comunità parrocchiali, in un ascolto fecondo della Parola, noi non andiamo da nessuna parte. Secondo, che ci reimmergiamo in esperienze non superficiali, non edulcorate, non sentimentaloidi, non chiassose di vita di preghiera, costituiti da momenti di ascolto, di silenzio, di adorazione, di riflessione spirituale in esercizi spirituali, in ritiri sempre più convinti nel ricreare spazi di silenzio all'interno delle nostre comunità e all'interno delle nostre Chiese"

Lo ha affermato ieri l’arcivescovo Valentinetti all’Assemblea sinodale diocesana, svolta in occasione della tappa continentale

L'arcivescovo Valentinetti presiede l'Assemblea sinodale diocesana

L’arcivescovo di Pescara-Penne monsignor Tommaso Valentinetti, nell’ambito della nuova Assemblea diocesanadal tema “Allarga lo spazio della tua tenda” (Is 54,2) – che si è tenuta ieri all’Oasi dello spirito di Montesilvano colle, ha annunciato che rilancerà il cammino sinodale della Chiesa di Pescara-Penne con un nuovo giro di incontri foraniali, dopo aver ravvisato un po’ di fatica in questo secondo anno di ascolto particolareggiato della realtà diocesana attraverso l’applicazione dei Cantieri di Betania: il Cantiere della strada e del villaggio, il Cantiere dell’ospitalità e delle casa e il Cantiere delle diaconie e della formazione spirituale. Sono questi ultimi tre itinerari, già approfonditi nella precedente Assemblea sinodale diocesana di novembre, volti a riscoprire le dimensioni dell’essere Chiesa attraverso il confronto sinodale tra tutti i livelli della realtà ecclesiastica. L’Arcidiocesi di Pescara-Penne aveva scelto il Cantiere della strada e del villaggio: «Cantieri di Betania che da quello che riesco a percepire dall’esterno – conferma il presule -, stanno un po’ latitando. Non è colpa di nessuno, se non di una fase di stanchezza dopo il primo slancio di consultazione ad intra che abbiamo vissuto lo scorso anno. Adesso, probabilmente, c’è uno sforzo da fare e per questo motivo io, da qui a Pasqua, probabilmente riuscirò ad incontrare tutte le foranie e i rispettivi sacerdoti proprio per mettere un po’ più a fuoco questo argomento e altri argomenti di carattere pastorale».

Intanto questa mattina l’arcivescovo Valentinetti ha rivolto alcune raccomandazioni, così da indirizzare al meglio il proseguo del cammino sinodale: «Dobbiamo fare forse uno sforzo di conversione – esorta -, nell’accettare questo itinerario sinodale. C’è un grosso rischio dentro questa idea della sinodalità ed è che il Sinodo diventi un metodo. Il Sinodo non è un metodo, ma è uno stato di vita o, perlomeno, così il Papa ce lo sta porgendo, così il Papa ce lo sta indicando. È uno stato di vita permanente in cui si mette la Chiesa. Del resto, questa cosiddetta consultazione sinodale è stata voluta fin dal Concilio ecumenico Vaticano II, che è stato un momento di grande conversione per la Chiesa universale e dunque, il Sinodo chiede di essere una grande conversione per la Chiesa universale. Lo chiede ancor più, in maniera specifica, per le Chiese che sono in Italia, esortate a questo cammino di sinodalità fin dal Convegno di Firenze nel 2015, quando Papa Francesco ci ha esortato a metterci in cammino sinodale. È un cammino, dunque, non è un metodo. Non è un metodo per risolvere i nostri problemi e, probabilmente, di problemi ne abbiamo sicuramente. Davanti a noi ci sono tantissimi problemi che stiamo sperimentando in questo ultimo periodo. Una fatica di presenza nelle eucaristie domenicali, una scarsezza di richiesta di sacramenti vissuti bene sia nel matrimonio, sia nella cresima e quant’altro. Ma non voglio fare qui l’esaltazione delle nostre situazioni problematiche, ma la dimensione sinodale ci invita a cambiare modo di essere per allargare – e qui ci ha aiutato in maniera molto chiara il testo del profeta – che è stato posto anche come incipit del documento di lavoro per l’Assemblea continentale “Allarga lo spazio della tua tenda, i temi della tua dimora senza risparmio, allunga le cordicelle, rafforza i tuoi paletti” (Is 54,2). Questo allargare la tenda è complesso, non è facile. Del resto lo stiamo sperimentando. Perché la cosiddetta capacità di vivere i Cantieri di Betania, con una consultazione ad extra, ci sta facendo faticare, perché fatichiamo ad allargare la tenda. Ma ripeto, non è colpa di nessuno, stiamo prendendo atto di una situazione e, prendendone atto, dobbiamo avere il coraggio di ripensarci, di rifletterci ancora una volta sopra, di rimeditare chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo, e dentro questa logica avere questo sguardo di sinodalità che sia il più aperto possibile».

I partecipanti all’Assemblea sinodale diocesana

Ma per fare ciò occorre assumere due atteggiamenti che monsignor Valentinetti, facendo ancora una volta riferimento al brano del profeta Isaia, chiama “cordicelle” o “paletti”: «Un reimmergersi come comunità parrocchiali – rilancia l’arcivescovo di Pescara-Penne – dentro un bagno di spiritualità, rituffarci dentro le dimensioni più profonde della spiritualità. E, in secondo luogo, avere la coscienza che come vescovi, come presbiteri, come diaconi, come operatori pastorali, come catechisti, come ministranti adulti, operatori della liturgia e quant’altro nella vita della Chiesa, siamo tutti corresponsabili della Chiesa. Siamo tutti, laici compresi, nella credibilità della loro fede, corresponsabili di questa sinodalità nella Chiesa. Una corresponsabilità che ci fa capire perché la sinodalità… Perché la parola del laico battezzato può cominciare ad avere valore tanto quanto la parola di un presbitero e tanto quanto la parola di un vescovo, mutatis mutandis (fatte le debite proporzioni) a causa del cammino di formazione teologica e spirituale che certamente si possono avere, ma questo salto di qualità di una partecipazione globale complessiva. È qui il grande il grande passaggio di conversione che dobbiamo fare. Noi, e qui è stato il grosso errore che abbiamo vissuto nei negli anni passati, abbiamo assoldato i laici come manovali, non li abbiamo promossi nel loro carisma battesimale e così non sono cresciuti tanto da essere oggi responsabili, corresponsabili con noi del cammino di Chiesa. Papa Francesco questo lo ha messo in evidenza nella lettera “Episcopalis communio”, la costituzione apostolica, dove, facendo lancio il lancio di questa consultazione sinodale, ha fatto intravedere quanto sia importante questa corresponsabilità all’interno della vita della Chiesa. Ora capite bene perché, quando ho iniziato fatto iniziare il percorso di formazione per gli accoliti catechisti e i lettori, ho chiesto in maniera molto forte che non fossero ancora una volta i laici manovalizzati, ma che diventassero autori e artefici di servizio all’interno della vita della comunità. È un cammino complesso, anche perché richiede una grossa revisione interiore e soprattutto richiede che sul serio vescovo, presbiteri e laici, ci reimmergiamo nelle profondità, primo, dell’ascolto della Parola di Dio. Se non ci immergiamo, con le nostre comunità parrocchiali, in un ascolto fecondo della Parola, noi non andiamo da nessuna parte. Secondo, che ci reimmergiamo in esperienze non superficiali, non edulcorate, non sentimentaloidi, non chiassose di vita di preghiera, costituiti da momenti di ascolto, di silenzio, di adorazione, di riflessione spirituale in esercizi spirituali, in ritiri sempre più convinti nel ricreare spazi di silenzio all’interno delle nostre comunità e all’interno delle nostre Chiese. E soprattutto dimensioni liturgiche vissute come esperienza sul serio del Divino, che entra dentro la storia dell’umano in una capacità di irrorare il cuore, la mente e saziare l’anima che ha bisogno, non di noi, ma che ha bisogno di Dio. L’anima ha bisogno di Dio, ha bisogno di Gesù Cristo, ha bisogno di respirare dentro questo ambiente così vitale». Queste ultime riflessioni, d’altra parte, facevano parte delle considerazioni contenute in una lettera invitata, nei giorni scorsi, ai vescovi dal cardinale presidente della Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea e arcivescovo di Lussemburgo Jean Claude Hollerich e dal cardinale segretario generale del Sinodo Mario Grech, alla vigilia dell’Assemblea sinodale continentale di Praga.

Quindi l’arcivescovo Valentinetti ha ribadito e rilanciato quello che è il tema di questo Sinodo della Chiesa universale “Comunione, partecipazione, missione”: «Sul secondo elemento ho già detto abbastanza – ricorda il presule -. Partecipazione di tutti, partecipazione attiva, partecipazione di presenza, partecipazione, direi, convinta e soprattutto educazione alla partecipazione, educare alla partecipazione. Sono rimasto molto impressionato dal fatto che il numero degli iscritti al percorso per la formazione degli accoliti è un bel numero, il numero di iscritti per la formazione al percorso dei lettori è un buon numero, il numero di iscritti per la formazione dei catechisti è un piccolo numero. Perché? Perché nella concezione che abbiamo avuto fino adesso, sostanzialmente, fare un servizio era più semplice che inventarsi qualcosa. Invece qui bisogna avere il coraggio di una partecipazione inventiva, in quanto la dimensione del catechista è quella di chi comincia a pensare a cammini di fede, ma non tanto per i fanciulli, ma per gli adulti. Allora educazione alla partecipazione. Se non si educa alla partecipazione, è chiaro che alla fine non ne veniamo fuori. Gli altri due elementi sono la comunione e la missione. Ora, la Chiesa universale sta attraversando una bella crisi comunionale. D’altra parte, questo è sotto gli occhi di tutti, non sono io quello che ve lo deve spiegare. Mai un Papa è stato così contestato come Papa Francesco. Lo stesso Paolo VI, che pure ne ha subite di cotte e di crude nella sua vita e nella sua esistenza e nel suo ministero episcopale, alla fine non è stato mai attaccato come Papa Francesco. Ora, tutti gli uomini e tutte le donne hanno i loro pregi e i loro difetti, tutti i vescovi hanno i loro pregi e i loro difetti compreso il sottoscritto che vi sta parlando in questo momento, tutti i Papi hanno i loro pregi e i loro difetti e tutti possono portare avanti il cammino di Chiesa con risultati alterni. Però non dobbiamo mai dimenticarci che il Papa, chiunque egli sia, è vincolo di comunione della Chiesa universale. Si possono contestare tutte le decisioni possibili e immaginabili, si può contestare la capacità di governo, si può discutere ciò che il Papa dice, ciò che il Papa scrive, ma il vincolo di comunione all’interno della Chiesa universale è rappresentata dal Papa. D’altra parte il testo che ho davanti pur rivendicando, così come ho fatto io questa mattina, una capacità di promozione sinodale di tutto il popolo di Dio, alla fine dice “Cum Petro e sub Petro”. Non voglio fare “Cicero pro domo sua” (utilizzare il discorso a mio vantaggio), ma la stessa cosa vale per la diocesi. Il vincolo di unità, all’interno della cammino della Chiesa locale, è il vescovo che, chiaramente, ha la grande responsabilità di interpretare tutti i temi che si devono allargare, tutte le cordicelle che si devono allungare e tutti i paletti che si devono piantare. Ma poi alla fine, chiedendo partecipazione e su questo credo che mi dovete dare atto che la chiedo in continuazione, il vincolo di unità comunionale è il vescovo all’interno della realtà diocesana, così come lo è il parroco all’interno della comunità parrocchiale. Si può discutere, si può parlare, si può pensare, si può riverificare. D’altra parte la primitiva Chiesa si è affermata nel tempo e nella storia con un unico mezzo, si volevano bene. Ma non si volevano bene umanamente perché si aiutavano da un punto di vista materiale, forse anche quello, e saremo chiamati a farlo sempre di più e sempre meglio, ma soprattutto perché si volevano bene in quella immersione di spiritualità e di Spirito Santo, che li teneva profondamente uniti e radicati sulla parola di Dio, sulla preghiera, sull’Eucarestia che faceva sì essere vincolo di unità del popolo santo di Dio. Su questo aspetto della comunione ci giochiamo molto, perché i ragazzi che sto incontrando nelle scuole mi rinfacciano continuamente il fatto che, molto spesso, come cristiani, diamo scandalo di divisione. E i ragazzi sono giudici terribili, forse molto spesso spietati, molto spesso con tantissimi pregiudizi nel cuore e nella mente, ma sono persone che chiaramente si stanno aprendo alla vita e, aprendosi alla vita e alla storia e al futuro, hanno diritto di essere aiutati ad entrare, se devono entrare, se possono entrare e se avranno la capacità e la volontà di entrare, in una realtà che sia una bella realtà. “Quanto si vogliono bene, quanto si amano, quanto si rispettano!” Questo, carissimi presbiteri presenti, vale anche per noi. Vale per noi prima di tutto perché se non siamo noi coesi nella comunione, coesi nel volerci bene, nel non criticarci, nel non – prendo a prestito le parole di Papa Francesco – creare chiacchiericcio intorno al confratello, molto probabilmente le cose potrebbero andare un po’ meglio. Non è un giudizio, non è una condanna, è solo un’esortazione, una pia esortazione, se volete».

Infine un richiamo sulla missione: «Quale missione? – s’interroga monsignor Valentinetti – Una missione da militanti? Non ci serve. Una missione di chi parte lancia in resta? Non ci serve. Io torno a dire ciò che sto ripetendo moltissime volte, in quest’ultimo periodo di tempo, ciò che ci serve è una missione di credenti credibili, che abbiano in mente – e qui riprendo l’ultima frase del Vangelo del della preghiera che è stata che è stata fatta da noi “In verità, in verità vi dico, se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se invece muore, produce molto frutto”- lo stile della missione. E mi ricollego al Vangelo di domenica scorsa, quando ci è stato detto che il credente è luce e sale, ma attenzione alla boria di credenti che pretendono di essere i “salatori” della storia o i fari da mille watt della realtà comunitaria. Il sale e la luce a cui il Vangelo fa riferimento è un sale, una luce, che si nasconde; è un chicco di grano caduto in terra che muore. Perché solo se assumiamo questi atteggiamenti di nascondimento dentro le situazioni che certamente fanno fatica, hanno bisogno di tempo, hanno bisogno di lunghi spazi. Solo se assumiamo questo atteggiamento di grande attesa, non pensando che siamo noi i salatori della storia e i fari che illuminano, ma pensando che la nostra vita è donata perché rendano lode al Padre vostro dei cieli, perché questa è la cosa più importante, allora sì che avremo capito perfettamente che cos’è la missione. Quando si è parlato di nuova evangelizzazione, anche qui abbiamo fatto probabilmente degli errori. Siamo partiti lancia in resta come se dovessimo convertire il mondo dalla sera alla mattina. Il mondo va per altre strade, la storia cammina per i suoi sentieri, noi abbiamo il compito – e qui Ratzinger aveva ragione – di essere coscienti di vivere piccole comunità, e la storia ce lo sta dando sempre di più, immersi dentro il magma di questa umanità, che sta cercando affannosamente anch’essa di trovare le strade di un’umanità nuova e non riesce a trovarla e non riesce a comprenderla».

Partendo da questo presupposto, l’arcivescovo di Pescara-Penne ha quindi rivolto tre quesiti a cui i partecipanti, suddivisi in gruppi, hanno risposto attraverso una conversazione spirituale condotta con il metodo sinodale:

  • Quali sono i cammini necessari, nelle realtà delle nostre realtà parrocchiali e nella nostra realtà diocesana, per implementare la comunione?
  • Quali sono i cammini necessari, nella realtà delle nostre comunità parrocchiali e nella nostra realtà diocesana, per educare e favorire la partecipazione?
  • Quali sono i cammini necessari, nella realtà delle nostre comunità parrocchiali e della nostra realtà diocesana, per metterci in atteggiamento di missione?

Tre domande inserite in una grande “cornice”: «In tutto questo – conclude – il Signore c’è?». Infine un momento di preghiera comunitario.

About Davide De Amicis (4359 Articles)
Nato a Pescara il 9 novembre 1985, laureato in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Teramo, è giornalista professionista. Dal 2010 è redattore del portale La Porzione.it e dal 2020 è direttore responsabile di Radio Speranza, la radio della Chiesa di Pescara-Penne. Dal 2007 al 2020 ha collaborato con la redazione pescarese del quotidiano Il Messaggero. In passato è stato direttore responsabile della testata giornalistica online Jlive radio, ha collaborato con Radio Speranza, scritto sulla pagina pescarese del quotidiano "Avvenire" e sul quotidiano locale Abruzzo Oggi.
Contact: Website